I media e la “voce” dei disperati

Siamo di fronte ad un cambiamento di scenario: dopo mesi in cui il profugo, il così detto clandestino, è stato presentato da molte testate a stampa e anche televisive come il “portatore insano” di gravi problemi o presunti tali – per gli italiani, ora anche nei Tg (sostanzialmente tutti i Tg, anche quelli cha hanno fatto “campagna contro”) per la prima volta viene inquadrato il profugo come soggetto in drammatica difficoltà. Perseguitato e affamato nelle guerre e dai regimi oppressivi africani, sfruttato e a rischio della vita nella traversata del Mediterraneo, abbandonato a se stesso in territorio europeo per colpa della recrudescenza degli egoismi nazionali e dello scarica barili che fa dell’Italia, la porta d’Europa, il collo d’imbuto di un fenomeno epocale e persistente nell’era della globalizzazione: questa la nuova identità che, se pure a macchia di leopardo, si sta imponendo nella pubblica sensibilità.

I media hanno cambiato atteggiamento perché nelle ultime settimane gli scogli di Ventimiglia e le famiglie accampate negli androni delle stazione di Roma e Milano hanno generato un fenomeno spontaneo di solidarietà in tanti cittadini. Le immagini riprese dai media mainstream hanno funzionato come una sorta di flash-mob, inconsapevoli ma altamente efficaci. I profughi almeno in parte sono così passati dall’area della securitarismo a quella dell’innocenza, e così per la prima volta il silenzio degli innocenti è stato rotto. Paradossalmente gli stessi recenti interventi del Papa hanno avuto un maggiore impatto grazie a questo cambiamento di ottica, e le battute leghiste in risposta al “perdono” invocato per chi chiude il cuore alla solidarietà, a differenza che in altre occasioni hanno avuto vita mediatica alquanto magra.

Anche in questo caso la politica si e dimostrata e si dimostra sostanzialmente non adeguata ad leggere e, conseguentemente, ad affrontare e risolvere, i problemi che abbiamo davanti, e i semplici cittadini risultano così migliori di quanto li si dipinge. In un sistema mediatico in cui la “notizia” è la felpa o lo slogan di Salvini, con l’informazione quasi sempre a ricasco delle diatribe tra partiti e movimenti, la realtà   – dimensione di per sé controversa – diventa un optional e non viene quasi mai indagata. Il richiamo alla “pancia”, finalizzato alle baruffe chiozzotte tanto più in campagna elettorale, continua ad essere lanciato, ma ha meno efficacia perché nella “pancia” albergano anche altri istinti, quali la commozione, la pietas, l’immedesimazione nei problemi del prossimo, la solidarietà “di specie”.

Visto che il tasso sempre elevato di aggressività che contraddistingue buona parte del mondo dell’informazione si sta volgendo verso “altro” (l’egoismo della Francia e le contraddizioni di un’Europa senza identità e reali prospettive), sarebbe auspicabile che il Paese d’ora in avanti si mostrasse più coeso nell’affrontare un problema epocale che richiede il contributo di tutti. La vicenda dei profughi è una tragedia per i profughi stessi: questo è l’elemento essenziale che deve albergare sia nella pancia che nella testa degli italiani, politici compresi, e in quanto tale va affrontato con un impegno collettivo di istituzioni e cittadini. Si continui pure a criticare il governo per le inadempienze e la farraginosità degli interventi, ma si eviti di “sfruttare” una volta di più un dramma epocale. E si ascolti, finalmente, la voce di chi soffre, profugo o italiano che sia.

Alberto Baldazzi

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