Il suffragio universale? Sopravvalutato. Il voto ‘ignorante’ valga meno di quello ‘informato’. Il voto ponderato é la proposta di Dambisa Moyo.
Il voto dei cittadini non può essere uguale. Quello di una persona ‘ignorante’ deve valere meno, molto meno, di quello di un cittadino-elettore informato. È questa la tesi di fondo dell’ultimo saggio di una importante economista americana, originaria dello Zambia, Dambisa Moyo, dal titolo Edge of chaos (in Italia il volume edito da Egea, si intitola Orlo del caos). Del resto, non lo aveva detto persino Winston Churchill: «Il migliore argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio»?
E così, nel dibattito politico e culturale sui temi della democrazia e delle elezioni, irrompe questa provocazione, accolta in modo favorevole da più settori, anche e soprattutto in virtù del recente trionfo dei populismi, da quello di Trump negli Usa, a quello del M5S e della Lega in Italia, per non dimenticare la vittoria della Brexit nel Regno Unito. Ma, come si è arrivati a mettere in discussione il principio basilare della democrazia, qual è il suffragio universale? È la reazione di quanti, a prescindere dall’orientamento politico, lamentano il prevalere del cosiddetto ‘voto di pancia’, su quello razionale e ragionato. Dambisa Moyo, economista della scuola Goldman Sachs, editorialista del Wall Street Journal e del Financial Times, teorizza il ‘voto ponderato’ da calcolare in base al grado di informazione ed interesse degli elettori. La consapevolezza che muove la sua conclusione parte dalla evidente crisi della democrazia, incapace ed inefficiente, vittima delle esasperazioni alimentate di populismi e dalla disinformazione delle fake news.
Una democrazia che deve fare i conti con l’astensionismo elettorale e con la crisi dei partiti e della partecipazione alla vita pubblica. Una democrazia che non è più in grado di garantire il primato della politica sulla finanza e che non riesce più a guidare in modo efficace la crescita economica. La proposta di un ‘voto ponderato’ vuole intervenire in questo vuoto, facendo sì che il voto degli elettori informati e consapevoli valga di più di quello di chi informato e consapevole non é. L’autrice sgombra subito il campo dalle accuse di elitarismo, precisando che il principio di uguaglianza sociale non verrebbe intaccato da questo meccanismo, in quanto esso non tiene conto del grado di istruzione o l’appartenenza ad un ceto sociale piuttosto che ad un altro.
Il ‘voto ponderato’ di cui parla Moyo riguarda l’interesse e la passione per la politica e per i suoi argomenti: «Se ti interessa la politica, se le dedichi tempo, energie e passione, è giusto che la tua voce, le tue scelte, il tuo voto, abbiano più peso nel dibattito». Ovviamente i suoi detrattori hanno mosso dei dubbi su come valutare questo livello di partecipazione e di informazione. «Basterà fare un test – replica l’economista – del tutto simile a quello che si usa per le domande di cittadinanza». La conseguenza di questa impostazione, laddove venisse introdotta, dato che i dubbi sulla sua applicazione rimangono numerosi, sarebbe comunque quella di incoraggiare una maggiore partecipazione delle persone al dibattito politico sulle leggi, le proposte ed i provvedimenti, non fosse altro che per metterle sullo stesso piano di coloro che sono più informati.
Ma le proposte di Dambisa Moyo, tutte orientate ad un miglioramento sostanziale dell’istituto democratico, non finiscono qui. Sua anche la richiesta di ridurre il numero degli appuntamenti elettorali, al fine di far uscire la classe politica dalla prospettiva di una campagna elettorale permanente, invogliandola a governare ed a decidere piuttosto che a cercare consensi a brevi e regolari intervalli temporali. Un’altra proposta riguarda invece il riconoscimento dei compensi ai politici sulla base della crescita economica del Paese, alla stregua dei parametri usati per i manager e per gli amministratori delegati di quelle aziende private dove parte cospicua del compenso da essi ricevuto è legata al raggiungimento degli obiettivi che si sono prefissati.
Ovviamente, la proposta dell’economista americana, si fonda direttamente sulla reale possibilità che i cittadini possano accedere in modo libero alle informazioni, e che possano godere del vero pluralismo di una stampa autorevole ed indipendente, che faccia da contraltare alla politica, alla burocrazia e ai poteri economico-finanziari, e si inserisce nella querelle sulla crisi planetaria della democrazia, di cui tanto si è scritto ed ancora di più si continua a scrivere.
Una democrazia che deve fare i conti con l’avvento della Rete e dei social media, insidiata dai fautori della democrazia diretta a scapito di quella rappresentativa, ed accusata di non saper governare la complessità e le diversità sociali, le disuguaglianze culturali ed economiche, e di non dar voce agli esclusi e agli emarginati. Una democrazia che non appare più, quindi, come era sino a pochi anni fa, l’unico orizzonte possibile, in un’epoca in cui si è pensato persino di esportarla con tutti i mezzi. Una democrazia all’interno della quale, oggi, vi è chi pensa che i voti non possano e non debbano essere tutti uguali.