La presentazione del volume Il nuovo ordine globale. I protagonisti del multilateralismo nelle principali aree continentali. Le principali istituzioni di riferimento in Africa, Americhe, Artico, Asia, Europa a cura di Marco Ricceri, Segretario generale dell’Istituto Eurispes, ha dato l’opportunità di discutere sui temi di geopolitica più attuali che influenzeranno il prossimo futuro. Ospitato da Sioi, (Società italiana per l’organizzazione internazionale), l’incontro ha avuto come relatori, oltre al curatore del volume Marco Ricceri, Riccardo Sessa (Presidente Sioi), Giovanni Barbieri (collaboratore di ricerca del CRANEC dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), l’On. Giulio Tremonti (deputato e Presidente della Commissione Esteri della Camera). Tra i temi maggiormente dibattuti e sviscerati nel corso dell’incontro, figurano: il valore delle organizzazioni internazionali e della diplomazia nel presente e nel passato; i nuovi equilibri economici dettati dai BRICS; la posizione dell’Italia e dell’Unione europea nel quadro geopolitico determinato dall’invasione dell’Ucraina, in Europa come in Africa, Asia e Americhe.
Il “nuovo ordine globale” non suscita un punto di domanda, bensì afferma una realtà già esistente
Ha aperto l’incontro Riccardo Sessa, Presidente Sioi, che è entrato nel cuore del dibattito affermando che il nuovo ordine globale non suscita un punto di domanda, bensì afferma una realtà già esistente. Ci troviamo, infatti, di fronte a una nuova pagina politica a livello mondiale, nuova e diversa rispetto a quella scritta alla fine della Seconda guerra mondiale e modificatasi in seguito alla caduta del Muro di Berlino e alla fine dell’ex URSS. A darne il segno più evidente, sono proprio le organizzazioni multilaterali, che manifestano profondi mutamenti e suscitano dubbi sulla loro efficacia nel contesto attuale. Ma la crisi delle organizzazioni internazionali trova ragione nella crisi delle democrazie che vi partecipano, come evidenziato nel corso dell’intervento: «Le democrazie sono decisamente ammalate, non funzionano. E già il caratterizzarle ammalate sta a indicare che c’è qualcosa di un po’ più importante, che va al di là di una semplice influenza». «Il mondo di oggi – ha poi continuato Sessa – è caratterizzato da due patologie molto precise: un deficit di governance (una crisi della governance internazionale e a maggior ragione nazionale), e un deficit di leadership che spiega la crisi della governance, due fenomeni strettamente collegati. La crisi della governance è sotto gli occhi di tutti. Nessuno di noi immaginava che a un certo momento, dalla fine della Seconda guerra mondiale, noi ci saremmo confrontati con una guerra in Europa. Una invasione da parte di uno Stato per il quale per decenni in Europa, durante la Guerra fredda, noi ci siamo attrezzati e organizzati. Quando abbiamo smobilitato, improvvisamente sono arrivati “i tartari” e perché sono arrivati tartari? La risposta che mi sono dato immediata è che non si è ricorsi alla diplomazia, è stata trascurata la diplomazia».
Oggi il G7 non può risolvere alcun problema se non accetta di andare a cercare nuovi interlocutori, a cominciare dai BRICS
In merito alle organizzazioni multilaterali, l’intervento di Riccardo Sessa ha posto in primo piano l’incapacità delle organizzazioni internazionali di gestire le crisi e ha aggiunto: «Noi siamo nati nel 1945 con 5 membri permanenti che erano, a torto o a ragione, i padroni della vita internazionale. Ma oggi quel sistema non funziona. Non sono più quei cinque, non sono più quei gruppi ristretti a dettare le regole. Si tratta di una realtà che sarebbe incompleta se non tenessimo conto di paesi, che oggi hanno acquistato un peso sul piano internazionale di primissimo piano come i BRICS. L’India insieme alla Russia, e la Cina, e il Brasile, e il Sudafrica, sono i fondatori dei BRICS, di cui nessuno parla, e che invece hanno un lavoro intensissimo di riunioni a tutti i livelli, e di attività e di consultazioni continui. Oggi il G7 non può risolvere alcun problema, se non accetta di andare a cercare interlocutori in altri raggruppamenti, a cominciare proprio dai BRICS, senza i quali non è possibile ipotizzare qualunque tipo di soluzione alla guerra in Ucraina o al conflitto in Medio Oriente». Dunque, né la Nato, né l’Onu sono in grado, allo stato, di impedire o risolvere i conflitti del nostro tempo, e la crisi di governance ha raggiunto dall’interno anche le organizzazioni internazionali, dove i vertici “purtroppo non sono all’altezza delle responsabilità”.
