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Neurolettura: che cosa accade nel cervello quando leggiamo

di
Angela fiore

Alcuni recenti studi nel campo delle neuroscienze mostrano gli effetti della lettura sul cervello. Grazie alle tecniche di neuroimaging cerebrale contemporanee come EEG (elettroencefalografia) e MEG (magnetoencefalografia), si sono compiute importanti scoperte sulla cosiddetta neurolettura, ossia l’indagine dell’attività di lettura sulla base delle neuroscienze. Quasi tutte le attività che ci coinvolgono richiedono lettura. La rivoluzione della lettura ha origini neuronali e culturali. È iniziata non con la comparsa del primo alfabeto, ma con l’emergere dei primi sistemi di scrittura intorno al 3500 a.C. in Mesopotamia, dove la necessità di una forma scritta era fondamentale per lo sviluppo delle società che diventavano stanziali. L’homo sapiens è dotato di strutture cerebrali che si sono evolute nel tempo per sostenere la produzione e la comprensione del linguaggio orale. In questo senso, esistono dei geni coinvolti nelle capacità primarie come il linguaggio e la vista, che si riorganizzano per costituire il circuito cerebrale deputato alla lettura.

La neurolettura studia gli effetti della lettura sul nostro cervello

La lettura non è dunque un apprendimento spontaneo, ma può essere appreso solo grazie all’innata plasticità del nostro cervello. I principi fondamentali di questa invenzione culturale devono essere insegnati. Questo significa che occorrono delle istruzioni formali e un ambiente che aiuti a sviluppare questa competenza. I bambini intorno al primo anno di vita iniziano a camminare spontaneamente. È sufficiente trovarsi in un ambiente naturale affinché ad un certo momento si consegua questa abilità. Ugualmente si verifica per il linguaggio parlato: i bambini se ne impadroniscono assorbendo informazioni dall’ambiente circostante. Nessun genitore insegna loro queste capacità, poiché vengono acquisite naturalmente. Siamo dunque programmati per trasformare il bagaglio genetico ricevuto dalla natura ed andare oltre. Il nostro cervello è predisposto allo sviluppo. È in grado di estrarre una quantità enorme di significato dalle parole che gli vengono mostrate. È in grado di trasformare una sequenza di simboli grafici in conoscenza.

La lettura non è un apprendimento spontaneo e avviene solo grazie all’innata plasticità del nostro cervello

Secondo alcune teorie neuroscientifiche, come quella del riciclaggio neuronale di Stanislas Dehaene, è possibile constatare da una parte l’estrema complessità dell’atto del leggere – il nostro cervello non è concepito per la lettura, ma vi si adatta grazie alla sua innata plasticità – dall’altra un’universalità rispetto ai meccanismi cerebrali della lettura. Che si leggano lettere dell’alfabeto o ideogrammi cinesi, viene coinvolta una sola area cerebrale, la regione occipito-temporale sinistra. Questa regione è stata definita per la prima volta nel XIX secolo dal neurologo Jules Déjerine, “Area della forma visiva delle parole” (VWFA). La stessa permetterebbe ai lettori di stabilire se un gruppo qualsiasi di lettere costituisce o meno una vera parola in un brevissimo lasso di tempo (150 millesimi di secondo). Tuttavia, non si tratta di un’area totalmente dedicata alla lettura, ma di un’area che comprende meccanismi neurali specifici per il riconoscimento dei caratteri scritti. Grazie all’impiego della risonanza funzionale (fMRI), oggi finalmente sappiamo che questa area è presente in tutte le persone, più o meno nella stessa posizione, a prescindere dal senso di lettura (da sinistra a destra o viceversa).

Che si leggano lettere dell’alfabeto o ideogrammi cinesi, viene coinvolta una sola area cerebrale

Laurent Cohen, neurologo e ricercatore in neuroscienze cognitive presso l’Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica di Parigi, ha analizzato attraverso la risonanza magnetica l’attività cerebrale di un uomo affetto da disturbo epilettico, prima e dopo un intervento chirurgico al cervello. Prima dell’operazione l’uomo riusciva a leggere parole comuni, a prescindere dalla loro lunghezza in circa 600 millisecondi, grazie all’attivazione dell’area VWFA. In seguito alla rimozione, durante l’intervento, di una piccola parte adiacente la VWFA, il paziente impiegava quasi il doppio del tempo (1000 millisecondi) per leggere una parola di sole tre lettere. La VWFA infatti, non si accendeva più in fase di lettura, perché probabilmente l’intervento ne aveva impedito la connessione con altre aree del cervello. Questo, secondo Cohen, potrebbe rivelare che la zona è indispensabile solo per la lettura, anche se ha un ruolo nella visualizzazione di oggetti o persone. Mentre leggiamo, infatti, la concentrazione di ossigeno nel sangue (indicatore dell’attività cerebrale) aumenta in un gruppo di regioni dell’emisfero sinistro più che in tutte le altre. L’area che principalmente risulta attiva è proprio la VWFA, a confermare quanto la lettura sia in grado di lasciare una traccia tangibile sul proprio corpo.

L’elaborazione di parole con forti associazioni olfattive attiva anche regioni olfattive del cervello

Ci sono inoltre aree del cervello che si ignorava fossero coinvolte nel processo di lettura. A seconda di cosa si legge, si innesca l’attività di alcune regioni cerebrali: parole come “vernice”, “rosmarino” o “escrementi”, per esempio, suscitano una reazione non solo delle aree di elaborazione del linguaggio, ma anche delle aree olfattive del cervello. Da uno studio del 2006, Reading cinnamon activates olfactory brain regions, effettuato su un campione di 23 madrelingua spagnoli sani e destrorsi, la cui età media era di 24 anni, è emerso che l’elaborazione di parole con forti associazioni olfattive attiva anche regioni olfattive del cervello. I partecipanti venivano scansionati da un macchinario per la risonanza magnetica (fMRI) durante la lettura sia di parole associate a odori, come “cannella”, “aglio”, “fetido”, sia di parole neutre come “occhiali” o “bussola”, ma senza essere esposti ad alcuna stimolazione olfattiva. I confronti tra la lettura delle parole correlate all’olfatto e quella delle parole neutre hanno rivelato significative attivazioni nella corteccia occipito-temporale sinistra. Nel primo caso, si accendeva la loro corteccia olfattiva primaria. Nel secondo caso, quella regione restava immobile, spenta, inattiva.

Una sfida per la neurolettura sarà cercare di determinare il momento in cui si verifica l’attivazione olfattiva 

Tuttavia, una ulteriore sfida per la ricerca futura sarà cercare di determinare il momento in cui si verifica l’attivazione olfattiva e se questa avvenga automaticamente e immediatamente come parte dell’elaborazione semantica. Oltre a questo, un ulteriore perfezionamento nella selezione dello stimolo permetterà di definire il ruolo della valenza edonica, ovvero la sensazione di piacevolezza o sgradevolezza dell’esperienza emotiva che il soggetto sperimenta. Leggere rispecchia dunque un’abilità squisitamente umana, frutto di specifici meccanismi neurobiologici e non solo dell’evoluzione, che richiede l’attivazione di numerose aree del cervello. Ma leggere rivoluziona soprattutto il pensiero, il cuore e la vita di una persona. Massimo Recalcati ci insegna che «nella lettura di un libro posso vedere parti segrete di me», a ricordarci che questi mondi fatti di carta, inchiostro e parole, sono in grado di trasformare per sempre la nostra esistenza.

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