Sono ben 7 i “modelli oscuri” (Dark Pattern) ai quali dobbiamo prestare attenzione quando ci affacciamo alla Rete come consumatori. Servizi in abbonamento, giochi, acquisti. Che si è nativi digitali o meno, l’utilizzo della rete Internet per soddisfare i bisogni di consumo è ormai una pratica quotidiana che coinvolge quasi tutti gli utenti dotati un PC o di uno smartphone. Nel 2022, il Rapporto Italia dell’Eurispes aveva evidenziato come, in quell’anno, solo il 22,8% degli italiani non aveva mai effettuato un acquisto on line, percentuale che scendeva ad una media del 9% fra gli utenti di età compresa fra 18 e 44 anni ed anche dopo i 65 anni riguardava meno della metà dei partecipanti al sondaggio (44%). La larga diffusione del consumo digitale comporta nuove sfide e pericoli legati, appunto, all’uso di Dark Pattern (DP), tecniche di manipolazione presenti nelle interfacce utente digitali. I Dark Pattern commerciali infatti, sono progettati per sfruttare le vulnerabilità cognitive dei consumatori, inducendoli a compiere scelte non ottimali per se stessi, a vantaggio delle aziende che li implementano. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), nella pubblicazione “Dark commercial pattern”[1] definisce i Dark Pattern commerciali come «elementi di progettazione delle interfacce digitali creati con l’intento di ingannare, manipolare o costringere i consumatori a prendere decisioni che non sono nel loro migliore interesse». In altre parole, sono strategie di design che sfruttano le debolezze cognitive degli utenti per spingerli a compiere azioni che altrimenti non farebbero. La grande varietà di modelli di questo tipo ne rende difficile la definizione e l’identificazione; tuttavia, l’Ocse nello stesso documento offre una classificazione basata sulle tipologie più diffuse e sui diversi comportamenti che cercano di influenzare.
I Dark Pattern sono progettati per sfruttare le vulnerabilità cognitive dei consumatori, inducendoli a compiere scelte non ottimali per se stessi
- Forced Action (azioni forzate): situazioni in cui l’utente viene obbligato a compiere determinate azioni per poter procedere con l’utilizzo di un servizio o una funzionalità. Una pratica comune è la registrazione forzata, che richiede agli utenti di creare un account per accedere a contenuti o servizi di base, anche quando non necessario. Rientra in questa categoria anche l’obbligo di fornire dati di contatto, dove l’utente deve inserire il proprio indirizzo email o numero di telefono per continuare, modo subdolo per raccogliere dati per il marketing futuro. Spesso l’acquisizione di dati non necessari include il coinvolgimento di amici, forzando l’utente a invitare amici o a condividere il servizio sui Social per poter sbloccare determinate funzionalità, oppure chiedendo la condivisione delle informazioni sui contatti. La gamification utilizza elementi di gioco per incentivare gli utenti a compiere azioni a vantaggio dell’azienda. I punti e le ricompense sono tra i metodi più comuni: gli utenti vengono incoraggiati a compiere determinate azioni, come acquistare più frequentemente o condividere informazioni personali, in cambio di punti o badge virtuali.
- Interface Interference (interferenza dell’interfaccia): è una manipolazione dell’interfaccia utente capace di influenzare le scelte del consumatore in favore dell’azienda. Rientrano in questa tipologia la preselezione di opzioni vantaggiose per l’azienda, come iscrizioni a servizi aggiuntivi, ad una certa versione di un prodotto o autorizzazioni invasive sulla privacy selezionate di default, così che l’utente potrebbe non accorgersene e, l’occultamento delle informazioni, ovvero costi nascosti o clausole contrattuali relegati in sezioni poco visibili. I prezzi di riferimento ingannevoli sono un’altra sottocategoria, in cui i prezzi sono manipolati per far sembrare una determinata offerta più vantaggiosa di quanto sia in realtà, inducendo un senso di urgenza; in questo caso, il prezzo di partenza viene spesso gonfiato facendo apparire lo sconto particolarmente conveniente. L’ambiguità intenzionale si verifica quando vengono utilizzati termini vaghi o domande ingannevoli, contenenti, ad esempio, doppie negazioni che possono confondere il consumatore portandolo a fare scelte non volute. Ci sono poi le pubblicità mascherate e la manipolazione attraverso l’uso di un linguaggio carico di emotività (confirm-shaming) con frasi del tipo “sei sicuro di voler rinunciare a tutti i tuoi privilegi?” o “rinunci davvero a risparmiare?”, quando l’utente vuole fare una scelta diversa da quella preferita dal venditore.
- Nagging (fastidioso): questa categoria si basa sulla continua ripetizione di richieste per indurre il consumatore a compiere una determinata azione. Le richieste ripetute, come l’attivazione delle notifiche o il consenso alla raccolta di dati, vengono presentate così spesso da diventare estremamente irritanti, portando l’utente a cedere solo per fermarle. Poi ci sono i pop-up persistenti, che riappaiono continuamente quando si tenta di chiudere una determinata finestra o di evitare una certa azione. Questo tipo di pressione, attraverso pop-up che non scompaiono facilmente, aumenta il livello di frustrazione fino al punto in cui l’utente finisce per accettare l’offerta solo per interrompere l’invadenza.
