Alcol e marketing, necessarie limitazioni per social network e giovanissimi

alcol consumo

Il consumo di alcol, a differenza di altre sostanze come il tabacco, gode di un largo spettro di immunità relativamente alla sua diffusione e commercializzazione. Eppure nel mondo, circa 3 milioni di persone muoiono ogni anno a causa del consumo dannoso di alcol – una persona ogni 10 secondi – che rappresentano il 5% di tutti i decessi. In particolare, sappiamo che il 13,5% di tutti i decessi nella fascia d’età 20-39 anni sono legati all’alcol (fonte ISS). Nonostante i rischi per la salute, e il conseguente costo sociale e sanitario per la collettività, l’alcol non subisce la stigmatizzazione riservata ad altre sostanze. Esso viene anzi pubblicizzato con molti meno limiti rispetto al tabacco, ad esempio, che presenta dei banner molto evidenti sulle confezioni per avvertire i consumatori dei rischi legati al fumo, per non parlare della guerra aperta alla liberalizzazione droghe leggere. L’alcol può contare, invece, su un marketing senza troppe censure o limitazioni. Le nuove frontiere del marketing – social network, pubblicità su piattaforme digitali in film e serie tv – sono ancora più difficili da controllare e convertire agli interessi di salute pubblica. 

Il 13,5% di tutti i decessi nella fascia d’età 20-39 anni sono legati all’alcol

Già nel 2020 l’OMS premeva affinché fosse messo in campo a livello globale un piano di controllo relativo alla pubblicizzazione delle bevande alcoliche, che è sempre più diffuso e travalica i confini nazionali – cosa molto pericolosa soprattutto in paesi privi di specifica regolamentazione. Il rapporto “Reducing the harm from alcohol – by regulating cross-border alcohol marketing, advertising and promotion: a technical report” (Ridurre i danni causati dall’alcol – regolando il marketing, la pubblicità e la promozione transfrontaliera dell’alcol: un rapporto tecnico) pubblicato dall’OMS nel 2022 descrive e denuncia dettagliatamente questa situazione. In particolare, il report evidenzia come la commercializzazione delle bevande alcoliche valichi norme e confini nazionali usando come nuova risorsa i mezzi digitali disponibili, con lo scopo di raggiungere e fidelizzare target di mercato come le donne e i giovani. Gli studi a supporto del succitato report dimostrano che il marketing in generale aumenta il consumo di alcol, che il marketing mirato aumenta il consumo di alcol presso il target di riferimento, e che tale consumo fa più presa sui consumatori forti di alcol. Questi ultimi rappresentano una importante risorsa per il mercato: ad oggi sappiamo che oltre la metà dell’alcol consumato da una popolazione è bevuto dal 20% dei consumatori, rendendo di fatto i bevitori forti o dipendenti un obiettivo cruciale per le vendite e la pubblicità di alcol.

Il marketing aumenta il consumo di alcol e il marketing mirato aumenta il consumo presso il target di riferimento

Sebbene il consumo di alcol nei paesi a basso reddito sia molto inferiore rispetto ai paesi ad alto reddito, qui i danni attribuibili all’alcol sono maggiori. In forza di ciò, secondo l’OMS, il marketing di alcolici non dovrebbe agire indiscriminatamente in tutti i mercati, ma tener conto del tessuto sociale ed economico di riferimento, allo scopo di preservare la salute pubblica. Se in un paese a basso reddito i danni legati al consumo di alcol sono maggiori, anche il marketing dovrebbe avere più limitazioni. Gli stessi limiti, secondo l’OMS, dovrebbero estendersi alle nuove categorie di consumatori individuate dalla pubblicità di alcol: donne e giovani. Se è vero che i maggiori consumatori di alcol sono uomini su scala globale, le donne rappresentano un segmento di mercato da espugnare per aumentare le vendite. Per questo motivo il marketing spinge nel rappresentare l’alcol come qualcosa di appetibile per le donne, associandolo oltretutto a messaggi di emancipazione, forza e di uguaglianza rispetto agli uomini. Ciò, oltre a piegare valori e rivendicazioni in funzione del consumo, fornisce una rappresentazione errata della realtà dei fatti: gli studi sulla violenza domestica mostrano che gli episodi di violenza sulle donne sono più frequenti se anche la donna consuma alcol, e che l’alcol diminuisce anziché aumentare il suo potere decisionale all’interno della relazione.

