Perché il “trumpismo” non finisce con Trump

C’è un’idea del mondo più contagiosa del virus, contro la quale non esiste vaccino, né immunità di gregge. Per l’importanza del palcoscenico, la visione si è identificata con leader come Donald Trump. Ma fa proseliti anche altrove, è diffusa in Italia ed Europa.

Il “trumpismo”

È nato un neologismo. Si parla di “trumpismo” e si pensa a un grumo di cose: l’ideologia, il modo di procedere, lo stile spicciolo dell’ormai ex presidente degli Stati Uniti. Un miscuglio di umori, inclinazioni e caratteristiche individuali: ma l’atteggiamento va ben oltre la persona. Un soggetto, fattosi da sé, che ha saputo conquistare consensi, e farsi largo – contro ogni previsione – sino alla più alta carica dell’Occidente, spendendo l’immagine di uomo vincente nel privato e in grado di lavorare a beneficio di tutti. Una storia già sentita.

Non era accaduto altrettanto (tradurre la propria esperienza in una concezione dal finale in “-ismo”) con personaggi di ben altra statura. In America, John Kennedy e Martin Luther King, lo stesso Barack Obama, tuttora in primo piano dopo la presidenza. Un effetto domino: sulla scia dell’esempio, altre figure analoghe. Non semplici imitazioni, o scimmiottature: ciascuno ci ha messo del suo, tipi come Jair Bolsonaro in Brasile o i leader dell’Est europeo, sino a qualche politicante nostrano. Diversi e di variegato peso ma ugualmente mediocri.

L’elezione di Biden non ferma il trumpismo

Per questo, il 20 gennaio, proclamazione di Joe Biden presidente, non segnerà la fine del fenomeno, come del resto il 2016 – anno dell’elezione – non è stato il momento della prima apparizione. Con Trump, non tramonta il “trumpismo” e non si esaurisce il fenomeno multicolore che, sbrigativamente, chiamiamo “populismo” o “sovranismo”. 
L’uomo mostra di aver ancora un forte seguito con il record di 74 milioni di voti, circa il 47% dei votanti. Mantiene il controllo del partito repubblicano, dove non vi è traccia di competitors così temerari da cimentarsi nell’impresa di insidiarne la fama, alimentata da un seguito di 88 milioni di follower sui social. Gente che pende dalle sue labbra, megafono quotidiano dei proclami incandescenti. Servirà un’altra generazione per cambiare le cose su quel versante politico.

La democrazia americana in ostaggio

Non è l’azione residua di Trump a tenere alta la tensione in America, e di riflesso nel mondo, per quanto ce la stia mettendo tutta. Sconquassi a tempo scaduto per scompaginare gli schemi di gioco. Licenziamenti di alti funzionari sgraditi. Provvedimenti di grazia a favore di soggetti vicini, implicati nel Russiagate. Bocciatura del bilancio della difesa con il pretesto di non fare un favore a Russia e Cina. Tradotto: pochi soldi all’industria militare statunitense.

Una politica degli eccessi

I toni esasperati e volgari hanno esacerbato gli animi, acuito le differenze, creato voragini nella società civile. Gli attacchi a testa bassa e oltre il senso di umanità in materia di immigrazione, la mistificazione dell’esigenza di sicurezza a discapito delle ragioni di uguaglianza hanno aggravato problemi già laceranti.

Nessuna questione è stata affrontata in modo ponderato e prudente, senza provocazioni ed estremizzazioni. Si è attizzato il fuoco, provocando incendi, seguendo il vento di giornata. Tanta cenere alla fine, una grande confusione di idee, e molte fake news a rendere il clima irrespirabile. L’“effetto serra” non è colpa dell’uomo. Il Covid è stato “fabbricato in Cina di proposito” per aggredire il mondo occidentale. Le mascherine “non servono”, si va in giro a viso scoperto. Biden ha vinto con “i brogli” altrimenti sarebbe stato lui, Trump, il vincitore.

Trump, incubo per posta

Un mare di fake news

Non è bastato. Un misto di errori, ignoranza, e sciocchezze. “Plutonio” forse è il cane di Topolino. Il falso numero dei partecipanti ad una cerimonia pubblica non è una bugia, ma “un fatto alternativo”. La politica come show clownesco, compiacente ed ammiccante, incline alla farsa, una messinscena surreale, sempre più lontana dal mondo reale. Popolare in fondo, anche di successo per certi settori della platea.

La maschera del “trumpismo” non è nuova, anche se più esplicita e sguaiata: nasconde una realtà che è in noi e ha radici profonde, in molti paesi. Di qua e di là dell’oceano. È alimentata da tensioni, contrasti, malcontento, che spesso hanno ragion d’essere. Ma è caratterizzata da un fattore in più: la mancata composizione delle fratture che inevitabilmente seguono a certi eventi, naturali o umani. In discussione non è l’insorgenza delle crisi. Il punto dolente è l’incapacità di affrontare le contraddizioni.

La crisi è anche frutto di un approccio semplicistico

Non c’è dubbio che la pandemia abbia creato una drammatica contrapposizione tra salute e lavoro. E non solo tra questi due elementi. Ha opposto termini che dovrebbero andare d’accordo. Da un lato la salute, dall’altro tutto il resto, appunto il lavoro, la scuola, la cultura, il divertimento, lo sport, e via digradando qualunque altra cosa. La povertà preoccupa più della salute, e anche il resto è sempre più importante della sopravvivenza. Può essere davvero così? Manca un bilanciamento di valori. Non si cerca un equilibrio tra esigenze diverse.

