“Perché dobbiamo giocare?”, l’interrogativo che da sempre ci è familiare, perché capace di rievocare nella mente momenti della nostra infanzia trascorsa tra raccomandazioni e rimproveri, dà nome a un progetto pedagogico, ideato da Francesca Polato psicologa e psicoterapeuta e dall’imprenditore Flavio Carosio, che sembra ispirato al celebre racconto di Danel Pennac, Signori bambini. «Nostro obiettivo – spiegano i promotori – è quello di gettare un ponte di dialogo tra bambini, educatori e famiglie attraverso la pratica del gioco tradizionale, quello che la nostra generazione praticava in uno spazio-tempo reale, in cui ci si guardava negli occhi, sviluppando una competizione che educava al dialogo e al confronto, capacità che i nostri figli devono recuperare. Ingoiati dalla rete e dagli schermi, non sanno più relazionarsi, dimostrando di avere difficoltà a rapportarsi con i loro coetanei».
Giocare per affrontare, con leggerezza di metodo e semplicità di linguaggi, i nodi cruciali del percorso di crescita
Bambini e insegnanti delle prime tre classi elementari del Vittorio Emanuele, storico istituto di Monselice, antica cittadina murata dei Colli Euganei, si sono dati appuntamento per tre mesi ogni giovedì, dopo aver svolto le regolari ore di lezione, per dare libero sfogo alla creatività. «Con gli strumenti semplici che abbiamo dato – penne, matite, colori, righello, gessetti, uova – i bambini hanno formato delle squadre e gareggiato. Alla fine di ogni competizione hanno discusso e ridisegnato il passatempo preferito, ripercorrendo i passi salienti dell’esperienza fatta». Un modo originale, fuori da ogni gabbia formale per affrontare, con leggerezza di metodo e semplicità di linguaggi, i nodi cruciali del percorso di crescita che segna l’età evolutiva nei primi delicati anni di scolarizzazione. Sviluppo dell’attenzione, capacità di ragionamento, problem solving, strategie di cooperazione, costruzione del lessico, affinamento della motricità, esercizio del pensiero creativo, il progetto ha messo in pratica tutti i passaggi che nel tempo della crescita portano alla progressiva costruzione della personalità, conducendo il bambino verso un prima consapevolezza di sé che, spiegano gli studiosi della materia, equivale a una seconda nascita. Trovare un sapiente equilibrio tra gioco e studio può essere, infatti, decisivo per superare quei comportamenti antisociali spesso generati dalla pervasiva diffusione degli smartphone, dall’uso non regolamentato delle console multimediali, che tolgono spazio alla manualità, al contatto col mondo fisico, favorendo la prevalenza di attività svolte in solitudine.
La rete resta un motore di forza cognitiva
Nell’epoca dei papà emotivi, delle mamme manager stritolate dentro un cambiamento d’epoca in larga parte tutto da decifrare, accompagnare gli studenti sul terreno accidentato della maturazione dell’io è impresa quanto mai ardua, che richiede sensibilità e capacità di ascolto. «La rete – spiega Mario Morcellini, professore emerito de La Sapienza di Roma, tra i massimi esperti di sociologia dei media – mobilita la forza cognitiva de soggetto. È fondamentale bilanciare il rapporto tra esperienza reale ed esperienza vicaria – tra esperienza diretta e esperienza puramente cognitiva, che si mescolano nella vita digitale I ragazzi della “Generazione Z” sono rapidissimi nell’elaborazione dei processi cognitivi, sanno di trovarsi in un sistema a due velocità, fatta dalla modernità estrema di cui sono portatori e dall’arretratezza immodificabile degli adulti e del sistema-scuola. Sviluppare il controllo dei nuovi linguaggi e un’attività pedagogica all’altezza delle sfide che il digitale ci sottopone può aiutare a uscire da questa contraddizione. Di certo occorre un presidio formativo che non faccia perdere di vista la vita reale, con i suoi tempi, le sue difficoltà, i suoi ostacoli. I nostri figli entrano nella comunicazione fluida del digitale in modo strabiliante, per stare al passo con loro dobbiamo arricchire l’offerta di tempo dedicata all’apprendimento di contenuti interdisciplinari. Il gioco è un tempo prezioso che aiuta ad ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’esperienza».
Dall’eccessivo nozionismo del passato all’ipernozionismo da Google di oggi
Il percorso intrapreso dal Vittorio Emanuele si inserisce nella logica di un riordino dei saperi e dei metodi di insegnamento che la nuova ondata riformista dovrebbe mettere in primo piano per ottenere risultati appressabili. Ne è convinto Salvatore Natoli, filosofo teoretico Università Bicocca di Milano che Nel posto dell’uomo nel mondo (e. Feltrinelli) definisce con lucidità la imprescindibile centralità del sapere e i compiti della scuola nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. «Teniamo presente che i ragazzi, come si usa dire, smanettano fin da piccoli; è dunque necessario che questa abilità sia accompagnata da processi più ampi di formazione. Si imparare a “navigare” correttamente attuando un percorso analitico che tenda a strutturare il pensiero, senza favorire quella che potremmo definire una semplice divagazione senza obiettivi. I pc sono dei potenti punti di ingresso all’informazione, fanno da supporto all’attività didattica, ma non affinano la capacità di parlare e argomentare. Sta venendo meno il canone fondamentale dell’insegnamento: leggere, scrivere, far di conto. Il linguaggio è impoverito, siamo incapaci di risolvere problemi anche molto elementari. In passato abbiamo condannato l’eccessivo nozionismo, adesso siamo caduti nell’ipernozionismo da Google, lo interroghiamo senza contestualizzare le risposte».
Per i bambini trovare un equilibrio tra gioco e studio può aiutarli a superare i comportamenti antisociali indotti dalla diffusione degli smartphone
Per correggere il tiro si deve partire proprio dai più piccoli; ricucire il materiale e l’immaginario come hanno provato a fare Francesca e Flavio potrebbe essere un primo passo da compiere, di certo con l’ausilio degli insegnanti e con il coinvolgimento dei bimbi che rimangono i protagonisti. «L’esperimento – commenta l’assessore allo Sport del comune di Monselice, Gianmarco Roveroni, che ha promosso l’iniziativa – merita di essere replicato e allargato ad altre realtà, perché ha fatto toccare con mano la densità di significati e di implicazioni che il gioco contiene, se praticato in maniera sana e intelligente. Sul valore dell’istruzione dobbiamo investire se vogliamo un futuro per le nostre comunità».
Il gioco come diritto inalienabile
Grande entusiasmo da parte dei diretti interessati, che si sono destreggiati molto bene senza Internet, né telefonini. Perché dovremmo rinunciare al gioco, commentano gli insegnanti della scuola primaria di Monselice, significherebbe rinunciare a un diritto inalienabile, che ci fa comprendere come funziona il mondo. Allora via libera alla curiosità, alla voglia di misurarsi con gli altri per superare quelle piccole difficoltà, cha da bambini appaiono montagne insormontabili da scalare, ma che insegnano a vivere, mestiere che non ha età e che rimane sicuramente il più difficile per tutti da praticare.