Nel corso degli ultimi due lustri, l’Italia ha progressivamente consolidato la propria proiezione internazionale, partecipando attivamente alle principali missioni multilaterali in àmbito Onu, Nato e Ue. Il 2025 non fa eccezione: il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato, con trasmissione alle Camere, la relazione relativa alla proroga delle missioni in corso e all’autorizzazione di nuove operazioni, in attuazione della legge quadro n. 145 del 2016, aggiornata, nell’ottobre del 2024, dalla legge n. 168. L’Italia si conferma un interlocutore strategico nello scenario globale, a cavallo tra esigenze di sicurezza collettiva, impegni derivanti dalle alleanze internazionali e responsabilità nei confronti della stabilità regionale, in particolare nel Mediterraneo allargato. Tuttavia, tale proiezione deve oggi misurarsi con uno scenario profondamente mutato: la competizione commerciale tra Stati Uniti e Cina, il ritorno assertivo della Russia, le sfide ibride e le minacce transnazionali impongono un adattamento continuo delle strategie di difesa e cooperazione.
L’Italia ha consolidato la propria posizione partecipando attivamente alle missioni internazionali Onu, Nato e Ue
Uno degli elementi innovativi introdotti dalla riforma del 2024 è la possibilità di costituire, previa autorizzazione parlamentare, contingenti di forze ad alta e altissima prontezza operativa, da impiegare in modo tempestivo al verificarsi di crisi internazionali. Per l’anno in corso, il Governo ha previsto un contingente fino a 2.867 unità, con 359 mezzi terrestri, 4 navali e 15 aerei, da mobilitare in coordinamento con le Forze di Reazione della Nato (ARF). «Si tratta di uno strumento di flessibilità operativa – ha dichiarato, in audizione alla Commissione Difesa, il Ministro Guido Crosetto – che ci consente di non restare spettatori di fronte a crisi improvvise, ma di agire rapidamente all’interno dei nostri mandati multilaterali». In caso di attivazione, il fabbisogno finanziario previsto è di circa 30 milioni di euro. L’area geografica di intervento è volutamente ampia e include sia i teatri consolidati, sia aree suscettibili di crisi: una risposta all’evidente fluidità del nuovo ordine internazionale.
Il conflitto russo-ucraino ha rimodellato l’architettura della sicurezza euro-atlantica accentuando la polarizzazione tra blocchi
L’Ucraina rimane la linea di frattura dell’ordine geopolitico. Il conflitto russo-ucraino, entrato ormai nel suo quarto anno, ha rimodellato l’architettura della sicurezza euro-atlantica, rafforzando la coesione Nato, almeno sotto l’amministrazione Biden ma accentuando anche la polarizzazione tra blocchi, con l’arrivo del nuovo inquilino alla casa Bianca. In tale contesto, l’Italia rinnova la propria partecipazione a due missioni fondamentali nei Balcani: Joint Enterprise (in àmbito Nato) e EUFOR ALTHEA (in àmbito Ue), con un contingente complessivo di 1.848 unità. Parallelamente, viene prorogata la missione EUMAM Ucraina, finalizzata all’addestramento delle forze armate di Volodymyr Zelenskyj. L’Italia continua ad avere un ruolo attivo e conduce moduli formativi sul proprio territorio sostenendo l’iniziativa Nato NSATU, per il coordinamento delle attività addestrative occidentali a favore di Kiev. In un recente intervento, l’Ambasciatore italiano presso la Nato, Francesco Talò, ha sottolineato: «Il sostegno a Kiev non è solo un dovere morale, ma un investimento strategico nella sicurezza dell’Europa».
La crescente competizione geopolitica rende il Mediterraneo uno snodo strategico tra interessi occidentali, cinesi e russi
Oltre all’impegno in Europa orientale, l’Italia continua a giocare un ruolo nel Mediterraneo, attraverso la partecipazione a missioni marittime come Sea Guardian (Nato) e Aspides (Ue), e attraverso la leadership nell’Hub Nato di Napoli, dedicato all’analisi delle minacce provenienti dal Sud globale. La crescente competizione geopolitica rende quest’area uno snodo strategico tra interessi occidentali, ambizioni cinesi – sempre più presenti in Africa e nel Mediterraneo attraverso la Belt and Road Initiative – e la penetrazione russa, soprattutto in Libia, Siria e nel Sahel, tramite compagnie militari private e accordi bilaterali. L’Italia sembra puntare su una strategia multilaterale: rafforza, infatti, la propria presenza nelle strutture OSCE e conferma l’impegno nei Balcani occidentali, dove sostiene le riforme democratiche e il percorso di integrazione europea di Paesi come la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo.
Nonostante le missioni internazionali, l’Italia rischia un potenziale isolamento strategico rispetto a Francia e Germania
Eppure, nonostante il dinamismo italiano, permangono segnali di un potenziale isolamento strategico rispetto alle grandi potenze europee, in particolare Francia e Germania. L’iniziativa ReArm Europe, lanciata per rafforzare l’industria europea della difesa e dotare l’Ue di una maggiore autonomia strategica, vede l’Italia in posizione laterale rispetto all’asse franco-tedesco, che continua a dettare l’agenda politica e industriale dell’Unione. Il rischio, secondo alcuni analisti, è che Roma si ritrovi a interpretare un ruolo operativo importante ma privo della capacità di incidere sulle grandi scelte strategiche e sugli indirizzi politico-industriali del continente. Un paradosso, se si considera il contributo militare e diplomatico offerto dall’Italia nei principali scenari di crisi. La sfida dei prossimi mesi sarà proprio quella di colmare questa distanza tra partecipazione e influenza.
Un riarmo disorganico potrebbe esporre l’Unione al rischio di rieditare logiche di potenza e tensioni sovraniste
Ma vi è anche una questione più profonda e politica che riguarda la direzione stessa del programma ReArm Europe, proposto dalla Commissione Europea nel quadro del nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (MFF) post-2027. È davvero necessario riarmare le singole nazioni europee, con il rischio di frammentare l’approccio strategico comune e alimentare dinamiche concorrenziali o persino neo-nazionaliste? Oppure sarebbe più lungimirante puntare su un percorso condiviso verso una vera difesa comune europea, ancorata ad una politica estera comune che conduca alla costituzione di un esercito europeo integrato? Un simile scenario, fondato su economie di scala, garantirebbe non solo un notevole risparmio economico, ma anche un maggiore efficientamento operativo, rafforzando al contempo il senso di appartenenza europea. Al contrario, un riarmo disorganico potrebbe esporre l’Ue al rischio di rieditare logiche di potenza e tensioni sovraniste, pericolosamente simili a quelle che hanno segnato le pagine più oscure del Novecento.
Le missioni internazionali non bastano: la pace e la sicurezza si costruiscono con istituzioni solide, politiche coerenti e responsabilità condivise
In questo contesto, vale la pena ricordare il pensiero di Luigi Einaudi, spesso trascurato persino nel dibattito italiano contemporaneo. Nel secondo dopoguerra, Einaudi ammoniva che la pace e la sicurezza non si costruiscono con dichiarazioni di principio, ma con istituzioni solide, politiche coerenti e responsabilità condivise tra gli Stati. Un monito che oggi, più che mai, appare attuale. E risuonano ancora oggi le parole pronunciate nel 1954, quando Einaudi disse: «Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare».