Il turismo resta una delle principali attività economiche dell’Unione europea, e ne rappresenta il 10% del Pil. Dobbiamo quindi rassegnarci all’overtourism come effetto collaterale del settore turistico? Dagli operatori del settore giungono diverse proposte per contenerlo, e sebbene diverse in base alla specifica attività. Eppure, tutti gli attori coinvolti nel turismo concordano su alcuni punti. Innanzitutto, la destagionalizzazione del turismo, che andrebbe a distribuire i flussi in un arco temprale più ampio e gestibile. Di conseguenza, la redistribuzione dei flussi turistici anche su base territoriale aiuterebbe a decongestionare le città e i centri storici, facendo scoprire anche zone meno battute dal turismo, con l’effetto di rivalutarle. Infine, la promozione di un turismo sostenibile, sia su base “culturale” che ad opera dei tour operator, insomma sia nella coscienza dei viaggiatori che nello “sfruttamento” di un territorio a scopo turistico.
Il turismo italiano è in gran parte in mani straniere e il Fisco ci rimette 2 miliardi di euro ogni anno
Lo scopo principale sarebbe quello di trovare un equilibrio tra offerta abitativa turistica e offerta abitativa residenziale, ovvero tra il diritto a fare l’uso che si vuole di una proprietà privata e la coesione sociale di quartieri e città. Nel mezzo c’è un settore strategico e che in Italia dà lavoro solo in ambito alberghiero a 1,8 milioni di persone. Ha dunque poco di strategico vietare tout court ogni apertura, senza un oggettivo ancoraggio a dei dati e lasciando operatori e proprietari in un contesto di incertezza normativa. Incertezza a cui solo un intervento nazionale potrebbe porre rimedio, anche al fine di evitare fughe in avanti di singole Amministrazioni comunali o regionali. E questo anche considerando che la questione supera in realtà finanche i confini nazionali, laddove il turismo italiano è in gran parte, già oggi, in mani straniere (e il Fisco, per tale motivo, ci rimette, almeno, 2 miliardi di euro ogni anno). La maggior parte degli hotel italiani è infatti affiliata a società estere, che dominano il mercato. I primi gruppi italiani si posizionano solo al settimo e ottavo posto (Th Resorts e Gruppo Una), mentre i primi gruppi esteri – come Bwh Hotels, Marriott International e Accor – hanno dimensioni doppie rispetto alle più importanti catene nazionali, in termini di numero di hotel e camere disponibili[1]. Nel 2023, il solo settore alberghiero ha generato 30,5 miliardi di euro di ricavi[2], di cui 18,3 miliardi relativi a strutture in affiliazione estera, con valore delle fee pagate all’affiliante pari ad almeno 2,7 miliardi (15% del fatturato), tassati prevalentemente all’estero. Il gettito fiscale perso è dunque stimabile in almeno un miliardo di euro l’anno.
Nel 2023 il solo settore alberghiero ha generato 30,5 miliardi di euro di ricavi, di cui 18,3 miliardi relativi a strutture in affiliazione estera
Ugualmente, le prenotazioni tramite Online Travel Agencies (quasi tutte estere) generano fee che riducono ulteriormente il gettito fiscale in Italia di circa un altro miliardo di euro l’anno. Quindi, il costo del nostro assetto del settore turistico-alberghiero per il sistema Paese può essere stimato in una perdita di circa 2 miliardi annui di entrate per il fisco nazionale. E questo senza considerare i miliardi di euro non versati delle grandi piattaforme telematiche con sede all’estero, laddove la Guardia di Finanza, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Genova, ha contestato, ad esempio, una maxi evasione fiscale da 150 milioni di euro a Booking, piattaforma web con sede in Olanda, per Iva non versata tra il 2013 ed il 2019. Eppure, anche in questo caso non ci sarebbero particolari vincoli che impediscano lo sviluppo di un operatore turistico nazionale di rilevanza internazionale. E questo anche considerato che l’Italia è al quinto posto nella classifica degli arrivi dall’estero. Il tema dunque è che il turismo, almeno rispetto alle potenzialità, lascia ancora poca (e maldistribuita) ricchezza in Italia, ma garantisce il 100% delle esternalità negative a carico di tutti i cittadini. Questo significa overtourism. Altrimenti sarebbe solo turismo, e anche con il sorriso. Bisogna in sostanza limitare il livello di appropriazione privata dei benefici e rafforzare la ricaduta in termini di redistribuzione delle risorse su tutti gli abitanti delle località a vocazione turistica.
