Avete mai pensato a quanto influisce un pomodoro sullo stato di salute dell’ambiente? E una fetta di carne bovina? Che percorso compiono gli alimenti prima di arrivare sulle nostre tavole? Per scoprirlo occorre pensare al cibo come a un prodotto con un suo specifico “ciclo di vita”, dove si considerano non solo le materie prime, ma anche l’energia necessaria per produrlo, il processo di lavorazione e la fase di distribuzione dell’alimento finale.
Il cibo non è solo cibo. È una concatenazione di cause ed effetti, dove un pomodoro ha impatti che non derivano solo dal settore agricolo, ma anche dall’industria chimica, poiché ogni aspetto riguardante la produzione e il consumo di un alimento è interconnesso agli altri.
Questo diventa sempre più vero se l’intensità con cui l’uomo sfrutta le risorse naturali per produrre cibo è maggiore della capacità dell’ambiente di attenuare gli impatti negativi: oggi si stima che quello agricolo è il secondo settore, dopo l’energia, a più alto impatto ambientale.
Le emissioni di gas a effetto serra sono direttamente o indirettamente collegate a come l’uomo produce, distribuisce e consuma cibo. Se da un lato, per effetto della globalizzazione, è stato possibile commercializzare i prodotti alimentari da un capo all’altro del mondo e quindi apprezzare la cultura alimentare di popoli lontani, dall’altro lato questo tipo di commercio ha creato forti pressioni sull’ambiente, soprattutto nell’atmosfera, con un aumento esponenziale delle emissioni di gas a effetto serra. Ciò non significa che per la tutela dell’ambiente e la salute, non bisogna consumare più cibo. Piuttosto, bisogna favorire il consumo di prodotti stagionali e legati al territorio la cui produzione richiede un impiego di risorse naturali (suolo e acqua) e di emissioni di gas serra meno intensivo. Il nostro Paese è portatore di una tradizione alimentare millenaria che si tramanda di generazione in generazione: la cosiddetta dieta mediterranea, considerata una delle poche diete salutari dal punto di vista nutrizionale e sostenibile dal punto di vista ambientale. Ma il consumo di cibi che stanno in cima alla piramide alimentare che caratterizza la dieta mediterranea, è influenzato anche dall’attenzione verso l’ambiente?
Gli impatti ambientali della filiera agroalimentare. La quantificazione dell’impatto delle attività agricole sull’ambiente è definito da parte dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) tramite misure che quantificano le emissioni di gas a effetto serra che ne descrivono tipologie e distribuzioni tra settori. A livello italiano è l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) a calcolare, in conformità a riconosciuti standard metodologici, il livello di emissioni nazionali attraverso l’Inventario Nazionale delle Emissioni (2014).
I risultati contenuti nel National Inventory Report (Nir) e nel Rapporto specifico sull’agricoltura identificano nel settore agricolo il principale responsabile dell’emissione di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) espresse in termini di tonnellate di CO2 equivalente, dopo il settore energia, in quanto contribuisce ad emettere circa il 33% delle emissioni in aria. In Italia, le emissioni di protossido di azoto (N2O) del settore agricolo, derivanti dalla deiezione animale, dall’uso di fertilizzanti azotati e dalle altre emissioni provenienti dai suoli agricoli, rappresentavano nel 2012 il 59,43% delle emissioni totali mentre le emissioni di metano (CH4), derivanti dai processi digestivi dei ruminanti, dalla gestione delle deiezioni e dalla coltivazione del riso, rappresentavano il 40,57% del totale.
Gli allevamenti di bovini e maiali sono i più dannosi per l’ambiente in quanto fanno registrare le più alte emissioni di CH4 e N2O.
Vegetali vs carne: risparmio e impatto ambientale. Si stima che a livello planetario si produce una quantità di vegetali che sarebbe sufficiente a nutrire, con 6.000 calorie ogni giorno, oltre 11 miliardi di persone, quasi il doppio dell’attuale popolazione mondiale. Il problema è che la maggior parte dei vegetali coltivati viene destinata all’alimentazione degli animali allevati allo scopo di produrre carne e latte, e quindi una buona parte di queste sostanze viene “persa” per sostenere proprio il metabolismo degli animali (Fao, 2012). Un altro problema degli allevamenti è la resa dei terreni: destinando un ettaro di terra all’allevamento bovino otterremmo in un anno 66 kg di proteine, mentre destinando lo stesso terreno alla coltivazione della soia otterremmo nello stesso tempo 1.848 kg di proteine, cioè 28 volte di più. Inoltre, a questo aspetto che interessa le emissioni indirette del settore, vanno aggiunte le emissioni dirette che riguardano proprio le attività di allevamento dei capi: dalla rimonta alla nutrizione, al pascolo, fino alla macellazione e al consumo (Moresi&Valentini, 2010). La produzione di carne, in particolare, di carne rossa si posiziona ai vertici dei prodotti ad alto impatto ambientale.