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Quale destino per l’Europa

di
Massimiliano Cannata

Una piazza per quale Europa? Importante che si manifesti per ricordare i valori di Ventotene: giustizia, libertà, rispetto dei diritti umani. Tra difesa e pace, come ha affermato l’ex premier Romano Prodi, non dovrebbe esserci dissonanza. Eppure, la contraddizione rimane, accentuata dagli echi che la parola “riarmo” fatalmente accende. Debolezze certo ce ne sono, il vecchio Continente è da “curare” al più presto. L’aggressività del fronte sovranista, l’emersione prepotente della tecnocrazia, stanno modificando gli equilibri del pianeta. Il filosofo Mauro Ceruti*, Premio Nonino e “maestro del nostro tempo”, propone una sorta di New Deal economico, sociale, umano, delineando un progetto che potrebbe fare da argine alla crisi della democrazia, messa a dura prova dalle spinte autoritarie, alimentate dal “metodo Trump”.

Professor Ceruti, una “piazza per l’Europa”, una manifestazione simbolo. Il vecchio Continente appare in difficoltà nello scacchiere geopolitico. Con il grande sociologo francese, Edgar Morin, avete tratteggiato i rischi che il nostro Continente sta correndo. Stiamo andando verso il baratro?  

Nella Nostra Europa abbiamo parlato di questa età del ferro planetaria, attraversata da tante crisi cicliche. La più grave è la crisi di pensiero, della civiltà, dei suoi valori e delle sue credenze, che stiamo vivendo. L’Europa ha bisogno di un progetto per rinascere, altrimenti rischia una catastrofe autodistruttiva, deve porsi nella condizione di offrire nel pericolo gli esiti preziosi del suo umanesimo, gli strumenti per rigenerare l’imperativo del “mai più” (la guerra). Cito spesso il verso di Holderlin: «dove cresce il pericolo, cresce ciò che salva».

L’aggressività di Trump, l’adozione dei dazi, la sofferenza delle Istituzioni comunitarie, tutto sembra concorrere verso il declino. Come si fa a invertire la rotta? 

Tocca a noi salvare l’Europa, sentendoci europei, ricordiamolo proprio a chi malamente governa le sue Istituzioni, stringendoci nel sentimento di una comune appartenenza alla civiltà europea del diritto, della democrazia, della solidarietà, della pace. Cambiare o perire… L’improbabile è sempre possibile. E oggi quell’improbabile appare necessario se vogliamo avere un futuro. Il risveglio delle coscienze è quanto mai indispensabile.

La proposta del riarmo e della definizione di una difesa comune, può essere il cemento di una ritrovata unità?

L’Europa si trova nella necessità di compiere il suo superamento metanazionale, la sua metamorfosi, che realizzi pienamente il suo principio costitutivo: unità nella diversità. È proprio nell’affrontare la sua tensione costitutiva fra unità e molteplicità, fra identità e diversità che l’Europa ha conosciuto i suoi abissi fino all’Olocausto e alle due guerre civili (mondiali) del Novecento, ma anche i suoi vertici creatori di civiltà, rappresentati dalla proclamazione dei diritti umani, e dall’invenzione della democrazia. L’Europa non è più il motore della planetarizzazione iniziata con l’incontro colombiano. È una provincia del mondo, bisogna partire da questa consapevolezza, più armi non servono a rifondare l’unità e l’armonia perduta.

Insieme con Francesco Bellusci ha scritto quello che si può definire un manifesto: Umanizzare la modernità (ed. Raffaello Cortina). Quali sono i contenuti della vostra proposta?

Se vogliamo provare a ricostruire la speranza ragionevole di una possibile pace mondiale, dobbiamo partire da ciò che di inedito vi è nella condizione umana attuale. A inaugurarla, è innanzitutto un radicale punto di svolta nella storia, sovente rimosso: l’esplosione atomica di Hiroshima, nel 1945. Essa ha manifestato una possibilità fino ad allora inconcepibile: la possibilità dell’auto-annientamento dell’umanità. E questa inedita possibilità ha contestualmente trasformato alla radice la condizione umana: ha generato un destino comune per tutti i popoli della Terra. Per la prima volta, nella storia umana l’ecumene terrestre è divenuta realtà concreta. Ed è in questa prospettiva che si delinea l’orizzonte dell’umanesimo planetario. Un futuro sostenibile potrà essere prodotto solo dalla coscienza della comunità di destino che lega ormai tutti gli individui e tutti i popoli del pianeta.