Il consumo di alcol nei paesi a basso reddito è inferiore rispetto ai paesi ad alto reddito ma i danni sono maggiori

La globalizzazione e la crescita delle tecnologie digitali hanno reso più comune la commercializzazione di alcolici allo scopo di trovare nuovi gruppi di consumatori. Se prima il marketing di bevande alcoliche poteva contare sulle classiche pubblicità e sulle sponsorizzazioni di eventi sportivi e culturali, oggi assistiamo a product placement all’interno di film e programmi televisivi rivolti ai mercati internazionali, campagne di responsabilità sociale per promuovere i brand e promozione sui social media. La pubblicizzazione di alcolici sulle piattaforme digitali è uno degli aspetti che desta più preoccupazione, non solo per l’assenza di controllo, ma per l’appealing che questi mezzi esercitano sui giovanissimi. I social media hanno abbattuto in un certo senso la barriera della pubblicità, rendendo il marketing più sottile e vicino alla quotidianità soprattutto dei ragazzi, nativi digitali che inseriscono i social media nella loro routine sociale.

Il marketing spinge nel rappresentare l’alcol appetibile per le donne, associandolo a messaggi di emancipazione 

Gran parte del marketing di alcolici, oggi, avviene proprio sui social media. La raccolta e l’analisi dei dati sulle abitudini e le preferenze degli utenti ha fornito ai venditori di alcolici una opportunità in più per indirizzare messaggi persuasivi in ​​modo più preciso a gruppi specifici. La pubblicità mirata sui social media è particolarmente efficace, non solo perché utilizza dati precisi sugli interessi e sui comportamenti degli utenti, ma perché il suo impatto può essere rafforzato dalla condivisione “sociale” del prodotto. Ciò avviene anche grazie agli influencer, attraverso un marketing definito “peer-to-peer” ovvero “tra pari”: questa modalità di commercializzazione ammorbidisce i confini tra i contenuti di marketing e le attività di condivisione online. Utenti giovani e giovanissimi sono esposti a questo genere di marketing, dal momento che in rete la soglia di controllo è bassissima: nel 66% dei paesi non esiste una regolamentazione specifica del marketing digitale di alcolici da parte dei governi, mentre restrizioni parziali sono presenti nel 17% dei paesi, e vietate nel 18%. In un altro studio OMS del 2018, è stato rilevato che, mentre la maggior parte dei paesi ha una qualche forma di regolamentazione per la commercializzazione dell’alcol nei media tradizionali, quasi la metà non ha alcuna regolamentazione in vigore per la commercializzazione dell’alcol su Internet (48%) e sui social media (47%).

Nel 66% dei paesi non esiste una regolamentazione specifica del marketing digitale di alcolici 

Il rapporto OMS conclude raccomandando ai governi nazionali di integrare le restrizioni o i divieti assoluti alla commercializzazione di alcolici, compresi gli aspetti transfrontalieri, nelle strategie di salute pubblica. Come già accaduto per i prodotti del tabacco, anche per gli alcolici bisogna prendere coscienza dei rischi per la salute pubblica e del singolo, e limitarne la diffusione derivante da un marketing indiscriminato. Le piattaforme digitali hanno abbassato la soglia di controllo per una categoria di prodotti che viene definita dall’OMS come un “bene che desta preoccupazione per la salute pubblica”. La pericolosità del marketing legato all’alcol è una priorità per il Comitato Esecutivo dell’OMS, che preme per un accelerazione della strategia globale sul piano d’azione (2022-2030) per ridurre il consumo dannoso di alcol. Ciò è stato ribadito agli Stati membri e alle parti interessate – ovvero ai gruppi di interesse legati alla produzione e commercializzazione di alcolici – nel corso della 75° Assemblea Mondiale della Sanità avvenuta nel maggio nel 2022. C’è bisogno, in conclusione, di una rappresentazione del consumo di alcol che non sia prettamente positiva o legata a messaggi di accettazione sociale o di appealing, ma che tenga conto anche di tutte le implicazioni e dei rischi legati al consumo, specialmente per le categorie vulnerabili come i giovani e i soggetti dipendenti

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