- Obstruction (ostruzione): questo tipo di Dark Pattern è pensato per mettere in difficoltà l’utente nel compiere azioni che potrebbero andare contro l’interesse dell’azienda, sfruttando la limitata disponibilità di tempo di un consumatore e la scarsa forza di volontà nel proseguire con un’azione. Un esempio comune è rappresentato dagli account immortali, dove cancellare un account diventa un processo arduo e tortuoso, che richiede spesso l’invio di email al supporto clienti o la compilazione di moduli complessi. Anche i percorsi di click diseguali rientrano in questa categoria: l’iscrizione a un servizio viene resa estremamente semplice e intuitiva, mentre il processo di cancellazione richiede molteplici passaggi, a volte deliberatamente confusi. Rientra in questa categoria anche la difficoltà nel confronto dei prezzi, in cui le informazioni vengono presentate in modo frammentato o difficilmente accessibile, rendendo impossibile per il consumatore effettuare un confronto efficace tra prodotti o servizi simili.
- Sneaking (furtivo): si riferisce alla pratica di nascondere, mascherare o ritardare la divulgazione di informazioni rilevanti per la decisone dell’utente. Il drip pricing è uno dei più diffusi: vengono aggiunti costi non opzionali in vari momenti del processo di acquisto, spesso comunicandoli solo alla fine, quando l’utente ha già investito tempo e impegno e si sente obbligato a procedere. Altri esempi sono il rinnovo automaticodi un acquisto, inclusi gli abbonamenti dopo un periodo di prova gratuito (trappola dell’abbonamento), con l’utente che si ritrova abbonato senza un consenso esplicito e le informazioni su come interrompere il rinnovo sono spesso poco chiare o nascoste; l’inserimento furtivo nel carrello di articoli aggiuntivi rispetto a quello scelto dall’utente e l’utilizzo di prodotti esca che si conclude con l’offerta al consumatore di un prodotto diverso o ad un prezzo diverso rispetto a quello inizialmente pubblicizzato.
- Social proof (prova sociale): in questi casi si cerca di influenzare la scelta del consumatore sulla base dei comportamenti degli altri utenti. Ne sono un esempio l’indicazione del numero di prodotti venduti, frequentemente riferito a vendite che risalgono al passato, le diciture “spesso acquistati insieme” o “gli altri utenti hanno visto anche” e le opinioni di chi ha acquistato l’articolo in precedenza, che possono essere fuorvianti o false.
- Urgency (urgenza): indicazioni relative ad una disponibilità limitata sulle quantità di un prodotto, al numero di utenti che sta acquistando in quel momento o il conto alla rovescia su un’offerta, instillano nel consumatore un senso di urgenza all’acquisto inducendolo a scelte poco ponderate.
La registrazione forzata a un sito, con relativo rilascio di informazioni da parte dell’utente, è una tipica tecnica di Dark Pattern
La classificazione dei Dark Pattern resta in continua evoluzione ed è improbabile che si arrivi ad una tassonomia definitiva e completa, poiché nuove interfacce ingannevoli spuntano continuamente sulle piattaforme e le aziende tendono a sfruttare il più possibile i vantaggi offerti da queste strategie di marketing. Quantificare con precisione l’effettiva diffusione dei modelli oscuri nelle interfacce utente è estremamente complesso, sebbene due indagini condotte simultaneamente dall’International Consumer Protection and Enforcement Network (ICPEN) e dalla Global Privacy Enforcement Network (GPEN)[2] abbiano fornito dati inequivocabili. L’ICPEN si è concentrata sui Dark Pattern diffusi nelle piattaforme che offrono servizi in abbonamento, mentre il GPEN ha focalizzato la sua indagine sui Dark Pattern che mirano a forzare la condivisione di informazioni personali. I risultati combinati mostrano chiaramente la portata di queste pratiche manipolative. Tra i 642 operatori esaminati, il 75,7% dei servizi di abbonamento online utilizza almeno un dark pattern e, tra questi, il 66,8% ne adotta più di uno, mostrando una tendenza alla sovrapposizione di diverse tecniche manipolative per massimizzarne l’efficacia. L’indagine del GPEN ha messo in luce un dato ancora più preoccupante: il 97% dei siti e delle app analizzati fa uso di dark pattern lesivi della privacy, percentuale che però non si riferisce alle sole piattaforme di trading online, ma include una vasta gamma di categorie esaminate, tra cui siti di intrattenimento, informazione, Social media, servizi finanziari e persino il settore pubblico (in tutto 1.010 fra siti e applicazioni).
