Il progetto Prodigit, curato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, consiste, in sostanza, in un software in grado di predire l’esito di eventuali ricorsi tributari. Tale software è implementato con una banca dati di oltre un milione di sentenze tributarie, analizzando le quali, in modo automatizzato, è possibile determinare il potenziale esito di una lite tributaria. Questo almeno l’intento del progetto. Il progetto Prodigit è stato finanziato con 8 milioni di euro derivanti dai fondi Pon e NextGenerationEu e prevede il potenziamento della banca dati nazionale della giurisprudenza di merito. Il progetto si trova ancora in una fase sperimentale, la quale dovrebbe terminare il 31 dicembre 2023.
Con Prodigit il contribuente potrà utilizzare il software introducendo gli elementi caratteristici del suo caso
Una volta entrato a regime Prodigit, il contribuente, o il suo commercialista o avvocato, potrà utilizzare il software introducendo gli elementi caratteristici del suo caso. Inseriti i dati, il software analizzerà quindi le sentenze contenute nella banca dati e “prevederà” il potenziale esito della lite. In questo modo il contribuente potrà valutare, con cognizione di causa, se presentare o meno ricorso. Tutto molto bello e probabilmente anche utile.
Ma chi frequenta le aule di giustizia, e ancor più – data l’incertezza interpretativa che caratterizza questo settore – le aule di giustizia tributaria, sa che vi è sempre un grande divario tra fattispecie giuridica astratta e caso concreto. Non ci sarà quasi mai, del resto, se non per i cosiddetti filoni tematici (e non sempre anche in questo caso), una fattispecie identica all’altra. E quasi mai sarà possibile non dico indicare un esito certo del giudizio, ma anche probabile. Né l’analisi della giurisprudenza può essere sempre di aiuto. Basti pensare alle pronunce diverse tra i vari gradi di giudizio, o alle diverse sentenze di Cassazione sullo stesso tema, anche lo stesso giorno (e a volte perfino la stessa Sezione). Insomma, a chi non piacerebbe prevedere il futuro? Ma se posso provare ad azzardare chi vincerà il campionato di calcio (o ancor più facilmente chi non lo vincerà), perfino l’aiutino dell’intelligenza artificiale non mi potrà mai consentire di prevedere con certezza (tanto da scegliere se fare ricorso o meno) l’esito di un contenzioso tributario.
Un software per valutare con cognizione di causa se presentare o meno ricorso
Del resto, il citato software si scontra inevitabilmente con un grande limite: come potrà riuscire ad analizzare l’iter logico-giuridico che ha portato un giudice a una determinata deliberazione? Nelle sentenze, infatti, troviamo sì, spesso solo a grandi linee, tale iter (rectius: dovremmo trovarlo affinché la sentenza sia motivata in modo legittimo), ma una cosa è l’esito motivazionale come esteriorizzato nella sentenza, mentre un’altra è come il giudice, essere umano, vi è concretamente arrivato. Provo a spiegarmi. Chi frequenta le aule giudiziarie sa che la “persona” giudice, in quanto appunto essere umano, non esprime solo decisioni “oggettive”. Non per sua colpa, ma proprio perché non sarebbe possibile. In qualsiasi pubblica udienza entrano in gioco tantissimi fattori “umani”: la simpatia, la capacità di convinzione, la stanchezza della giornata, il preconcetto, la superficialità etc. etc. Tutto questo (e non solo, naturalmente) fa parte della funzione giurisdizionale. Peraltro, il giudice, nello ius dicere, crea il diritto, non limitandosi a ritrovare la decisione corretta nei precedenti (altrimenti avremmo un sistema di common law anglosassone e non uno di civil law, come il nostro). Sia chiaro, ben venga la tecnologia e ben venga ogni evoluzione che possa aiutare l’azione dell’uomo. Ma il centro di tale azione, soprattutto quando si parla di processo, deve restare l’uomo, pur con tutti i suoi limiti (o forse proprio per questi).
La banca dati di Prodigit con oltre 1 milione di sentenze tributarie non potrà sostituire il “fattore umano”
Sicuramente la lotta all’evasione fiscale passa anche da un uso efficace delle banche dati e dei milioni di dati in esse conservati. Ma questo vale nella fase accertativa. Molto più difficile applicare tale sistema a quella giudiziaria. L’ottica dell’uso degli algoritmi ai fini di giustizia predittiva non può essere del resto neppure quella della certezza del diritto, col fine cioè di far sì che ogni persona possa essere posta in condizione di valutare e prevedere le conseguenze giuridiche della propria condotta. Tale ambiziosa aspirazione, per quanto detto, non sarà mai possibile, se non rinunciando all’umanità del giudice. Ma ciò conviene al contribuente (e forse anche allo Stato)? Il vero esito del giudizio, inoltre, si gioca in udienza, cioè dove persone fisiche interagiscono tra di loro per convincersi l’un l’altro su quale sia la giusta soluzione. Vista la spesso dubbia interpretazione delle norme di settore e la oscillante giurisprudenza dei precedenti, sia di merito che di legittimità, la pubblica udienza rappresenta quindi la sede privilegiata per esporre al meglio le proprie ragioni (difensive o accusatorie). Per fare una buona pubblica udienza ed ottenere una vittoria in giudizio, però, il punto focale non sono le sentenze della Cassazione – anzi a volte il giudice di merito si infastidisce anche al pensiero che si voglia “coartare” la sua autonoma volontà decisionale con il precedente del massimo organo – ma piuttosto le capacità di comunicazione e convinzione del difensore e dell’accusa. Se dunque il giudice è un essere umano, l’esito del giudizio non sarà mai prevedibile. O quanto meno non sarà mai prevedibile in modo sicuro. A meno che, appunto, non si sostituisca anche il giudice con un robot. Questo già accade, per esempio, in Cina. Ma, anche in Cina, ciò che viene valutato dall’accusa riguarda solo tre fattori: valutazione delle prove, elaborazione dei presupposti per l’arresto e calcolo della pericolosità del sospettato. L’Intelligenza artificiale si occupa cioè solo di formulare l’accusa, ma non di decidere la condanna o l’assoluzione. Per questo ancora serve la flessibilità e sensibilità dell’essere umano. E speriamo che serva ancora per molto, molto, tempo.
*Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali.