Lo Shanghai Institute for International Studies (SIIS), a qualche settimana di distanza dal primo report Coronavirus Battle in China: Process and Prospect, ha recentemente pubblicato un nuovo studio, intitolato International Cooperation for the Coronavirus Combat, in cui vengono analizzate le misure adottate a livello internazionale per contrastare la diffusione del virus.
Il report, partendo da un’analisi delle principali misure prese a livello globale, vuole dimostrare l’importanza della cooperazione internazionale nel contrasto alla diffusione delle epidemie, mettendo, al contempo, in risalto il ruolo centrale che, secondo i ricercatori di Shanghai, la Cina avrebbe ricoperto nel rallentare la diffusione del Coronavirus.
Secondo i ricercatori dell’Istituto, in un mondo ormai globalizzato ed altamente interconnesso, diventa virtualmente impossibile pensare di poter restare immuni dal contagio di un virus con le caratteristiche del Covid-19. Per questo motivo, la cooperazione e lo scambio di informazioni divengono di capitale importanza per evitare che un’epidemia, come quella del Coronavirus, si possa trasformare in una pandemia con effetti potenzialmente catastrofici per la salute pubblica e l’economia mondiale. Cooperazione e scambio di informazioni che non si dovrebbero limitare solo all’ambito medico e della ricerca, ma dovrebbero rientrare in una più ampia strategia volta a contenere gli effetti economici e sociali di questa crisi.
La risposta globale al Coronavirus ha, però, risentito fortemente di una serie di mancanze e debolezze nei meccanismi di governance mondiale lasciando che gli Stati gestissero autonomamente ed in modo scoordinato la crisi. Questo ha portato ad una situazione in cui, ancora oggi, non vi è un consenso diffuso, a livello internazionale, su quali siano le migliori misure da adottare per controllare e, possibilmente, prevenire la diffusione del virus. Questo aspetto diventa particolarmente rilevante per quei paesi in cui il sistema sanitario non sarebbe assolutamente in grado di gestire una crisi epidemica di proporzioni simili a quelle viste nella provincia dello Hubei.
Secondo i ricercatori del SIIS, i motivi alla base dello scarso livello di coordinamento internazionale sarebbero sostanzialmente tre. Il primo riguarda i meccanismi di prevenzione delle epidemie, dato che negli ultimi anni l’approccio alla gestione di queste crisi è stato sempre di tipo emergenziale. In particolare, viene messo in luce come, una volta passata una crisi epidemica (SARS, Influenza suina, Ebola), nessun paese abbia investito sufficienti risorse in sistemi di prevenzione. Al riguardo, viene citato un recente studio del John Hopkins, Center for Health Security, dove emerge come nessuno dei 195 paesi analizzati è, ad oggi, pienamente preparato per la gestione di un’epidemia o di una pandemia.
Un secondo elemento problematico è legato al Regolamento Sanitario Internazionale, adottato nel 2005, il cui scopo sarebbe quello di evitare di diffondere rischi per la salute globale, minimizzando al contempo i danni al commercio e agli spostamenti delle persone. Più che il regolamento in sé, ciò che viene fortemente criticato dagli studiosi cinesi, riguarda come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non sia in grado né di imporre agli Stati firmatari l’adesione al Trattato né di sanzionare gli stessi qualora non ne rispettino le norme.
Strettamente collegato a questo secondo punto è l’ultimo elemento di criticità messo in luce nello studio. Esso riguarda la mancanza di fondi che l’OMS può autonomamente destinare alla gestione delle crisi. Oltre che un invito ad aumentare la dotazione finanziaria dell’OMS e a rafforzare il personale della struttura che si occupa di rispondere alle emergenze, il report contiene una forte critica al modo in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità può disporre del proprio budget. Da statuto l’OMS può allocare autonomamente solo il 30% del proprio bilancio mentre il restante 70% viene controllato direttamente dai paesi membri in modo da controllarne l’agenda. Questo aspetto, sommato a quanto detto in precedenza sulla cooperazione internazionale, mette in luce le difficoltà riscontrate dall’OMS nel coordinare una risposta globale al Coronavirus. L’analisi sulle criticità riscontrate a livello di governance globale si chiude con l’invito ad evitare la politicizzazione di queste crisi con un particolare riferimento ad evitare atteggiamenti discriminatori e razzisti nei confronti delle popolazioni colpite.
Lo studio si conclude con una serie di raccomandazioni rivolte alla comunità internazionale allo scopo di aumentare il livello di cooperazione nella gestione delle crisi epidemiche.
La prima proposta riguarda la creazione di una serie di meccanismi di coordinamento a livello regionale tra i principali attori di una determinata area. Lo studio si sofferma sui benefici che una più stretta collaborazione tra Cina, Giappone e Corea potrebbe avere tanto nel contrastare il Coronavirus quanto nel rafforzare i rapporti bilaterali tra i paesi in questione.
La seconda riguarda il modo in cui i paesi sviluppati dovrebbero supportare i sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo. Ciò dovrebbe avvenire, da un lato, attraverso un aiuto diretto sotto forma di personale ed equipaggiamento medico (viene citato il caso della Liberia dove vi è un medico ogni 70.000 abitanti contro un rapporto di 1 a 360 per l’Inghilterra), dall’altro attraverso investimenti in infrastrutture. Per quanto riguarda questi ultimi, in molti paesi dell’Africa e in alcuni paesi asiatici, l’accesso all’acqua risulta essere particolarmente critico. Al riguardo, è stato stimato come, in paesi quali Liberia, Lesotho, Congo e Rwanda, solamente il 5% delle abitazioni sia dotato di acqua corrente e sapone. Sempre in relazione al rafforzamento delle capacità sanitarie nei paesi più poveri, viene messo in luce il ruolo che le banche allo sviluppo possono giocare nel finanziare progetti di investimento volti a rafforzare le infrastrutture sanitarie dei paesi in questione.
Viene, poi, proposta la creazione di una conferenza internazionale dove discutere i modi con i quali affrontare una nuova crisi epidemica e quali debbano essere le norme a cui tutti i paesi saranno tenuti ad uniformarsi. Ciò avrebbe come obiettivo quello di instaurare un meccanismo, che sia comune ad ogni Stato, per la gestione e la prevenzione delle crisi epidemiche. Infine, i ricercatori del SIIS propongono di creare dei database a livello internazionale allo scopo di censire la popolazione. In questo contesto, viene proposto di replicare quanto fatto recentemente in Cina quando le tecnologie legate all’utilizzo dei big data sono state usate per creare una serie di modelli utili a stabilire quale livello di mobilità consentire alla popolazione in funzione, tanto della possibile diffusione del contagio, quanto dei potenziali danni economici che un blocco degli spostamenti avrebbe potuto causare.
Il Report completo è consultabile qui
Leggi anche
Coronavirus, la Cina pubblica il report verità per annientare le fake news