Incendi al Sud appuntamenti programmati: necessario coordinamento delle forze

incendi

Come il Festival di Sanremo, come la scampagnata del primo aprile: lo sappiamo e ci organizziamo per tempo. Per gli incendi ci si organizza meno. E, regolarmente ci ritroviamo a rivivere e a mescolare stupore e sdegno proponendo soluzioni e interventi estemporanei destinati a durare il tempo delle fiamme, per il migliaio di ettari bruciati, per l’arresto di qualche piromane beccato sul fatto. Ma problema è molto più serio e grave.

Fiamme al Sud: i numeri

Nel nostro Paese, dall’inizio dell’anno, sono bruciati più di centomila ettari di terreno, e la stagione “dei fuochi” ormai si è allungata, gli incendi autunnali di settembre-ottobre possono essere addirittura anche più gravi di quelli estivi. Un’area grande quanto 140 mila campi da calcio: il quadruplo rispetto ai 28.479 ettari arsi, in media, ogni anno dal 2008 al 2020. Nella Penisola sono scoppiati 393 incendi di grandi dimensioni (oltre i 30 ettari), contro una media di 224 nel periodo 2008-2020. Lo sostengono i dati dell’European forest fire information system (Effis) della Commissione europea: rivelano che l’Ue sta bruciando a un ritmo doppio rispetto agli anni scorsi. Conseguentemente gli interventi dei vigili del fuoco per incendio boschivo nel periodo che va dal 15 giugno all’8 agosto sono quasi raddoppiati, 44.442 contro 26.158 dello stesso periodo: il livello è già lo stesso del 2017 (anno record), quando furono 45.704.

Nel 2020 +18% di aree andate in fumo rispetto al 2019

In relazione al rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente, nel 2020 tra incendi dolosi, colposi e generici sono andati in fumo 62.623 ettari di superficie boscata e non boscata (+18,3% rispetto al 2019). I reati accertati sono stati 4.233 (+8,1%), 552 le persone denunciate per incendio doloso e colposo (+25,2%), 18 quelle arrestate (+80%), 79 i sequestri effettuati (-29,5%). Oltre la metà degli illeciti (il 54,7%) si sono registrati tra Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, seguite a poca distanza dal Lazio. La Campania in particolare è al primo posto per numero di illeciti (705, il 16,7% del totale nazionale), la Sicilia per numero di ettari distrutti dalle fiamme (36.321, il 13,7%). La classifica provinciale degli incendi scoppiati nel 2021 vede invece ai primi cinque posti per numero di reati accertati Cosenza, Salerno, Palermo, Foggia e Potenza. Un numero di illeciti che nel complesso continua ad aumentare e che si somma agli 81.464 già accertati sul territorio nazionale tra il 2006 e il 2019. I numeri del 2021 andranno a ingrossare ulteriormente le statistiche, restituendo un quadro sempre più preoccupante.

Italia prima in Europa per numero di incendi

I roghi che al Sud consumano boschi e campagne sono un drammatico esempio della vulnerabilità dei nostri territori, del nostro patrimonio naturalistico, del paesaggio e della biodiversità. Secondo i dati di European forest fire information system, l’Italia è prima nel continente per numero di incendi: dall’inizio dell’anno sono andati in fumo 102.933 ettari di terreno. Un numero in costante aumento da anni ormai.
Fra le cause dei roghi, le azioni dell’uomo (per il 75% dei casi, secondo il WWF), il cambiamento climatico e la mancanza di gestione attiva dei territori e delle foreste.

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I frequenti incendi forestali degli ultimi anni, uniti alla irregolarità delle precipitazioni, possono aggravare i rischi di desertificazione. Tale pericolo, presente in tutto il Sud Mediterraneo, incomincia ad interessare anche la parte nord e a preoccupare seriamente gli organismi internazionali poiché minaccia i programmi di riforestazione e utilizzazione delle risorse forestali. Di fronte a tale problema i paesi più colpiti stanno organizzando il potenziamento dei mezzi di lotta e formulando progetti pilota per contribuire al mutuo soccorso in caso di incendi di particolare gravità. La statistica delle cause è purtroppo molto meno completa di quella dei sinistri, dunque la questione non può essere chiarita con dati certi e documentati e richiede un’analisi profonda delle possibili motivazioni degli incendiari per conoscere l’origine del fenomeno.

Tra le cause, lo spopolamento di vaste aree rurali

Il clima e l’andamento stagionale giocano un ruolo fondamentale nel predisporre una situazione di favore allo scoppio dell’incendio per cui, periodi di mancata pioggia e di alte temperature determinano condizioni di estrema pericolosità. Quando la vegetazione erbacea è secca il potenziale combustibile aumenta considerevolmente; viceversa, in pieno rigoglio vegetativo l’innesco del fuoco è difficile. Non vi è dubbio che la causa prima degli incendi boschivi vada ricercata essenzialmente nel grado di depauperamento e di forte spopolamento delle zone dell’alta collina e della montagna. Un simile evento ha determinato nel tempo l’abbandono di tutte quelle pratiche agronomiche che, di contro, in passato venivano effettuate nelle campagne e nei boschi, con il risultato di rendere il bosco meno soggetto nei confronti del fuoco. La ripulitura, il pascolo disciplinato, eventuali colture facevano sì che il sottobosco non fornisse un’esca e, nel contempo, la presenza attiva dell’agricoltore e del pastore era garanzia di sicurezza per un rapido intervento anche in caso di un improvviso incendio.

