La discontinuità generazionale, la faglia che sta separando progressivamente i genitori dai propri figli, è oggi più articolata e, forse, profonda, di ogni conflitto generazionale passato. https://www.leurispes.it/e-nato-lhomo-novus-ecco-perche-tra-generazioni-si-e-aperta-una-faglia-prima-parte/
È una discontinuità che si genera pacificamente e senza strappi ma è profondissima. Sono i giovani a produrla, con consapevole determinazione, mediante tre strumenti antichi ma usati in modo nuovo: 1) il senso di libertà; 2) il protagonismo individuale; 3) una nuova considerazione della sfera esistenziale.
La libertà per i giovani è assoluta e inderogabile. Significa non concepire alcun legame di dipendenza delle proprie scelte da quei vincoli che, al contrario, hanno ingessato quelle dei nonni e dei genitori. Ad essere rifiutati sono i vincoli biologici, ideologici e valoriali.
I vincoli biologici: le scelte esistenziali non considerano la procreazione come orizzonte auspicato (fare figli non è nei piani futuri dei giovani), né come aspetto condizionante (le pillole blu e la conservazione degli ovuli, intervengono laddove la natura avrebbe detto di smettere). Si è assunta la promessa della scienza di una lunga, variabile ma costante, vita giovanile.
Non si accettano i vincoli ideologici di ogni grande narrazione: politica (scaduta al rango di economia, anzi di discorso sulle tasche personali), o religione che sia (Dio è uscito dalle nostre vite). Qui si paga pegno. Le pulsioni di rango superiore – “superiore” rispetto alle esigenze dell’io – non hanno più ancoraggi e allora ogni domanda di spiritualità non trova più la sua offerta (se non nella chimica degli antidepressivi, veri best-seller della post-modernità).
Si rifiutano i vincoli delle grandi architetture valoriali tradizionali, infine: prima fra tutte la famiglia classica (“finché morte non vi separi?!?”), ma anche l’eterosessualità come unica forma di sessualità possibile; il lavoro come valore esistenziale, o il lungo periodo come riferimento di ogni scelta.
Libertà significa voler disegnare perimetri ma rifiutare di innalzarvi intorno degli steccati rigidi. Significa incamminarsi lungo percorsi di vita, sapendo già in partenza che vivere potrà significare abbandonarli, modificarli, cambiare compagni di via – e che nessun impedimento a farlo risulterà accettabile.
È qui che la faglia si disegna sul terreno.
A renderla più profonda è un fatto nuovo: la nuova forma dell’esistenza umana, prodottasi con la digitalizzazione della vita. Sta prendendo corpo un misto di vita reale e virtuale, che ha messo l’individuo al centro; gli ha offerto la possibilità di esprimere una certa (supposta) onnipotenza individuale. Questo vale sia per i giovani sia per i non-giovani ma, a caratterizzare i primi sono l’intensità e l’assolutismo della sua conseguenza primaria: il protagonismo individuale – un diritto soggettivo “naturale”, primario e inderogabile, per ogni giovane.
Se guardiamo alle cronache, questo protagonismo si manifesta spesso e intensamente nelle società occidentali, sia in forma positiva sia in forma negativa.
L’individualismo è il protagonismo al negativo: pensiamo a ogni comportamento autodifensivo nei confronti della società e delle nuove sfide dell’interdipendenza globale. La chiusura verso i migranti, l’aggressività sociale crescente, la voglia di farsi giustizia da sé, la pretesa di decidere se e quante imposte riconoscere alla collettività – sono esempi di queste spinte, drammaticamente centrifughe rispetto al patto sociale democratico.
Ma il protagonismo può essere volto anche al positivo; e questo è, forse, l’aspetto più caratterizzante i giovani delle metropoli cosmopolite e produttive: è la risposta diametralmente opposta alla precedente. Alle medesime sfide della contemporaneità, infatti, alla chiusura si risponde con la progettazione: laddove si innalzano muri, si va in Erasmus; dove si evade il fisco, si pretendono trasparenza e rendicontazione. La progettualità, sul piano pubblico, diventa partecipazione (per esempio, sardine) e su quello privato diventa imprenditorialità individuale (per esempio, start up).
La faglia che separa le generazioni non solo si approfondisce ma si allarga. A separare il terreno è l’interpretazione che i giovani portano avanti della loro sfera esistenziale: mobile, fluida, liquida. Esiste, per i giovani, un unico piano esistenziale privato-sociale, dove il primo è preponderante, il secondo mobile. La sfera esistenziale dei giovani sembra essere molto distante da quella dei genitori e dei nonni: 1) è brevista, lo sguardo lungo non interessa perché, probabilmente, non serve a nulla, in un mondo incerto, in una vita ignota; 2) è gender-free, dove la scelta di posizionamento di genere è relativa e temporanea, non proiettata al domani ma fluida, giorno per giorno; 3) è depontenziata perché, a dispetto della ormai nuda retorica della democrazia rappresentativa, nessuno conta nulla.
La faglia è servita: netta, ampia e profonda, separerà con sempre maggiore evidenza i destini delle generazioni che convivono su questa terra. A ben vedere, tuttavia, questo homo novus con quello vetustus condivide un preciso destino: un’identità fatta di luci ma anche di ombre. In fondo, in puero homo.
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