Italia al braccio di ferro con l’Europa, Salvini sfida i partner tradizionali, Orban più vicino. Ma “Lega e M5S non sono la stessa cosa e sovrapporli è un errore madornale”. Dal tema immigrazione alla questione del deficit e delle riforme promesse, l’europarlamentare pentastellata Laura Agea, membro della Commissione per l’occupazione e per gli Affari Sociali, membro della Delegazione all’assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, risponde alle nostre domande.
Onorevole Agea, partiamo da una sua dichiarazione di poco tempo fa, quando fece notare che nel documento programmatico della nuova presidenza di turno austriaca, non compariva mai la parola “solidarietà”. L’impressione che si ha da più parti, è che ora sulla stessa linea si stia allineando anche l’Italia. Non le pare?
Sono sicura di no. L’Italia sta chiedendo a gran voce solidarietà, ogni giorno, su tutti gli argomenti che implicano l’Europa, ma si trova davanti un’Europa che o è sorda o non vuole capire.
A che cosa si riferisce?
Le faccio due esempi: primo tra tutti, la proposta del Ministro della Difesa, Trenta, di creare un meccanismo di coordinamento sulla scelta del porto di sbarco delle navi di migranti, che si allinea ai princìpi di cooperazione ed equa ripartizione delle responsabilità, permettendo di gestire a livello comunitario un fenomeno europeo. L’Italia è oggi l’unico porto di sbarco delle navi soccorse nel Mediterraneo e la problematica non è gestibile da un unico paese. L’altra battaglia è quella della tracciabilità dell’eccellenza del nostro Paese attraverso il riconoscimento del Made in Italy, che deve essere fatto a livello europeo.
Crede che la vicenda “Diciotti” sia stata gestita all’insegna della solidarietà?
Diciamo che la vicenda è stata strumentalizzata: è stata, infatti, l’Italia, benché fosse Malta il paese che avrebbe dovuto soccorrere i migranti, a salvare il 15 agosto la nave che era alla deriva. Ci siamo occupati delle persone a bordo, garantendo sostegno medico, mentre l’Europa che cosa ha fatto? La gestione del fenomeno migratorio costa 4 mld l’anno e, ancora una volta, anche in questo caso, è mancata la solidarietà.
Il 16 novembre del 2017 il Parlamento Europeo ha approvato una riforma innovativa del Regolamento di Dublino. Questa prevede che l’esame delle domande d’asilo non si radichi più nel primo paese di ingresso. È stata decisa, infatti, la distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo in tutti i paesi dell’Unione europea, indipendentemente da dove entrano, e tale distribuzione si deve basare su parametri oggettivi come popolazione e Pil. Perché il Governo italiano, all’ultimo Consiglio Europeo di giugno, non si è appoggiato a questa riforma, che esprime proprio quello che il programma giallo-verde chiedeva? Perché nessun europarlamentare l’ha ricordata?
La nostra posizione è chiara: l’accordo di Dublino deve essere stracciato. L’Italia, infatti, viene fortemente penalizzata. Secondo le nuove regole sarà sempre e solo l’Italia che si dovrà fare carico dei migranti economici; i criteri e i filtri introdotti dal nuovo Regolamento renderanno impossibile ricollocare i migranti. L’altro nodo critico riguarda la sicurezza: oggi, un migrante potenzialmente pericoloso che sbarca in Italia può rimanere in Italia. Dublino va stracciato.
A questo punto, la domanda viene spontanea: quanto contano le riforme che approva il Parlamento Europeo?
All’interno delle Istituzioni europee la proposta viene approvata dalle Commissioni e poi modificata dal Parlamento, successivamente si aprono i negoziati con il Consiglio. Il nostro obiettivo è portare gli interessi dei cittadini all’interno della legislazione, che poi impatta in modo concreto con la loro vita. Il problema è che a Bruxelles ci sono più lobbisti che cittadini. Quindi, abbiamo bisogno di essere presenti in Europa perché certe riforme sono essenziali, ma bisogna utilizzare un metodo trasparente e concreto per metterle in pratica.