Questa condizione non preoccupa le élite che riempiono la scena globale, che sembrano voler ignorare o rimuovere lo stato di sofferenza del pianeta. Un atteggiamento difficile da spiegare, non crede?  

Al di là delle posizioni ideologiche, un dato è certo: il rischio effettivo dell’auto-annientamento si è aggravato. Sono aumentate le possibilità dell’uso di armi nucleari in conflitti locali. Una minaccia che si sta facendo drammatica, come ci testimonia la cronaca. Tale minaccia rende particolarmente evidente l’inadeguatezza del paradigma che continua a orientare sia le relazioni fra i popoli della Terra sia le relazioni dell’umanità intera con la Terra. Stiamo parlando del paradigma che, più di ogni altro, ha alimentato l’intera storia umana, dei “giochi a somma zero”: “vinco io, perdi tu”, una parte vince a spese delle altre.

Un “gioco” atroce che si chiama guerra, che continua ad essere praticato, senza sosta e senza scrupoli. Davvero non ci sono alternative a questo massacro?   

Gli attori dei “giochi a somma zero”, in realtà, sono destinati a perdere tutti. L’arma nucleare e l’impatto umano sulla biosfera rendono possibile l’auto-soppressione dell’umanità. E questo è un fatto inedito. Sconvolgente. Il vero rischio è che non ci possano più essere vincitori e vinti, ma solo vinti. Ecco perché l’umanità oggi, per la prima volta nella sua storia, si trova “obbligata” a uscire dall’età della guerra e dello sfruttamento incondizionato dell’ambiente. Per far questo bisogna uscire dal vecchio paradigma, per generare un paradigma dei “giochi a somma positiva” (vinco io, vinci tu).

Dopo l’euforia della scoperta, il digitale si è tramutato in una cocente delusione. Ci eravamo illusi che la tecnologia ci avrebbe aiutarci a superare le barriere tra popoli, culture, etnie; invece, nuove solitudini si fanno strada in una lacerazione del corpo collettivo. Qual è la sua idea in merito?   

L’unificazione tecno-economica del mondo non ha portato alla fine della Storia, non ha condotto al trionfo ultimo della modernità e delle sue promesse. Ha portato a quella che definisco “policrisi”, che minaccia di tramutarsi in una “policatastrofe” dell’umanità. I mezzi tecnici che hanno permesso di unificare il pianeta sono, al tempo stesso, quelli che portano con sé le guerre e la possibilità della distruzione. Ritengo che l’Umanesimo planetario possa essere la possibile via di uscita dall’età del ferro planetaria o, mi si passi il termine, dal “medioevo” della modernità, il cui esordio è coinciso con l’inizio dell’era planetaria umana, con i viaggi colombiani, per intenderci. Raccogliere la sfida di un destino comune significa raccogliere la sfida della complessità tecnologica, cui lei faceva riferimento, la sfida ad abitare un mondo in cui siamo in relazione ma siamo anche divisi, in cui tutto è connesso, ma non cresce il dialogo costruttivo tra i popoli.

Il tecno-umanesimo può essere interpretato come una missione civile, un progetto politico che può salvarci dall’abisso verso cui siamo proiettati?

La sfida è quella di riconoscere, di ritrovare e di riannodare le vecchie funi sommerse, come le chiamava Predrag Matvejevic, spesso rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ignoranza o dai virulenti conflitti etnico-religiosi. Si stanno facendo strada i sovranismi, emergono fenomeni ibridi come la tech right fondata sullo stretto connubio tra ipertecnologia e iperprofitti che schiaccia le libertà dello stato di diritto, in questo contesto il deficit di democrazia appare evidente. Innovare le Istituzioni può essere un passo decisivo. Credo che occorra riaffermare un pensiero politico che non si richiuda esclusivamente in ciò che è economico e quantitativo, ma che sia capace di affrontare con coraggio problemi e bisogni reali della comunità planetaria. Oggi, il valore della fraternità non evapora nell’utopia, contribuendo a definire un orizzonte di impegno per i diritti della donna e dell’uomo “concretamente universale”. Nessuno si può salvare da solo: da questa consapevolezza profonda prende le mosse quell’Umanesimo planetario, strumento primario per la costruzione di una nuova Europa, che ho cercato in sintesi di tratteggiare.   

 

*Mauro Ceruti, Professore Emerito Filosofia della Scienza e Direttore del CRiSiCo, Centro di Ricerca sui Sistemi Complessi, Università IULM di Milano.

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