Antonio Uricchio è uno dei tributaristi più noti del nostro Paese. Professore ordinario di diritto tributario, è stato rettore dell’Università “Aldo Moro” di Bari dal 2013 al 2019, conseguendo risultati di grande rilievo che hanno contribuito a farlo diventare nel 2020 Presidente dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Componente della Commissione ministeriale che si occupa di definire il Livello Essenziale delle Prestazioni nei percorsi di Autonomia differenziata, è uno studioso di livello internazionale, tanto da essere nominato Professore onorario di diverse Università estere.
Nei giorni scorsi, sul Corriere della Sera, Walter Lupini ha osservato una deriva burocratica delle Università italiane chiamando in causa principalmente l’ANVUR. Abbiamo inteso intervistare il Presidente Uricchio per conoscere il suo punto vista, anche in considerazione del fatto che fa parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulle Politiche Educative dell’Eurispes ed è stato, nel febbraio scorso, uno dei presentatori del “Secondo Rapporto sulla Scuola e l’Università”, ricerca promossa dal nostro Istituto a venti anni dalla pubblicazione del Primo Rapporto.
Presidente Uricchio, che cosa risponde alle osservazioni sull’attività dell’ANVUR?
L’ANVUR non ha ancora raggiunto la maggiore età, poiché, istituita con legge del 2006, ha iniziato a operare solo a fine 2011 quando è stato insediato il primo Consiglio direttivo ed è stato avviato il primo esercizio della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR). A differenza di altre agenzie europee, istituite da anni, ANVUR opera da poco più di dieci anni, secondo criteri condivisi a livello internazionale. Tra questi criteri, l’autonomia e l’indipendenza dell’Ente di valutazione è un principio generale di carattere internazionale ma anche un valore e una garanzia per il sistema.
Definire la qualità della valutazione è in ogni caso un aspetto centrale?
Ovviamente. La valutazione si collega direttamente al principio di responsabilità non potendo essere condivisa l’idea, pure in qualche modo avanzata dall’articolo del collega Lapini, che essa sia capillare e invasiva. Al contrario, la valutazione, nel dare senso e valore all’autonomia delle Università e alla libertà della ricerca, la promuove, liberando dalla irresponsabilità e da un certo snobismo culturale, che talvolta ci sono stati in un passato che talvolta ritorna.
In questo senso, l’ANVUR potrebbe essere considerata una monade avulsa dal contesto?
Al contrario. Va invece ricordato lo sforzo dell’Agenzia di dialogare con tutte le Istituzioni valutate e con gli stakeholder esterni, secondo un modello condiviso e partecipato, rinunciando a presentarsi come luogo di “potere” per essere servizio proteso a promuovere la qualità della ricerca, della didattica e valorizzazione della conoscenza. Il tutto senza elevare il grado di complessità del sistema ma soltanto mettendo insieme dati, documenti e informazioni di cui le Istituzioni si dotano secondo il principio di semplificazione.
Perché allora l’ANVUR viene pensata come sinonimo deteriore di burocrazia?
Appunto per le considerazioni che ho appena espresso; a mio parere non colgono nel segno le critiche secondo cui l’ANVUR operi con la clava o con altri strumenti punitivi, avvalendosi invece, sempre più spesso, di raccomandazioni, evidenziando punti di forza e di debolezza per valorizzare i primi e correggere i secondi. Del tutto errato appare, quindi, il riferimento al “tema riviste” la cui valutazione non è affatto una scriteriata iniziativa dell’Agenzia ma è stabilita dalla disciplina ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale. Inoltre, l’ANVUR ha avviato un processo di semplificazione con AVA3, un nuovo processo di valutazione e di accreditamento periodico di tutte le Istituzioni universitarie. Inoltre, attraverso apposite linee guida e la definizione di un glossario, l’ANVUR ha offerto idonei strumenti informativi a tutte le Istituzioni valutate, in modo da aiutarle concretamente nelle loro attività.
Il tema centrale si concentra sempre sulla inadeguatezza della valutazione della qualità della ricerca. Che cosa risponde a proposito?
Nella mia opinione, la critica appare del tutto sterile quando contesta gli esercizi della VQR, giunti ormai alla quarta procedura, essendo il risultato di un processo vastissimo che vede coinvolti oltre 700 esperti valutatori e alcune migliaia di referee secondo il modello della peer review, che offre migliori garanzie degli automatismi delle citazioni nei lavori scientifici.
Secondo lei, qual è allora il valore aggiunto che sta oggi conferendo l’ANVUR al complesso processo della valutazione?
Stiamo cercando di apportare un contributo importante, in due direzioni. La prima è lo sviluppo di una cultura della qualità condivisa da tutti, che purtroppo incontra ancora resistenze fuori dal tempo e dalla storia. La seconda invece è costituita dalla integrità della ricerca come della valutazione.
Presidente, non ci sono quindi limiti nella vostra azione?
Tutt’altro. Appunto perché operante da poco, il lavoro dell’ANVUR può dare adito, come in questo caso, a valutazioni contraddittorie. L’intenzione, ovviamente, è quella di avere a disposizione uno strumento che possa davvero contribuire a rendere ancora più competitiva la ricerca italiana a livello internazionale. In questa direzione, auspico costantemente contributi costruttivi da parte di tutta la società italiana: la ricerca è qualcosa di talmente importante che non può essere terreno di azione e di riflessione solo degli addetti ai lavori. Occorre, pertanto, proseguire, implementare e migliorare il percorso avviato, promuovendo e consolidando la valutazione come modello, come opportunità e come valore, rendendola centrale nel miglioramento qualitativo dei sistemi di formazione superiore e nei processi di sviluppo dell’intero Paese.
*Mario Caligiuri, Direttore dell’Osservatorio sulle Politiche Educative dell’Eurispes.