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L’insofferenza americana per l’Impero tra dazi e nuovo disordine globale

di
Gabriele Cicerchia

L’introduzione dei dazi statunitensi, che colpiscono duramente le economie asiatiche ed europee, segnala l’apertura di un nuovo capitolo nel “disordine globale”. Non si tratta solo di misure protezionistiche, ma del sintomo evidente di una trasformazione più profonda e sistemica. Le imprese rispondono misurando l’impatto sui margini, rivedendo le catene di fornitura e investendo in digitalizzazione, diversificazione e resilienza. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, con la riaffermazione della dottrina “America First”, conferma che gli Stati Uniti non intendono più assumere il ruolo di garanti dell’ordine globale. È la fine di un ciclo storico. Il multipolarismo che ne scaturisce non appare come un nuovo equilibrio, bensì come una frammentazione di poteri, visioni e interessi. La Cina è ormai l’avversario strategico; la Russia un interlocutore da contenere più che contrastare; l’Europa è percepita come un alleato oneroso, invitato a maturare la propria autonomia. Da qui le tensioni commerciali, il disimpegno militare selettivo e l’erosione progressiva della credibilità atlantica.

L’introduzione dei dazi statunitensi, che colpiscono duramente le economie asiatiche ed europee, segnala l’apertura di un nuovo capitolo nel “disordine globale”

In questo scenario, la scomparsa di Papa Francesco rappresenta un vuoto morale profondo. La sua voce si è levata contro le guerre, l’industria degli armamenti e l’ipocrisia di molte democrazie occidentali, richiamando al cuore del Vangelo. Ha incarnato un’alternativa etica alla realpolitik, ricordandoci che “la pace è un’opera artigianale: si costruisce giorno per giorno, con pazienza”, e che “non si può costruire il futuro senza ricordare la dignità dell’altro”. La sua scomparsa rischia di abbassare la pressione morale sulle potenze globali, lasciando spazio alla repressione del dissenso e alla normalizzazione del riarmo e del conflitto bellico. L’auspicio è che il prossimo conclave si svolga lontano da pressioni e influenze esterne. Un Papa proveniente da Africa, Asia o America Latina potrebbe proseguire nel solco francescano, dando voce al Sud del mondo e alle crisi dimenticate. Al contrario, un pontefice eccessivamente conciliante verso i poteri dominanti rischierebbe di trasformare il Vaticano in un attore silente, lasciando il monopolio della narrazione globale alle grandi potenze.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca conferma che gli Stati Uniti non intendono più assumere il ruolo di garanti dell’ordine globale

Anche la Nato è chiamata a ridefinire le proprie priorità. Se il fianco orientale, con la minaccia russa, ha assorbito l’attenzione negli ultimi anni, il vero banco di prova dell’Alleanza si è ormai spostato verso Sud. Il Mediterraneo allargato – comprendente Nord Africa, Sahel, Medio Oriente e le rotte marittime del Mar Rosso – è oggi epicentro di instabilità strutturali e forti tensioni. La fragilità degli Stati, unita al ridimensionamento della presenza americana e all’attivismo russo, iraniano e cinese, ha creato un’arena fluida e competitiva. La Russia consolida la propria presenza in Libia e nel Sahel; l’Iran agisce attraverso attori non-statali; la Cina combina diplomazia e debito. Il Canale di Suez è minacciato dagli attacchi degli Houthi e molte rotte commerciali si spostano verso il Capo di Buona Speranza, con danni evidenti per i porti europei, in particolare quelli italiani. In questo scenario, l’Italia – grazie alla sua posizione geografica e ai legami storici con l’area – può aspirare a un ruolo di primo piano. Promuovere l’adozione del concetto di “Mediterraneo allargato” all’interno della Nato è una priorità, così come rilanciare la cooperazione rbricsegionale attraverso i Mediterranean Dialogue, l’Istanbul Cooperation Initiative e proporre la figura di un inviato speciale dell’Alleanza per l’area. Il Piano Mattei può rappresentare la leva diplomatica per un nuovo protagonismo italiano: essere cerniera tra Europa e Sud globale.

l’Italia può aspirare a un ruolo di primo piano e promuovere l’adozione del concetto di “Mediterraneo allargato” all’interno della Nato

La vera sfida è rispondere a questa transizione d’epoca con lungimiranza, equilibrio e senso etico. A tal proposito, recentemente si è tenuto un forum multilaterale organizzato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali dal quale è stato lanciato un forte grido di allarme sulle conseguenze della guerra dei dazi voluta da Donald Trump. L’italiano Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della BCE, ha proposto una conferenza internazionale promossa dai paesi del G20 favorevoli al libero scambio, per evitare una crisi simile a quella degli anni Trenta. Tuttavia, la proposta si scontra con la realtà politica: gli Stati Uniti, guidati da The Donald, rifiutano di riconoscere le proprie responsabilità negli squilibri commerciali globali, puntano su un dollaro forte e adottano politiche protezionistiche. La fiducia internazionale verso gli Usa è in declino, come mostrano le recenti elezioni in Canada e la crescente opposizione di blocchi come i BRICS. In assenza di una leadership globale credibile, l’idea di una nuova Bretton Woods appare difficile da realizzare, nonostante la validità dell’iniziativa.

I dazi, le guerre, le crisi religiose e istituzionali non sono episodi isolati, ma tasselli di una più ampia mutazione sistemica

I dazi, le guerre, le crisi religiose e istituzionali non sono episodi isolati, ma tasselli di una più ampia mutazione sistemica. Stiamo assistendo, forse, alla fine dell’ordine inaugurato nel secondo dopoguerra. Occorre una nuova architettura del pensiero geopolitico, capace di leggere le fratture sociali, colmare i vuoti di potere e rimettere al centro la dignità umana. Come intuì Keynes, nel 1944, quando propose il bancor, oggi non basta una nuova valuta per riequilibrare il sistema: serve una nuova grammatica del potere. In un tempo in cui le grandi potenze si chiudono nei propri interessi, abbiamo bisogno di voci forti, idee nuove e ponti di pace da costruire.

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