È un fatto che l’aumento della popolazione mondiale e la richiesta dei paesi emergenti di beneficiare dei vantaggi della crescita economica richiedano, in una spirale quasi impazzita e con sempre maggiore insistenza, un incremento dei consumi energetici.
Cibo ed energia sono strettamente legati da molteplici punti di vista: la produzione alimentare mondiale infatti dipende in gran parte dai combustibili fossili, principalmente dal petrolio.
Ciò pesa nel sistema alimentare mondiale al punto che ogni minaccia all’approvvigionamento petrolifero è una minaccia alla sicurezza alimentare, intesa come garanzia di accesso ad alimenti sicuri e sufficienti per ottenere una dieta nutriente.
Il moderno sistema di produzione agroindustriale, fino ad oggi è stato strutturato sulla presunzione di una illimitata disponibilità di energia fossile a basso costo: l’intera filiera agroindustriale consuma energia e dipende dai combustibili fossili, in quanto utilizza prodotti dell’industria chimica, principalmente fertilizzanti e pesticidi, macchine agricole e relativi combustibili; energia per l’approvvigionamento di acqua e per la sua distribuzione, per il trasporto dei prodotti agricoli, per la loro trasformazione e packaging ed infine per la distribuzione ai consumatori finali.
È anche un fatto che l’attuale sistema agroindustriale sia uno dei meno efficienti dal punto di vista energetico: il rapporto tra energia consumata per preparare l’alimento e l’apporto energetico dell’alimento è totalmente disequilibrato.
L’attuale sistema agroindustriale moderno cioè consuma più energia di quanta ne riesca a produrre.
Ora, se la produzione alimentare mondiale dipende ancora in gran parte dai combustibili fossili, e la stessa energia utilizzata per comporre il prodotto finito è spesso maggiore di quella derivata dal consumo del prodotto, il tutto comporta non solo un utilizzo ed una distribuzione dell’energia poco economici, ma anche un costo ambientale altissimo in termini di riscaldamento globale del pianeta e di emissioni di gas serra.
Il contributo delle emissioni di gas serra del settore agroalimentare italiano rappresenta il 18,8% del totale delle emissioni nazionali.
I cambiamenti delle scelte alimentari dei consumatori nelle modalità di acquisto (ad esempio prodotti locali, farmers markets, Gruppi di acquisto solidale, Commercio equo-solidale, ecc), nella composizione della dieta (aumento degli alimenti di origine vegetale e riduzione di quelli di origine animale) e nelle modalità di preparazione dei cibi (consumo di cibi freschi con ridotto packaging) potrebbero avere impatti rilevanti sui consumi energetici e sulle emissioni di CO2 del sistema agroindustriale nazionale ed internazionale.
Nel 1986 due nutrizionisti americani, J. Gussow e K. Clancy, introdussero per la prima volta il concetto di “dieta sostenibile”: le scelte alimentari possono avere non solo una valenza nutrizionale, un impatto sulla nutrizione e la salute dell’individuo, ma anche un impatto nel lungo periodo sulla sostenibilità del sistema agroalimentare (in termini di riduzione delle emissioni di CO2e pro capite dovute ai consumi).
Le loro analisi dimostrarono il forte legame tra scelte alimentari e problematiche relative all’uso e alla conservazione del suolo, dell’acqua e delle risorse energetiche.
Nel novembre del 2010, FAO e Biodiversity International hanno collaborato alla organizzazione di un simposio scientifico internazionale dal titolo “Biodiversità e Diete sostenibili: uniti contro la fame”.
Il convegno ha costituito l’occasione per riunire i maggiori studiosi dell’argomento allo scopo di definire congiuntamente quali debbano essere le “diete sostenibili” e sviluppare ulteriormente questo concetto in relazione all’accesso al cibo e alla nutrizione. Dagli esiti dell’incontro è nato il “Rapporto Diete Sostenibili e Biodiversità” (Sustainable Diets and Biodiversity).
È un segno evidente del fatto che la comunità internazionale (e quindi l’esigenza di un’azione congiunta, coerente e condivisa che superi i confini nazionali di fronte a un’emergenza ambientale che non ha confini) ha riconosciuto l’urgenza di trovare una definizione e una serie di principi guida per i regimi alimentari, al fine di affrontare il problema legato all’accesso al cibo e alla nutrizione, così come quello relativo alle diverse fasi della catena alimentare nell’ottica della sostenibilità.
La definizione finale presentata e approvata durante il simposio promosso da FAO e Biodiversity International afferma che: «le diete sostenibili sono diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale, nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione ed al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono culturalmente accettabili, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane».
In questo ambito, molto ancora resta da fare. Quella dell‘Expo2015 potrebbe essere la giusta occasione per intraprendere delle politiche atte ad affrontare la questione “cibo ed energia” partendo proprio da questi presupposti e da queste indicazioni di base. Immaginare, insomma, interventi normativi e di regolamentazione mirati, ma anche lavorare per una maggiore diffusione di una cultura sostenibile.