La Cina ha saputo raccogliere e interpretare istanze provenienti dal Sud globale
Secondo Giovanni Barbieri, curatore anche di uno dei capitoli di Nuovo ordine globale, le radici del cambiamento che osserviamo oggi sono da ricercarsi all’inizio del XXI secolo, “e cioè da quando la Repubblica Popolare Cinese ha cominciato a giocare la parte del leone all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio”. La Cina, in questo contesto, ha saputo raccogliere e interpretare istanze provenienti dal Sud globale, ignorate invece da chi teneva in mano le redini della vita internazionale. Le conseguenze, le vediamo oggi con l’importanza assunta dai BRICS negli equilibri economici e geopolitici. L’epoca di pace successiva alla Seconda guerra mondiale in Europa ha fatto dimenticare ai decisori politici che “la vita internazionale è regolata dai rapporti di forza. E queste è una cosa di fronte a cui ci siamo svegliati il 24 febbraio 2022”. Negli ultimi vent’anni, in tale contesto, secondo Barbieri «tutti gli Stati europei più o meno hanno preferito accomodarsi sui dividendi della pace garantiti dalla protezione in termini militari che arrivava da Oltreoceano, cioè dagli Stati Uniti che sono il partner maggiore dell’Alleanza atlantica, preferendo investire i maggiori proventi dell’euro-crescita economica nell’ulteriore crescita economica. E chiaramente, in un’ottica di sicurezza continentale, questo ha indebolito enormemente il progetto di Unione europea».
«Nel contesto internazionale in cui ci troviamo adesso – ha proseguito lo studioso – di profonda crisi del multilateralismo, al punto che appunto la diplomazia viene condotta dai direttori dei Servizi segreti e non dai diplomatici, bisogna ragionare su un punto fondamentale, cioè la crisi delle democrazie. Tutto quello che sta succedendo oggi anche in ambito politologico viene considerato come una sfida dei regimi autocratici contro i regimi liberal-democratici, ma è una maniera sbagliata di declinare i termini della questione. Le liberal-democrazie hanno un problema con loro stesse. E se nel passato esisteva una sfida tra mondo libero e mondo autoritario, quindi democrazie occidentali e blocco sovietico, oggi questo stesso tipo di confronto avviene tra sistemi politici che sono in grado di soddisfare la domanda interna della popolazione e sistemi politici che hanno sempre crescenti problemi a soddisfare questa richiesta politica. Questo scenario è aggravato, dal punto di vista internazionale, dall’incapacità delle nostre liberal-democrazie di interfacciarsi in maniera intelligente e pragmatica con quegli altri sistemi politici, che continuano a macinare vantaggi su vantaggi nei nostri confronti». L’intervento viene chiuso da una riflessione sulla crisi delle nostre democrazie: «In Europa e in Nord America è venuta meno la funzione principale della politica in un sistema di governo liberal-democratico, cioè quello di formare categorie di cittadini che partecipassero attivamente alla vita politica del proprio paese. E mano a mano che si è andati avanti è cresciuto sempre di più un disinteresse verso l’istituzione politica che ha portato via via alla selezione di classi dirigenti sempre meno in grado di avere a che fare con la complessità che avanzava a livello internazionale. E purtroppo questo non succede per l’altro tipo di sistemi politici, cioè quelli autocratici e illiberali, che hanno dei metodi di selezione molto particolari, poco condivisibili, ma che è difficile dire che non selezionino persone in grado di affrontare le sfide che si presentano, soprattutto per quanto riguarda gli alti funzionari di organi dello Stato e i diplomatici».
