Avvocati sul piede di guerra, forti più di prima, grazie al successo definito clamoroso, della manifestazione “politica” – ci tengono a precisare – contro le misure annunciate per la riforma della giustizia dal Governo giallo-verde. Un esercito di 700 persone, soprattutto legali e oltre cinquanta docenti, penalisti italiani, hanno affollato il teatro Manzoni per dire “no” a misure che rischiano di «manomettere, forse al di là della consapevolezza, i princìpi fondamentali che regolano il processo penale e lo stesso assetto costituzionale del processo penale».
A parlare è il neo presidente dell’Unione Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, promotore dell’iniziativa.
Presidente Caiazza, prima l’astensione dalle udienze, poi una grande manifestazione che ha chiamato a raccolta giuristi, legali, docenti universitari. L’iniziativa è riuscita?
Certamente, abbiamo contato circa 700 persone presenti dentro e fuori il teatro Manzoni, abbiamo ricevuto decine di messaggi scritti e orali di persone illustri che non sono riuscite a partecipare fisicamente, come il prof. Marcello Gallo, decano dei penalisti italiani e maestro indiscusso del diritto penale, Tullio Padovani, altro grande penalista, il prof. Paolo Ferrua, ordinario di procedura penale; abbiamo avuto l’onore di ascoltare l’intervento di Giovanni Maria Flick, giurista e Presidente emerito della Corte Costituzionale. Insomma, siamo stati travolti dalle adesioni ad un evento che possiamo definire “storico”, sia per la partecipazione sia per il significato che assume, poiché così tanti docenti, tutti insieme, non li ha mai raccolti nessuno. Questa solidarietà è il segno che si sta superando ogni limite, anche costituzionale.
Avvocato, una presa di posizione importante: qual è il messaggio che avete voluto lanciare al Governo?
Il messaggio è contenuto nella considerazione unanime che si stanno manomettendo i princìpi costituzionali del diritto e dello stesso processo penale. In particolare, le norme della Costituzione che fissano alcune regole supreme nel campo della giustizia, della oralità, dell’immediatezza, della ragionevole durata, della parità delle parti, di fronte ad un giudice terzo. Stiamo leggendo, in questi giorni, proposte che vanno nel senso, non soltanto opposto ma, addirittura, demolitorio di questi princìpi. Queste linee di intervento si muovono fuori dalla Costituzione. Il Governo sta ipotizzando misure che denotano la mancanza di competenze e la scarsa conoscenza dei problemi, ipotizza interventi sgangherati finalizzati ai titoli sui giornali e alla ricaduta sui Social, partendo dal presupposto che il processo sia come un incidente fastidioso da risolvere rapidamente per arrivare alla condanna.
Le sue sono parole forti. È così grave la situazione?
Il problema è che si affrontano i problemi senza conoscerli: è per questo motivo che abbiamo riproposto i dati della ricerca realizzata nel 2008 con l’Eurispes. La riforma vuole mettere mano alla prescrizione, quando i dati del Ministero dicono che, rispetto a 10 anni fa, le prescrizioni si sono dimezzate; di queste, il 60% maturano nella fase delle indagini preliminari, un altro 20% entro il primo grado. E che cosa si fa, invece, con urgenza forsennata? Una riforma per interrompere la prescrizione proprio dopo la sentenza di primo grado? Questa è la dimostrazione scientifica che i problemi non si affrontano in modo serio, ma per darli in pasto al popolo.
Ma il cosiddetto “popolo” è questo che vuole?
L’opinione pubblica si orienta sulla base di ciò che le viene raccontato. Se il racconto sostiene che la prescrizione consente ai furbetti ricchi di farla franca, allora la gente si orienterà sulla volontà di abolirla. Purtroppo, molte persone non hanno gli strumenti critici per capire. La ricerca dell’Eurispes ha dimostrato che le cose non stanno così: e nessuno ha mai osato contestare una sola virgola.
Ci ricordi che cosa dice lo studio…
Secondo lo studio, il fascicolo rimane sospeso tra le indagini preliminari e l’inizio di un processo per un periodo abnorme; quando poi si va al dibattimento non si riescono a citare i testi, si sbagliano le notifiche, il teste non si presenta e si è costretti a continui rinvii: e poi cambiano continuamente i collegi giudicanti. Ecco, queste sono le cause della lunghezza infinita dei processi, tutte di tipo organizzativo, causate da un’amministrazione della giustizia disastrosa, in cui gli avvocati non c’entrano nulla.
Qualora la riforma andasse in porto, quali sarebbero i rischi, a vostro giudizio?
Si andrebbe incontro all’esatto contrario di ciò che intende risolvere: se si abolisce la prescrizione, i processi dureranno il doppio di quanto durino oggi.
Per quale motivo?
Innanzitutto, per un fatto molto semplice: quando si forma un fascicolo, già nelle fasi dell’indagine, il primo dato che si inserisce è il calcolo della prescrizione, che serve anche da monito costante per portare avanti il lavoro con una certa urgenza; se, invece, si abolisce l’obbligo di inserire quella data, non ci saranno più stimoli e i tempi si allungheranno ancora.
Ma c’è anche un diritto dell’imputato che viene meno?
Certo, il diritto alla ragionevole durata del processo è un diritto dell’imputato, è la regola per la quale l’imputato ha diritto a non rimanere tale per un tempo indeterminato.
Presidente, non si può negare però che il Ministro della Giustizia, Bonafede, negli ultimi giorni ha fatto diversi passi avanti verso di voi. Si può dire che le posizioni sono più vicine?
C’è stato un avvicinamento sul metodo e non sul merito; sul merito, infatti, le posizioni rimangono distanti in modo inconciliabile, sul metodo, invece, si è deciso di fare ricorso ad una Commissione strutturata per affrontare questi problemi e non limitarsi a colloqui bilateri. Questa decisione ci è parsa un segno di attenzione. Mi sembra, insomma, che si voglia procedere su un percorso che possiamo definire accettabile.
Abbiamo visto il Ministro per la seconda volta e ci ha anticipato che fra tre settimane saremo riconvocati per la composizione della Commissione.
E ora che cosa succederà?
Adesso vogliamo dare compattezza alle richieste pervenute, vogliamo coordinare un movimento di pensiero dell’Accademia e dell’Avvocatura penale. È arrivato il momento di scrivere un manifesto per l’idea liberale della giustizia penale.