Nell’àmbito del Laboratorio sui BRICS dell’Istituto Eurispes, abbiamo posto una serie di domande alla Prof.ssa Lucia Scaffardi dell’Università di Parma. La Professoressa Scaffardi partecipa al Gruppo di coordinamento delle attività comuni del Laboratorio, coordinato dal Prof. Marco Ricceri, Segretario generale dell’Eurispes, e del “BRICS Parma Research Group” del Dipartimento di Giurisprudenza, Studi Politici e Internazionali dell’Università di Parma. La collaborazione tra Eurispes e Università di Parma è frutto di un accordo siglato nell’aprile di quest’anno con lo scopo di porre in essere iniziative comuni scientifiche e culturali e di studio sul tema del coordinamento internazionale BRICS.
Professoressa Scaffardi, lo scorso 18 marzo 2024, BRICS Parma Research Group, da Lei diretto e l’Eurispes con il suo Laboratorio sui BRICS hanno organizzato presso l’Università di Parma un convegno sull’allargamento della cooperazione BRICS e le prospettive future. Può parlarci sinteticamente degli input più importanti emersi da questo incontro tra esperti?
Sin dalla sua nascita, nel 2011, BRICS Parma Research Group ha avuto lo scopo di monitorare, analizzare e fornire spunti per il dibattito sorto intorno alla creazione di questo vero e proprio legal network. L’incontro dello scorso 18 marzo è stato un utile confronto tra esperti per dialogare sull’allargamento dei BRICS. L’interrogativo principale sorto con l’ingresso di Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, infatti, è sicuramente quello relativo al coordinamento con cui si opererà in questa nuova formazione, vale a dire se continueranno a essere utilizzate le modalità di funzionamento attuali o se andranno esplorati modelli di cooperazione diversi. Ciò che è certo è che il “BRICS plus” o “BRICS+” continuerà a essere quel poliedro di soluzioni mai immaginate che è sempre stato e che ci ha abituato a guardare con costante interesse a questa “forma associativa apparentemente dissociata”.
Quali possono essere, secondo Lei, le convergenze dei BRICS con l’Unione europea, quali i possibili punti di contatto?
Se pensiamo al profilo strutturale, ma anche a quello del funzionamento, si può ritenere che le convergenze con l’Unione Europea non siano particolarmente numerose. Se si tiene conto del fatto che la cooperazione è nata e ha sempre voluto proporsi come alternativa ai modelli sovranazionali esistenti, ciò non sorprende affatto. Senza contare la dimensione regionale dell’Unione europea – mentre il BRICS, come detto, si è sempre proposto come modello alternativo di governance globale – è sufficiente menzionare il fatto che nessuna cessione di sovranità è prevista per aderire al coordinamento – ciò su cui l’Unione europea, invece, si fonda – per rendersi conto che si tratta di paradigmi certamente differenti. L’assenza di istituzioni pienamente democratiche è certamente un altro elemento che mette a fuoco con ulteriore nitidezza la distanza tra BRICS e Ue. Non si devono, tuttavia, dimenticare le iniziative organizzate all’interno del coordinamento BRICS per far sì che i popoli dei paesi stabiliscano profonde connessioni: si pensi al BRICS Civil Forum, nato nel 2015 con lo scopo di promuovere un dialogo costruttivo tra le organizzazioni della società civile e il mondo accademico, ma anche al BRICS Film Festival o al BRICS Games.
Secondo la Sua opinione, l’allargamento ad altri paesi quanto renderà i BRICS alternativi o competitivi rispetto alla NATO? E questo può rappresentare un’opportunità o una sfida per la tenuta dei sistemi?
L’allargamento di inizio anno rappresenta, senza dubbio, un ulteriore e deciso passo verso una maggiore capacità del BRICS di “rappresentare” varie aree geografiche a livello globale, con inevitabili rischi di equilibrio e pressione geopolitiche multilivello. Con l’ingresso del Sudafrica, nel 2010, il gruppo aveva già coinvolto anche il continente africano e in quel frangente la scelta era ricaduta su un paese che poteva garantire, più che risorse, stabilità politica. Ora con l’ingresso di paesi quali l’Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Iran, anche il Medio Oriente prende parte al coordinamento. L’alternatività del network ne esce senza dubbio confermata, mentre per valutarne la competitività si dovrà attendere di vedere come si opererà in concreto e quali risultati potranno essere raggiunti anche sul piano della rappresentanza a livello globale.
Può parlarci del “Food for Future” Project al quale partecipa la sua Università e spiegarci questa iniziativa?
Il Dipartimento di Giurisprudenza, Studî Politici e Internazionali dell’Università di Parma, è stato selezionato con il progetto Food For Future dal Ministero dell’Università e della Ricerca come Dipartimento di Eccellenza per il quinquennio 2023-2027. Ogni 5 anni, infatti, il MUR seleziona 180 Dipartimenti che vengono finanziati per rafforzare e valorizzare la loro ricerca, con investimenti in capitale umano, infrastrutture e attività didattiche e scientifiche di alta qualificazione. Food For Future non è però solo un centro di eccellenza per la ricerca, ma anche per la didattica nel settore del food law: nell’anno accademico 2024-2025 prenderà il via Global Food Law: Sustainability Challenges and Innovation, un corso di Laurea Magistrale interamente in lingua inglese, aperto agli studenti di tutto il mondo, e perché no anche a quelli dei paesi BRICS, che formerà i giuristi del futuro, capaci di agire in scenari nazionali e internazionali – a partire da quello europeo – in cui si decide la sfida della sostenibilità, con particolare attenzione al settore dell’agroalimentare e all’innovazione tecnologica.