Cause dolose spesso vengono etichettate come opera di piromani, ma la piromania è un fenomeno molto marginale e di poca incidenza nella casistica degli incendi boschivi, dove invece la volontarietà del gesto ha delle precise motivazioni di interesse personale, riconducibili alla creazione di terreni coltivabili e di pascolo, o per finalità urbanistiche legate a nuova edilizia, per creare posti di lavoro stagionali, o per approvvigionamento del legno. Recentemente fa capolino l’ipotesi di una maggiore disponibilità di terreni a favore di insediamenti fotovoltaici o eolici. Malaffare, comunque e in ogni caso.

Le cause dolose connesse al profitto

È interessante la casistica identificata dal Corpo Forestale dello Stato su incarico del Governo, che elenca le cause dolose connesse alla ricerca di un profitto: incendi causati da apertura o rinnovazione del pascolo a spese del bosco; incendi causati dalla volontà di recuperare terreni agricoli a spese del bosco per la coltivazione o per attivare contributi comunitari; incendi causati con l’intento di guadagnare dalla scomparsa della vegetazione a fini di coltivazione agricola o di speculazione edilizia; da questioni occupazionali connesse agli operai assunti dagli Enti locali. E ancora: incendi causati con l’intento di essere inclusi in squadre antincendio; da azioni non corrette riconducibili al bracconaggio; per ottenere prodotti conseguenti al passaggio del fuoco; incendi causati dalla criminalità organizzata; incendi dovuti a manifestazioni di protesta, risentimenti e insensibilità verso il bosco; incendi causati da vendette o ritorsioni nei confronti della Pubblica amministrazione; incendi causati da conflitti o vendette tra proprietari, da proteste contro i vincoli imposti nelle aree protette, per gioco o divertimento di minorenni, con l’intento di deprezzare aree turistiche. Incendi causati da fatti riconducibili a contrapposizioni politiche, da insoddisfazioni, dissenso sociale, turbe comportamentali (piromania e mitomania).

Il recupero più urgente è nelle aree a rischio idrogeologico

Il rimboschimento ha sempre un costo elevato. Si parte dai 5 mila euro per ettaro, per una spesa che comprende l’acquisto delle piante, la manodopera e la protezione da animali e siccità da assicurare alle nuove piante nei primi anni. Ma il recupero più urgente è quello delle aree a rischio idrogeologico.

In questo contesto, assume particolare rilievo la recente iniziativa del CAI che con il suo manifesto “Sui sentieri percorsi dai fuochi” lancia un accorato appello alle associazioni ambientaliste e di categoria per fare fronte comune contro il ripetersi dei gravi e devastanti incendi su tutto il territorio e che hanno assunto, ormai, una frequenza e una connotazione tipica di un’attività criminale premeditata e scientemente portata a compimento con particolari condizioni climatiche. Non è un caso «che le regioni d’Italia più colpite siano state Sicilia, Sardegna e Calabria dove risulta enorme l’incidenza di fatti delittuosi, veri e propri crimini perpetrati nei confronti dell’ambiente. A ciò si aggiunga una mancanza di cura del territorio, spesso abbandonato, senza attività agricole di presidio continuativo».

Un nuovo modo di gestire i territori

L’emergenza deve far posto al governo e alla gestione ordinaria dei territori. E questo presuppone una precisa ripartizione delle competenze fra Regione, Comuni ed enti territoriali. Al costante monitoraggio del territorio può essere accompagnato un inasprimento delle pene in tema di “disastro ambientale” e l’ampliamento dei termini temporali previsti per il vincolo di destinazione d’uso delle aree percorse dal fuoco. E perché non prevedere, almeno per la stagione estiva, che l’Esercito, con l’impiego di uomini e mezzi altamente specializzati, possa presidiare le aree sensibili?

Il fenomeno è estremamente complesso e la sua ripetitività, negli anni, pretende un radicale cambiamento di rotta. Una governance efficace ma, allo stesso tempo, è opportuna un’opera di sensibilizzazione e formazione civica sulle tematiche ambientali per contrastare culturalmente e con adeguati incentivi l’abbandono delle aree rurali. In questo modo si faciliterebbe la responsabilizzazione del capitale umano, affidando a enti e associazioni no-profit i beni demaniali inutilizzati e le relative aree, con la possibilità di uso dei beni e fornitura di servizi alla collettività.

 

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