Il turismo è in forte espansione, con presenze di visitatori internazionali aumentate del 14% rispetto al 2023
La gestione dei flussi turistici per mano di società estere determina anche la qualità dell’offerta turistica. Quale senso può avere un tour di «Florence» di 90 minuti alla cifra di 80 euro a testa? Per un fiorentino, pensare che si possa vedere Firenze in un’ora e mezza è assolutamente inconcepibile. Con il cosiddetto City Walking Tour, a 110 euro a testa, il povero turista va incontro ad un cronoprogramma da infarto: un’ora e quindici per vedere la Galleria dell’Accademia, 15 minuti per il Duomo, 15 minuti per il Battistero, 15 minuti per Piazza della Signoria, 10 minuti per il Ponte Vecchio, 10 minuti per il Porcellino e, infine, visita degli Uffizi in 2 ore e un quarto. Ma si può fare anche di meglio: visitare tutta la Toscana, a 99 euro, con partenza da Firenze all’alba e a seguire: San Gimignano, Lucca e Pisa. Il tutto in 10 ore, comodamente seduti su bus muniti di aria condizionata. In un’escalation senza fine, a conferma che il problema dell’overtourism è un problema ormai di vera e propria deviazione culturale e sociologica, viene proposto infine quasi l’impossibile: a 860 euro a persona, è possibile visitare l’Italia intera in soli 5 giorni: partenza da Roma, poi Assisi, Siena, Firenze, Bologna, Padova, Venezia, Montepulciano e infine rientro a Roma. Questo non è turismo “mordi e fuggi”, questa è semplicemente follia. E allora la prospettiva va ribaltata.
Non bisogna disincentivare il turismo ma governarlo, dando vita a una città più godibile e giusta sia per chi la visita sia per chi ci vive
Non bisogna disincentivare il turismo, ma governarlo, dando anche vita a una città più godibile e giusta, sia per chi la visita sia per chi ci vive. Ma questo anche considerando che l’Italia cresce economicamente anche grazie al turismo, laddove, mentre l’industria è in recessione da 16 mesi e il settore delle costruzioni è in difficoltà, e pure quello dell’agricoltura rallenta, il turismo ‒ in particolare quello proveniente dall’estero ‒ è in forte espansione, con presenze di visitatori internazionali aumentate del 14% rispetto al 2023, e spesa dei turisti stranieri, nei primi due mesi dell’anno, cresciuta del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente[3]. Un incremento che potrebbe contribuire fino al 15% del Pil italiano (dati Istat ed Eurostat). Non è con la demonizzazione del turismo tout court che si potrà ottenere qualcosa di positivo. Ognuno di noi è un turista, oltre che un cittadino. E il turismo resta una delle più evidenti esperienze “democratiche” del nostro secolo.
L’overtourism è questo turismo malato e predatorio, in cui le prime prede sono proprio i turisti, insieme ai “locals”
Il problema quindi non è il turismo, o peggio ancora il turista. Il problema è chi sta rovinando questo diritto, facendogli perdere quella bellezza e riducendolo ‒ in modo questo sì “predatorio” ‒ a pura macchina da soldi. Il problema è dunque la bruttezza dell’esperienza turistica, vissuta sia da parte del turista, ormai mero numero su torpedoni che fanno visitare città e luoghi, per i quali ci vorrebbero mesi di “vita vissuta”, in poche ore, senza lasciare alcun ricordo, né emozione, se non una foto in mezzo a migliaia destinata a perdersi al prossimo cambio di smartphone. L’overtourism, in sostanza, è questo turismo malato e predatorio, in cui le prime prede sono proprio i turisti, insieme ai “locals” (che comunque, in altri periodi dell’anno e in altri luoghi, saranno anche loro turisti). Volere chiudere le case destinate agli affitti brevi, per assurdo, ci impedirebbe di essere liberi, anche noi, di goderne altrove. E del resto proprio la casa presa in affitto, seppur per un breve periodo, è forse uno degli ultimi baluardi contro quel turismo predatorio fatto di alberghi oceanici, file di pullman, itinerari preconfezionati, visite di intere città in poche ore, e così via. Affrontare queste tematiche è complesso perché significa affrontare la nostra evoluzione sociale, come cittadini del mondo.
[1] Report Horvath 2024, secondo cui, complessivamente, il 60% delle camere in Italia è affiliato a società estere.
[2] Fonte: Deloitte – Federalberghi.
[3] Fipe-Confocommercio per il 2024 stima 215 milioni di presenze turistiche. Presenze trainate del 4% grazie ai flussi di visitatori provenienti dall’estero, con una spesa complessiva – tra stranieri e italiani – stimata in 62 miliardi di euro. Solo ad agosto 2024, secondo un’indagine di Cna Turismo e Commercio, si è previsto l’arrivo di 40 milioni di stranieri, con un giro d’affari di oltre sei miliardi e mezzo di euro.