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Navigare l’incertezza: il sistema moda italiano tra sostenibilità e crisi globale

di
Rosa Romano

Il settore della moda italiano negli ultimi decenni ha guadagnato una posizione di rilievo nello scenario economico europeo e si distingue oggi come uno dei principali motori economici del Paese, posizionandosi come il terzo settore manifatturiero più importante dopo la meccanica e l’automobilistica (Agenzia Ice, 2024). Secondo il bilancio settoriale elaborato dal Centro Studi di Confindustria Moda per Sistema Moda Italia (SMI), il 2022 è stato un anno da record per l’industria della moda italiana ed i settori ad essa collegati: il fatturato è aumentato del +16% rispetto all’anno precedente e i ricavi a quota €96,6 miliardi hanno fatto registrare il valore più alto degli ultimi venti anni. Con riferimento al solo settore del tessile-abbigliamento, è sempre più evidente la sua centralità per il mercato nazionale, rappresentando il 3,8% del Pil nel 2022 con una proiezione del 4% nel 2023 (Anitec-Assinform). Il fatturato del settore moda è cresciuto del +17,8% rispetto al 2021, raggiungendo la cifra record di 62,4 miliardi di euro (Fashion United, 2023). La produzione nazionale segna un incremento del +11,8%, con segnali positivi anche sul fronte della domanda interna. Per quanto concerne, invece, la domanda intra-filiera ed il consumo finale delle famiglie italiane, nel 2022 si è registrata una crescita del +21,7%. 

Il 2022 è stato un anno da record per l’industria della moda italiana ed i settori ad essa collegati, con un fatturato che ha segnato  un +16%

Sul fronte del commercio con l’estero, i flussi sia in entrata che in uscita mostrano un saldo positivo: le esportazioni sono aumentate del +18,9%, raggiungendo i 38,5 miliardi di euro, mentre le importazioni hanno registrato una crescita più marcata (+32,4%), arrivando a 28,7 miliardi di euro. D’altro canto, il saldo commerciale del settore nel 2022 è diminuito, attestandosi a 9,8 miliardi di euro, in calo rispetto agli oltre 10 miliardi del 2021. Tra le principali destinazioni dell’export italiano al primo posto troviamo la Francia (€ 4.235 milioni), seguita dalla Germania (€ 3.870 milioni), dagli Stati Uniti (€ 2.969 milioni), dalla Spagna (€ 2.120 milioni) e, infine, dalla Cina (€ 2.046 milioni) (Centro Studi Sistema Moda, 2024). In controtendenza con i valori positivi registrati, il saldo delle aziende attive sul territorio ha registrato un lieve decremento del -3,7% rispetto al 2021. Tuttavia, dopo le significative contrazioni dei livelli occupazionali negli anni scorsi, per la prima volta il 2022 ha registrato un’inversione di tendenza nel caso degli addetti al settore, che hanno messo a segno una crescita del +0,5%.

Tra le principali destinazioni dell’export italiano al primo posto troviamo la Francia, seguita dalla Germania, Stati Uniti, Spagna e Cina

L’inflazione continua ad erodere le finanze dei consumatori, limitandone il potere di acquisto; l’inasprirsi delle tensioni geopolitiche e il peggioramento delle condizioni climatiche delineano un quadro complessivo difficile. In primo luogo, la debolezza economica, che ha ridotto il margine di spesa dei consumatori nel 2023, ha spinto i marchi della moda a concentrarsi meno sui volumi e più sui prezzi per cercare di raggiungere i consumatori con un alto potere d’acquisto. Secondo le previsioni di Business of Fashion e McKinsey, i prezzi della moda subiranno un ulteriore incremento di circa il 5% nel 2024. Nonostante i chiari segnali degli impatti dannosi dell’industria della moda sull’ambiente, finora la questione è stata spesso trascurata e considerata più come un investimento a lungo termine piuttosto che un’emergenza immediata. Nel 2024, dunque, è richiesto un radicale cambiamento di mentalità all’industria della moda, a partire dai vertici aziendali.