In Europa e USA è venuta meno la funzione principale della politica, cioè formare categorie di cittadini partecipi della vita politica del proprio paese
Marco Ricceri, Segretario Generale dell’Eurispes e curatore del volume, nel suo intervento pone in primo piano gli organismi internazionali come realtà oggi estremamente complesse, frutto di un mondo che cambia e che trasforma il multilateralismo in multicentrismo. In particolare, il prof. Ricceri offre un quadro delle principali istituzioni di coordinamento presenti oggi in Africa e in Asia, che si propongono come organismi alternativi all’Unione europea, che ne rifiutano le formule preconfezionate per trovarne altre in autonomia. «In Africa c’è l’Unione Africana, come organismo di coordinamento continentale. L’Unione Africana è il punto di riferimento di 8 organismi di coordinamento sub-continentale, che riguardano l’Africa dell’Est, l’Africa dell’Ovest, l’Africa del Sud, del Nord e così via. Tutte istituzioni, con tanto di organismi ben strutturati, Consigli dei ministri, assemblee parlamentari, gruppi di lavoro, Corte di giustizia e così via. Questi organismi hanno un riferimento programmatico al 2063, quindi non guardano solo al 2030 o al 2050. Nei loro documenti affermano di voler organizzare dei loro modelli di sviluppo, non vogliono i modelli di sviluppo europei. Hanno dei progetti di impegno politico che riguardano, per esempio, la costruzione di una moneta alternativa al dollaro e all’euro. Questo vale per l’Unione Africana, ma vale anche per alcune delle organizzazioni sub-regionali». Per quanto riguarda il continente asiatico, «L’Asean si presenta come un modello alternativo all’Unione europea; non vogliono la complessità del sistema europeo, bensì viaggiare con un minimo comune denominatore, vantaggi comuni e così via. Stanno creando un modello alternativo di cooperazione, in cui il sistema dei valori portato avanti dall’Ue è integrato e arricchito da valori che sono propri di quelle realtà. Un caso tipico è che noi parliamo sempre di diritti individuali, di Stato di diritto, mentre essi vi contrappongono la comunità, il diritto della comunità». In conclusione, un operatore economico o politico che va in queste continenti, oggi si trova di fronte a delle realtà estremamente strutturate, avanzate, impegnate a costruire i propri assetti e i propri progetti, realtà delle quali prendere coscienza.
Il nuovo ordine globale figlio di un globalismo senza regole
L’intervento di chiusura è affidato all’On. Giulio Tremonti, che nel parlare di Nuovo ordine globale crea un suggestivo parallelismo tra il presente e un’altra epoca storica, il Cinquecento. In quel tempo, come oggi, si spostò l’asse geopolitico, con la scoperta dell’America; l’invenzione della stampa diffuse il sapere su scala istantanea e universale, come oggi assistiamo alla rivoluzione tecnologica e all’Intelligenza artificiale. Terzo parallelismo, l’attacco all’Occidente da Est, oggi dalla Russia e all’epoca da parte dei Mussulmani. Infine, le due epoche sono accomunate dal rischio di una crisi finanziaria. Ma nel presente, rispetto al passato, «tutto è stato concentrato ed è esploso in un tempo molto beve perché sono pochi anni quelli che danno avvio al cambiamento del mondo. Insomma, “la storia è tornata, con gli interessi arretrati e accompagnata dalla geografia”». Il globalismo, l’ultima utopia del Novecento, si è sviluppata (erroneamente) su una base di laisser faire senza regole, e ciò ha portato a un presente difficile da regolare. Facendo ricorso alla sua esperienza in àmbito politico, l’On. Tremonti ha ricordato le proposte italiane fatte in merito al globalismo: «Nella sede del G20, in un momento in cui l’unica regola era “l’assenza di regole” il governo italiano fece la proposta della Global legal standard; presentato come bozza di un trattato, fu votato dall’assemblea dell’OCSE, nonché presentato in molte sedi internazionali, tra cui la sede centrale del Partito comunista cinese. Sono andato a rivederlo nella bozza, e all’articolo 4 c’è il rispetto di regole ambientali e igieniche. Vi dice nulla sul Covid? Fu battuto dal cosiddetto Finance stability board che diceva “non servono regole, basta stampare moneta”, e l’effetto lo stiamo in un qualche modo vedendo. Nei comunicati, per esempio nell’ultimo G7, si ritrovano parole come “rule based trade”, cioè un commercio che deve avere una qualche base, regola. Tuttavia è una formula convenzionale, non è rappresentativa di una effettiva scelta politica».
L’On. Tremonti ha parlato, nel corso del suo intervento, anche delle nuove realtà decisive della scena economica internazionale, come la Cina e in generale i BRICS. «La Cina può avere la tecnica, la spinta sul digitale nel tentativo di compensare i problemi demografici, può anche avere milioni di ingegneri, ma la scienza presuppone la libertà. Non hanno i vaccini e questo secondo me è un dato. Detto questo, io credo che ci sia un’enorme complessità, e che la costruzione dei BRICS la formuli come schema generale». Infine, sullo stato delle nostre democrazie, Giulio Tremonti ha concluso con una riflessione sulla complessità degli stessi sistemi democratici: «la richiesta finanziaria supera i confini nazionali e può creare degli effetti non particolarmente democratici. Non ho mai dimenticato la storia degli spread, che è un caso di fascismo bianco. Detto questo, poi un’altra questione che muove e modifica il voto è che molti problemi vengono dal futuro, a partire dall’Intelligenza artificiale; tutto questo rende in un qualche modo difficile la democrazia».
L’ultima parte del dibattito è stata dedicata alle domande di approfondimento rispetto ai temi proposti dal parte del pubblico, alle quali hanno risposto i relatori.