Quando ero molto giovane, era l’anno della maturità liceale, conobbi a Scanno dove ero in vacanza coi miei un giovane molto simpatico che mi raccontò di essere appena stato espulso dalla Libia in quanto colono italiano.
Alla sua famiglia erano state sequestrate tutte le proprietà e gli averi. Lui, Michele, era nato a Tripoli, si sentiva profondamente italiano e nello stesso modo considerava la Libia casa sua. Mi magnificava la meraviglia della agricoltura che suo nonno aveva impiantato lì e la bellezza di Leptis Magna.
Michele non odiava Gheddafi, ma lo considerava uno stupido che, in nome di un nazionalismo fuori tempo, avrebbe danneggiato gravemente la stessa Libia.
Oggi Michele è un importante chirurgo che vive e lavora in Francia, ma non ha mai dimenticato la sua infanzia e la sua gioventù in Libia. Circa una settimana fa mi ha chiamato dicendomi: hai visto che disastro? E non finirà presto.
Bombe ed esplosioni, vite stroncate.
Ban Ki-moon ed il tedesco Kobler danno appuntamento alle parti il 20 dicembre in Marocco.
In Italia l’appuntamento è il 13 dicembre per una conferenza internazionale sulla Libia, ma ancora non si sa se ci saranno tutti, visto i no dell’Egitto.
Intanto l’Onu non riconosce un futuro politico ad Haftar, e tutto sembra di nuovo complicarsi.
In Yemen viene assassinato il governatore di Aden e in Ciad si fanno 27 morti e 80 feriti in un attentato.
È davvero la società del Kaos? Ad uno sguardo superficiale sembrerebbe di sì, se si va a capire se c’è una logica tutto si complica.
Ad esempio in Libia ci sono 2/3mila uomini del califfato. Che ci fanno lì?
Gasmann dice a Tognazzi ne I Mostri: “le botte fanno male”.
Ed infatti le botte date dai russi, francesi, americani hanno fatto molto male ai discepoli del califfato.
Si va in trasferta ancora più vicini all’Europa, il disordine aiuta i terroristi.
Ieri, un importantissimo uomo politico italiano mi ha confidato: sono già lì, pronti alle danze. Più o meno macabre.