Nel 2023 il 52% dei consumatori che ha effettuato acquisti ha sfruttato le Mid Season Sales o il Black Friday

La pressione economica, insieme alle particolari condizioni climatiche che si ripetono ormai da diverse stagioni, spingono i consumatori a scegliere di acquistare prevalentemente durante i classici periodi promozionali. Nel 2023, il 52% dei consumatori che ha effettuato acquisti per la stagione Autunno/Inverno ha sfruttato le Mid Season Sales e, in misura minore, il Black Friday. Tuttavia, l’utilizzo di promozioni non rappresenta l’unica strategia di acquisto adottata dai consumatori per gestire le proprie spese. Infatti, è aumentato il numero di coloro che ricercano capi più durevoli e resistenti (+24% nel 2023 contro il 19% nel 2022) e capi basici (cosiddetti “evergreen”) in grado di costruire un armadio utile per tutte le idee di stile e le stagioni dell’anno.

Il grado di sostenibilità delle aziende di moda italiane è ancora piuttosto basso e solo l’8% raggiunge un livello avanzato

È ormai risaputo che l’industria del fashion è altamente inquinante, a causa della repentina evoluzione delle mode e della necessità di rispondere rapidamente alle richieste del mercato con una produzione eccessiva. Nonostante sia aumentata, nel corso degli ultimi anni, la consapevolezza da parte dei consumatori rispetto a queste tematiche, non sempre tale riconoscimento riesce a tradursi in azioni concrete. Esiste ancora un divario pressoché marcato tra la volontà dichiarata dal consumatore di ridurre il proprio impatto e il comportamento effettivo. Le prospettive, tuttavia, sembrano essere piuttosto positive. Esaminando i comportamenti dei consumatori del fashion legati alla sostenibilità (Rapporto Bain & Company – WWF), emerge la presenza di una tendenza di crescita delle decisioni di acquisto, orientate a ridurre il proprio impatto ambientale nei prossimi anni, con una percentuale stimata del 50% (rispetto all’attuale 15%). Spinti dall’inflazione in corso, dal crescente interesse per la sostenibilità e dall’aumentata consapevolezza dell’impatto negativo del fast fashion, i consumatori stanno adottando diverse strategie che consentano loro di risparmiare denaro da una parte e, dall’altra, di acquistare prodotti più “responsabili” per l’ambiente e per i lavoratori. In questo contesto, il settore del second-hand sta guadagnando sempre più terreno, con la Generazione Z che ne sta guidando la crescita in modo significativo. Si stima, infatti, che il 31% di consumatori appartenenti a questa generazione abbia acquistato abbigliamento di seconda mano negli ultimi 12 mesi, superando i Millennials (27%) e le altre generazioni (17%).

Moda sostenibile, il fast fashion non piace più ai consumatori, soprattutto tra la Gen Z

Il grado di sostenibilità delle aziende di moda italiane è ancora piuttosto basso: solo l’8% raggiunge un livello avanzato, mentre il 46% si colloca ad un livello intermedio e il 45% ha ancora un livello prevalentemente base di sostenibilità (Cikis Studio, 2023). All’aumento delle dimensioni aziendali corrispondono una maggiore adozione di pratiche sostenibili rilevanti e la possibilità di utilizzare strumenti di gestione più efficaci. In Italia, la gestione della sostenibilità, dunque, è ostacolata dalla prevalenza di piccole imprese. Tra i principali ostacoli riscontrati dalle aziende italiane nella messa in atto di pratiche sostenibili rientra, in primo luogo, la complessità nell’implementazione (70%). L’industria globale della moda continua a mostrare scarsi progressi in termini di trasparenza. Secondo l’Indice di Trasparenza redatto da Fashion Revolution su 250 dei marchi di moda più importanti, il punteggio medio di trasparenza è cresciuto in un anno soltanto del 2%, attestandosi intorno al 26%. Tuttavia, si registrano alcuni segnali positivi: due marchi sono riusciti a raggiungere l’80% dei risultati di trasparenza, con OVS che sale in alto nella classifica seguito da Gucci, primo marchio di lusso che riesce a posizionarsi in alto nella classifica. Nonostante ciò, desta preoccupazione il fatto che il 28% dei marchi analizzati presenti ancora dei punteggi di trasparenza compresi tra lo 0% e il 10%.

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