Il mondo continua a muoversi, e le migrazioni sono parte integrante di questo dinamismo. Come evidenziato dal “Migration Outlook 2024” dell’OCSE, nel 2023 il numero di migranti permanenti verso i paesi dell’OCSE ha raggiunto il massimo storico, stabilendo un nuovo record per il secondo anno consecutivo con oltre 6,5 milioni di nuovi immigrati permanenti. Questo aumento, che comprende diverse tipologie di trasferimenti, testimonia i profondi cambiamenti sociali ed economici in atto: dalla necessità di soddisfare la domanda di forza lavoro qualificata alla gestione delle crisi umanitarie, fino alla definizione di politiche innovative per favorire l’integrazione e promuovere la cooperazione internazionale. Mentre alcuni paesi dell’OCSE, fra cui Canada, Francia, Giappone, Svizzera e Regno Unito, hanno visto crescere notevolmente i flussi migratori, l’Italia si trova a confrontarsi con una riduzione delle nuove entrate. Questo andamento è il risultato di una combinazione di fattori, tra cui la crescente competizione internazionale per l’attrazione di talenti, le difficoltà economiche interne e un sistema di accoglienza che presenta ancora criticità. Il quadro globale è caratterizzato soprattutto da un aumento di persone che scelgono di spostarsi per motivi familiari e di lavoro, ma crescono anche le richieste di asilo a causa di crisi politiche e umanitarie in paesi come la Siria e l’Afghanistan.
Nel 2023 nei paesi OCSE sono arrivati oltre 6,5 milioni di nuovi immigrati permanenti
Per quanto riguarda l’Italia, il 2023 ha visto un calo dei nuovi migranti permanenti dell’11,6%, contando 208.200 ingressi. Nonostante la diminuzione, l’Italia rimane uno dei paesi dove si registra un significativo numero di arrivi, in particolare per quanto riguarda la migrazione per motivi familiari che, continua a rappresentare una parte consistente dei flussi verso il Paese. A differenza di altre nazioni dell’area OCSE che stanno promuovendo l’immigrazione lavorativa per contrastare la carenza di manodopera qualificata, l’Italia mostra ancora una limitata capacità di attrarre talenti stranieri, anche a causa di un mercato del lavoro meno dinamico e di una burocrazia spesso percepita come complessa e dissuasiva. Nonostante la diminuzione degli ingressi, gli immigrati già presenti in Italia giocano un ruolo fondamentale nell’economia nazionale, specialmente in settori come l’assistenza domestica, la ristorazione e l’edilizia. Tuttavia, nel nostro Paese l’integrazione economica e sociale di questi lavoratori rimane un punto critico: nel 2023, il tasso di occupazione degli stranieri in Italia è stato del 64%, inferiore alla media OCSE del 71,8% e il tasso di disoccupazione degli immigrati in Italia, pari al 10,3%, è risultato superiore rispetto alla media OCSE del 7,3%, un distacco che evidenzia la necessità di politiche più efficaci per l’integrazione lavorativa dei migranti, sebbene inserito in un contesto generale di risultati scoraggianti nel mercato del lavoro anche per i cittadini italiani. A livello europeo, paesi come la Germania, la Francia e la Svezia registrano tassi di occupazione per i migranti superiori, con la Svezia che raggiunge un tasso del 79,7%. Inoltre, i lavoratori stranieri tendono a essere impiegati in lavori meno qualificati e con condizioni contrattuali meno favorevoli rispetto ai cittadini italiani, una disparità che alimenta una diffusa percezione negativa sull’immigrazione. Una grande parte dei lavoratori stranieri in Italia è occupata in ruoli operai o non qualificati, e il 60,2% dei cittadini extra Ue laureati si trova impiegato in professioni a bassa o media qualifica, a fronte del 19,3% degli italiani con analogo titolo di studio.