Tra i 642 operatori esaminati, il 75,7% dei servizi di abbonamento online utilizza almeno un dark pattern
L’indagine ICPEN ha rivelato diverse pratiche allarmanti riguardo ai servizi di abbonamento. Tra le principali problematiche emerse, si evidenzia che l’81% dei fornitori di abbonamenti con rinnovo automatico non consente agli utenti di disattivare facilmente l’opzione di auto-rinnovo durante il processo di iscrizione, vincolando i consumatori ad un abbonamento senza possibilità reali di interromperlo in modo semplice. Inoltre, il 70% dei fornitori di servizi non fornisce informazioni chiare sui passi necessari per cancellare un abbonamento, creando percorsi di cancellazione volutamente complicati e poco intuitivi che scoraggiano gli utenti dal completare la procedura. Un altro dato significativo riguarda il 67% degli abbonamenti che non specifica una data entro cui il consumatore deve cancellare il servizio per evitare un nuovo addebito. Questa mancanza di trasparenza spesso porta a spese non pianificate e a situazioni in cui gli utenti scoprono troppo tardi di aver già pagato nuovamente o di dover pagare ancora in futuro. Circa il 38,3% delle offerte di abbonamento che non iniziano con un periodo di prova gratuita utilizza la falsa gerarchia per spingere i consumatori verso opzioni più costose, mostrandole come le più vantaggiose senza un confronto equo fra tutte le alternative disponibili. Anche la pre-selezione delle opzioni di abbonamento rappresenta un rischio diffuso, con il 22,5% dei fornitori che offre sia prodotti una tantum sia prodotti in abbonamento, ma tende a pre-selezionare proprio quest’ultimo, inducendo gli utenti a scegliere inconsapevolmente un’opzione vincolante a lungo termine invece di un acquisto singolo. Inoltre, il 21,5% dei fornitori utilizza notifiche che mostrano attività recenti di altri consumatori, come ad esempio il numero di utenti che hanno acquistato di recente, per creare una pressione sociale ingannevole che induce l’utente a fare altrettanto. Le pratiche di mascheramento dei costi sono ugualmente comuni: il 18% delle offerte di abbonamento presenta costi aggiuntivi che rimangono nascosti fino alle fasi finali del processo di acquisto, facendo sì che i consumatori si trovino a dover sostenere spese non previste quando ormai sono prossimi a completare la transazione.
Il 70% dei fornitori di servizi non fornisce informazioni chiare sui passi necessari per cancellare un abbonamento
L’uso dei Dark Pattern solleva questioni etiche rilevanti, poiché queste pratiche sfruttano deliberatamente le vulnerabilità psicologiche degli utenti, alterando il processo decisionale in modo subdolo e spesso senza il loro consenso informato. Tali pratiche violano il principio fondamentale dell’autonomia del consumatore: manipolare le scelte di un utente significa, di fatto, interferire con la sua capacità di agire liberamente e di prendere decisioni basate su informazioni accurate e trasparenti. Le implicazioni di tali pratiche non riguardano esclusivamente il piano economico, ma toccano anche la sfera psicologica: la frustrazione derivante dall’essere stati ingannati e il senso di impotenza possono infatti contribuire a generare una percezione negativa nei confronti del digitale e a una crescente sfiducia nei confronti delle tecnologie e dei servizi online.
L’uso dei Dark Pattern solleva questioni etiche e normative rilevanti poiché sfrutta deliberatamente le vulnerabilità degli utenti
Sul fronte regolamentare, negli ultimi anni si è assistito a un significativo rafforzamento degli strumenti normativi per contrastare l’impiego dei Dark Pattern. L’Unione europea ha adottato il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), uno dei provvedimenti più rilevanti per garantire la trasparenza e il controllo sui dati personali, che impone obblighi di chiarezza e accessibilità delle informazioni affinché gli utenti possano comprendere pienamente le implicazioni delle loro azioni durante l’interazione con una piattaforma digitale. Inoltre, l’Ue ha recentemente introdotto il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), due normative complementari che mirano a creare un ecosistema digitale più sicuro e trasparente, garantendo che i consumatori siano adeguatamente informati sui servizi che utilizzano, sui loro diritti e sulle modalità di raccolta e utilizzo dei dati personali. Nonostante i Dark Pattern siano ora oggetto di attenzione e il contrasto alla loro diffusione sia diventato uno degli obiettivi centrali delle politiche sul commercio digitale, il controllo e la regolamentazione di queste pratiche restano particolarmente difficili. Questo perché i Dark Pattern non si configurano sempre come illegali, riuscendo spesso a inserirsi nelle “zone grigie” dei vuoti normativi e in situazioni borderline, rendendo necessario un monitoraggio costante e uno sforzo continuo da parte delle autorità di vigilanza. Una sfida complessa, ma imprescindibile per garantire la tutela dei diritti dei consumatori nell’era digitale.
[1] In Oecd Digital Economy Papers, ottobre 2022, No. 336.
[2] ICPEN Dark Pattern in Subscription Services Sweep Public Report, 2 luglio 2024; GPEN Sweep 2024: “Deceptive Design Patterns”, 9 luglio 2024.
*Mariarosaria Zamboi, ricercatrice dell’Eurispes.