Trump: politica estera, parola d’ordine “negoziare”

C’è l’incapacità di leggere le contraddizioni, la rinuncia alla fatica quotidiana che serve a comporre i dissidi, le alternative. Tante: aperture e chiusure, una via oppure l’altra. Come se tutto fosse luce o oscurità. Senza zone intermedie. Il bene contrapposto al male ovunque. Ma nella realtà raramente ci sono scissioni nette, i territori da attraversare sono complicati, il tiro va corretto ogni volta sulla base delle esperienze. Una problematica che non è esclusiva del Covid. Non basterà sconfiggerlo, per estirpare il semplicismo di tanti approcci.

L’era del negazonismo

La proposta avanzata da Trump di iniettarci tutti del comune disinfettante per contrastare il Covid è molto più che l’ennesima idea bislacca di un uomo ignorante. È pure la conferma paradossale di una tendenza dell’animo umano. Sotto aggressione, se non conosciamo il male e non sappiamo come reagire, scatta il senso di impotenza. Unica maniera di difendersi è negarne l’esistenza, chiudere gli occhi, magari ridicolizzarlo, contestarne la dannosità.

È la rozzezza del “negazionismo” che investe la scienza, l’informazione, le competenze. In tanti campi. Sullo sfondo, a spiegare il tutto, la contrapposizione delle élite alle masse, parodia fuori tempo della lotta di classe, imbroglio che maschera svolte autoritarie. L’obiettivo è sempre lo stesso, alimentare rancori e insoddisfazioni solo per prendere il posto del vecchio senza cambiare nulla.

Il populismo antipandemico Usa

La versione a stelle e strisce del populismo antipandemico fa leva su un dato antico: il paese ha avuto origine da una ribellione. È insita nella cultura nazionale una certa idea di libertà, senza limiti o condizioni. Un convincimento diffuso tra la gente comune, e anche in molti intellettuali, che si materializza in tanti modi. Nell’acquisto sconsiderato di armi, nel ribellismo di piazza davanti alle restrizioni, nella rinuncia ad una sanità intesa come servizio pubblico senza domande prima e fatture dopo.

In Europa lo stesso atteggiamento ha sfumature più soft e diventa critica, diffidenza verso le imposizioni, pronunciamento libertario, più raramente disobbedienza. Molte censure di giuristi ed opinionisti sono mosse dall’insofferenza di principio verso qualunque restrizione delle libertà fondamentali. Sentimento di per sé lodevole ed apprezzabile, se non si dovesse anche fare i conti con la salvaguardia della salute pubblica, con la tutela della vita di ciascuno. Un diritto, che la Costituzione (art. 32) definisce “fondamentale”, aggettivo non utilizzato per tutti gli altri diritti inviolabili.

In America, appena sono state introdotte restrizioni, tanti sono scesi in strada armati, per chiedere una riapertura rapida, fomentati dallo stesso Trump, che aveva minimizzato i rischi e irriso alle precauzioni prima di rimanere contagiato lui stesso ed essere costretto a introdurne alcune. Il doppio volto del “trumpismo”: di piazza e di governo. Con le masse e nell’establishment. In Europa il rispetto delle restrizioni è stato più faticoso, per il malessere provocato dal ripresentarsi dell’ondata Covid.

In nome di questo antagonismo variamente giustificato, posizioni politiche differenti sono riuscite a coalizzarsi. Nelle democrazie liberali, messe sotto scacco dal virus, è stato sventolato impropriamente il vessillo della libertà ingiustamente coartata. Una bandiera associata a forme più o meno smaccate di negazionismo culturale.

Una società individualista

Le preoccupazioni per la minaccia di uno Stato autoritario si fondano, alla fine, su una concezione della libertà svincolata da ogni principio di solidarietà umana, e perciò ciecamente individualistica. Si smarriscono il senso della comunità e l’identità di destino a prescindere da ogni differenza. Sfugge l’idea che la miseria degli altri sia anche la nostra, che la morte di ognuno riguardi tutti.

La negazione del male ed il rifiuto di accettarlo come problema sono una strada senza uscita. Non rimane che l’isolamento narcisistico, l’illusione ingannevole dell’onnipotenza individuale, smentita ogni giorno dal principio di realtà. Personaggi come Donald Trump hanno interpretato alla grande questa prospettiva mitologica di invincibilità di fronte alle disavventure, che si trova sminuzzata in molte delle nostre ribellioni personali.

Un inganno: coraggioso non è chi non avverte la paura, ammoniva Aristotele, ma chi la conosce e l’affronta. Non ammettere timori e difficoltà, non accettare i limiti dell’incertezza e della precarietà, significa non riuscire ad affrontare le minacce che si presentano. Senza confrontarsi con questi inciampi, non può maturare l’etica pubblica per essere all’altezza delle sfide, e sapere decidere cosa fare nei momenti difficili.

 

* Angelo Perrone, giurista, è stato pubblico ministero e giudice. Cura percorsi professionali formativi, si interessa prevalentemente di diritto penale, politiche per la giustizia, diritti civili e gestione delle Istituzioni. Autore di saggi, articoli e monografie. Ha fondato e dirige Pagine letterarie, rivista on line di cultura, arte, fotografia.

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