Rispetto a Francia, Svizzera e Regno Unito, l’Italia si confronta con una riduzione delle nuove entrate
Un’altra dimensione utile a misurare l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro nonché la loro capacità di contribuzione all’economia nazionale, è la cosiddetta imprenditoria migrante: in Italia, il 13,7% dei lavoratori stranieri è auto-impiegato, una percentuale in linea con la media OCSE del 13,8%. Nonostante il dato italiano sia allineato alla media, il nostro è uno dei paesi dove gli stranieri hanno meno probabilità rispetto ai nativi di avviare attività autonome. Infatti, nei due terzi delle economie OCSE il tasso di lavoro autonomo è maggiore per i nati all’estero rispetto ai cittadini nazionali, mentre in Italia, Giappone, Corea, Grecia e Islanda il dato è invertito. Occorre tuttavia sottolineare che la scelta di avviare un’attività autonoma non sempre nasce da una valutazione di opportunità, essendo più spesso dettata dalla necessità derivante da barriere all’accesso al lavoro dipendente, specie se qualificato. Questa tendenza è confermata da un’indagine sul lavoro autonomo condotta nei paesi Ue-EFTA da cui emerge che nell’area considerata quasi il 20% dei lavoratori in proprio stranieri preferirebbe un impiego dipendente, contro il 16% dei nativi; dato che diventa particolarmente significativo in Italia, sfiorando il 40% per i lavoratori autonomi stranieri e il 30% per quelli italiani, indicando una generalizzata difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, ma nettamente più marcata fra i lavoratori immigrati. La decisione di intraprendere un’attività autonoma per far fronte ad uno stato di necessità si riflette anche sulla dimensione delle imprese fondate da immigrati che, in tutti i paesi OCSE, tendono ad avere dimensioni inferiori rispetto a quelle avviate dai nativi e, la maggior parte degli stranieri che ha avviato un’attività in proprio, risulta non avere dipendenti. Nonostante ciò, le iniziative imprenditoriali dei migranti non creano solo opportunità per sé stessi, ma rappresentano anche un potenziale contributo alla creazione di posti di lavoro per altri: nel complesso, tra il 2011 e il 2021, l’imprenditoria migrante ha creato circa 4 milioni di nuovi posti di lavoro in 25 paesi OCSE, dimostrando così l’importanza di questa componente per le economie nazionali. In Italia, ogni imprenditore migrante ha generato in media 0,13 posti di lavoro, un dato leggermente inferiore alle media OCSE di 0,2 e lontano da quello degli Stati Uniti dove questo numero sale a 0,4. Dunque, nonostante il contributo all’economia nazionale e al mercato del lavoro sia positivo, il margine di miglioramento è ancora ampio, mostrando l’esistenza di un potenziale ancora poco valorizzato.
L’imprenditoria migrante in Italia coinvolge il 13,7% dei lavoratori stranieri
Solo pochi paesi OCSE hanno integrato nei servizi tradizionali di sostegno all’imprenditorialità programmi specifici dedicati agli stranieri, mentre è più diffusa la promozione dell’imprenditoria migrante nell’ambito di iniziative dedicate all’integrazione. Il “Migration Outlook” sottolinea come, laddove non esistono misure né programmi nazionali per supportare l’imprenditorialità migrante, siano intervenute iniziative su piccola scala a cercare di colmare questo vuoto. In Italia il programma CNA Word-Dedalo citato nel report OCSE rientra in questa casistica: un programma di supporto all’imprenditorialità migrante di lunga data, istituito per la prima volta a Torino nel 2000 e che da allora si è esteso ad altre 25 città offrendo servizi di consulenza, supporto e formazione sia per gli imprenditori alle prime armi che per quelli già operativi. Il programma offre consulenza legale sulla regolamentazione aziendale e in merito alle leggi sull’immigrazione e offre supporto agli imprenditori migranti per aprire un conto bancario e accedere ai finanziamenti. Dal 2018 alcune iniziative centralizzate hanno rafforzato gli sforzi italiani a sostegno dell’imprenditoria migrante, in particolare la collaborazione fra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Unioncamere ha dato vita all’intervento Futurae. Programma Imprese Migranti, la cui prima edizione si è conclusa nel novembre 2022 concretizzandosi nella nascita di un “Osservatorio sull’inclusione economica e finanziaria delle imprese gestite da migranti”, nella pubblicazione di un rapporto e di una dashboard interattiva sul sito del MLPS e sul Portale Integrazione Migranti. Sono stati inoltre attivati corsi di orientamento, di formazione e servizi di business plan e, alla fine del programma il bilancio ha contato 66 nuove imprese attivate. A dicembre 2022 è partita la seconda edizione dell’intervento, seppur con risorse pressoché dimezzate rispetto all’edizione precedente (da 3,2 milioni di euro a 1,5 milioni di euro).
In Italia l’imprenditoria migrante è sostenuta da iniziative su piccola scala che cercano di colmare un vuoto nel sistema di accoglienza e integrazione
L’accoglienza degli immigrati e la loro integrazione nel tessuto economico e sociale del Paese, rappresenta per l’Italia una sfida difficile che, se affrontata in modo organico, cela straordinarie opportunità. Alcuni progressi sono stati fatti, ma rimangono lacune significative, soprattutto per quanto riguarda l’accesso all’abitazione, l’integrazione economica e sociale e la lotta alla discriminazione. L’analisi dell’OCSE evidenzia l’inasprimento delle politiche migratorie italiane a partire dal 2023, con approcci più rigorosi e restrittivi all’accoglienza di immigrati e di richiedenti asilo, pur facilitando l’ingresso di lavoratori stagionali per far fronte alla carenza di manodopera, specie nel settore agricolo e assistenziale. Alcune buone pratiche e politiche organiche messe in atto in altri paesi dell’area OCSE hanno dimostrato come il contributo degli immigrati all’economia possa essere amplificato favorendo l’accesso al mercato del lavoro, alla formazione professionale e all’istruzione. Interventi di questo tipo non possono che partire da un sistema di accoglienza, inclusione e integrazione che in Italia sembra ancora lontano dal voler essere implementato in modo coordinato e proattivo. Per l’Italia i migranti rappresentano una risorsa fondamentale in un momento di progressivo invecchiamento della popolazione, ma solo invertendo la rotta intrapresa dalle più recenti politiche sarà possibile trasformare la migrazione da problema percepito a opportunità di sviluppo e innovazione per tutto il Paese.