Secondo lei, stiamo assistendo ad un cambio di rotta dell’Italia in Europa? Francia e Germania sembrano sempre più lontane, i paesi di Visegrad appaiono invece più dietro l’angolo. È così?
Gli alleati più vicini a noi sono i cittadini: in questi quattro anni, nell’àmbito del Parlamento Europeo abbiamo lavorato sui contenuti e sui provvedimenti e abbiamo creato collaborazioni e fatto alleanze, non sulle persone e sui gruppi politici ma sugli argomenti.
Certo, questo è ciò che avete fatto voi in questi anni. Ma ora il nuovo Governo, in particolare la Lega, sta prendendo posizioni diverse da quelle intraprese finora.
Stabiliamo che il Movimento 5Stelle e la Lega non sono la stessa cosa, oggi c’è un accordo di governo, dei punti condivisi, ma sovrapporre Lega e M5S è un errore madornale; chi lo fa, lo fa in malafede.
E le dichiarazioni di Salvini su un avvicinamento a Orban?
Senta, oggi Orban sta col la Merkel e con Forza Italia, e non è detto che il prossimo anno Orban stia con Salvini. La sorpresa potrebbe essere che Orban tornerà alla casa del padre e non della madre, ossia la Merkel. Di fatto, oggi, il partito di Orban siede nel partito del Ppe.
Parliamo di economia: i conti pubblici dell’Italia sono a rischio di una nuova procedura d’infrazione europea per eccesso di deficit. E nel dibattito politico, impazza la questione dello sforamento del deficit 2019 del 3% del Pil. Che cosa crede succederà? E come pensa possa reagire l’Europa se questa posizione fosse confermata?
Gli obiettivi di Tria sono condivisibili ma questo non significa che non debbano essere fatte le riforme che sono parte fondamentale del nostro accordo di governo, ovvero: reddito cittadinanza, riforma della legge Fornero e flat tax, obiettivi primari che devono essere realizzati.
Quindi, reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero e flat tax, in quest’ordine: secondo molti esperti, promesse impossibili da realizzare senza violare i parametri europei e senza far salire il debito. Che cosa ne pensa?
Il debito, lo spread sono il regalo che i precedenti governi hanno fatto al Paese, ma per risollevarlo sono necessarie riforme coraggiose. Anche quando un padre prende un mutuo per permettere al figlio di frequentare l’Università, è un debito, ma è un investimento produttivo. Scegliere bene i settori su cui investire, che abbiano un alto ritorno, è strategico, per realizzare queste riforme. Insomma, le cose si devono guardare da entrambe le prospettive.
Che cosa succederà alle prossime elezioni di maggio? Tempo fa, lei si era già sbilanciata con un pronostico, dicendo che i partiti tradizionali prenderanno una “batosta”, ma la Lega di Salvini non rischia di oscurare il programma dei 5 Stelle?
Il Decreto Dignità è la dimostrazione di quanto si stia facendo, e le levate di scudi sono la dimostrazione che siamo dalla parte giusta. Dopo la tragedia di Genova, la volontà ferrea di risolvere i problemi cronici che si porta dietro il nostro Paese, dimostra che c’è la volontà di cambiare il sistema. Confermo la mia idea che i socialisti e i popolari prenderanno una batosta, perché sono i responsabili di quello che sta succedendo in Europa, dove ormai si contano 125 milioni di poveri: è il risultato delle politiche della “grand coalition” europea e i cittadini se ne ricorderanno alle urne. Sono convinta che le idee cambiano sulle gambe di persone nuove.
Dal macro al micro, cambiamo prospettiva: che cosa pensa della gestione di Roma firmata Raggi?
Credo che Virginia abbia dato dimostrazione di una volontà ferrea che è andata oltre la possibilità dello sforzo umano. Credo che il cambiamento stia emergendo, nella percezione dei romani, dalla gestione rifiuti, alla manutenzione delle strade, all’utilizzo dei fondi europei. Il sindaco sta cercando di cambiare una città avvitata su un meccanismo di spartizione del potere. Ma trent’anni di mala gestione non si possono cambiare in poco tempo; per dare un volto nuovo a Roma ci vorrà tempo.