I cento anni di Giacomo Puccini, un genio indefinibile

giacomo puccini

Non stanno passando inosservati i cento anni della morte di Giacomo Puccini. Numerose sono le iniziative con le quali se ne vuole celebrare il genio. Utili, verrebbe da dire, per far conoscere meglio a tutti, soprattutto a chi non si sente molto vicino al mondo dei melomani, il fascino e la grandezza di uno dei più grandi compositori di tutti i tempi. Un generoso tributo glielo sta dedicando anche il mondo dell’editoria, dove la figura del musicista toscano ha ispirato la produzione di tante opere di qualità. Rendere conto di tutte non è facile, ma è certo che grazie al concorso di più prospettive – biografiche, storiche, specialistiche – se ne potrà cogliere più profondamente la ricca personalità di uomo e artista. Uomo per molti aspetti controcorrente o, comunque, mai ordinario; artista coraggiosamente aperto alla sperimentazione, tanto da anticipare gusti e tendenze di un tempo che non era ancora il suo. Qualcosa di simile, per fare un po’ sintesi dei tanti modi in cui è stato definito, a un genio guastatore. Tutto questo, e altro ancora, secondo il giudizio di numerosi critici e studiosi, è stato Giacomo Puccini.

Il consiglio di Verdi

I riflettori che, in occasione del centenario della morte, illumineranno con nuova luce la figura di Puccini ne faranno emergere ancora una volta la precocità del genio che un anziano Giuseppe Verdi seppe anzitempo riconoscere, seppur con qualche benevola riserva. In una breve lettera indirizzata al musicista lucchese per il tramite di Giulio Ricordi, Verdi sottolineò le qualità dell’astro nascente di casa Ricordi. Puccini era allora reduce da uno dei suoi primi successi con la messa in opera delle “Villi”, e Verdi, prendendone atto, rimarcò la naturale adesione di Puccini alle “tendenze moderne”, riconoscendo nella sua musica una melodia “che non è né antica né moderna”. Quel che raccomandò al giovane e promettentissimo collega fu la necessità di distinguere l’opera dalla sinfonia, evitando deragliamenti di registro e stile[1]. Il consiglio di Verdi non poteva naturalmente venire sottovalutato, ma è chiaro a tutti che quella che stava per affermarsi era la luminosa carriera di un artista che avrebbe fatto dell’innovazione e dell’originalità i suoi principali marchi di fabbrica.

L’omaggio del mondo editoriale a Giacomo Puccini

Il centenario pucciniano è celebrato un po’ dappertutto, a teatro, nelle sale d’incisione, nelle radio e in molti consessi accademici. È, come detto, ben presente anche nelle librerie, grazie a una raffica di nuove pubblicazioni e a non meno interessanti riedizioni. Tra le tante, vien facile segnalare il Puccini contro tutti di Beatrice Venezi dato alle stampe da UTET. Direttrice d’orchestra e saggista, Venezi ha raccontato Puccini seguendo l’ordito dei suoi capolavori, immaginando di scorgere sempre sullo sfondo della narrazione la carica vitale di un artista che, nato sognatore, non ha mai abbandonato e tanto meno tradito questa sua originaria vocazione. Tra i libri che un vero melomane non mancherà di avere potrebbe esserci la biografia che, per i tipi della Vallecchi, il giornalista e critico musicale Leonardo Pinzauti pubblicò nel 1974, nel cinquantesimo anniversario della morte. La bontà delle ricorrenze è che, oltre a rimescolare talvolta la retorica di certi riti celebrativi, possono propiziare felici operazioni editoriali come la riedizione di opere altrimenti confinate negli scaffali poco accessibili di qualche biblioteca. Tra queste la biografia di Pinzauti, che restituisce al grande pubblico l’immagine a tutto tondo di un artista che sfugge, proprio nella misura in cui vi si presta, ai più collaudati schemi interpretativi[2]. Forse per questo, pensando a un pubblico più giovane e meno esperto, un eventuale suggerimento di lettura potrebbe cadere sulla biografia a fumetti data alle stampe dall’editore Curci[3], che ben richiama molti degli eventi più significativi della carriera del musicista lucchese.

Un intenditore di “italianità”

Di certo, le ragioni per riscoprire Puccini non mancano. Una fra le tante potrebbe essere la curiosità di conoscere l’opinione che negli anni si fece dei suoi connazionali e, di riflesso, del suo essere italiano. La questione non aveva niente di salottiero, perché su questa delicata materia Puccini non licenziò mai giudizi superficialmente bonari o troppo indulgenti all’autocompiacimento. Anzi, nell’italianità vide in un certo senso un limite difficilmente superabile. Ne fece menzione in un’intervista rilasciata nel 1911 alla Gazzetta di Torino, nella quale spiegò che cosa gli sarebbe davvero piaciuto fare per dare un compimento definitivo alla sua produzione operistica. Il desiderio che covava da tempo era quello di cimentarsi nell’opera comica. Ma – questa fu l’arrendevole conclusione – disperò «di trovare il libretto fra noi. L’italiano è troppo sentimentale, ha troppa profondità psicologica per essere ridanciano, per sapere fare dell’umorismo vero, di quello che increspa le labbra ma lascia tranquillo il cuore». Difficile da credere, Puccini vedeva nell’italiano un uomo capace di pensieri tanto profondi da screditare l’immagine stereotipata di una giovialità quasi scanzonata e argutamente comica[4].

Esiste un caso Puccini?

Si potrebbe trovare meno stucchevole di quanto in realtà sia, sempre a proposito dei tanti temi d’interesse che la figura e la musica di Puccini continuano a suscitare, l’esistenza di un presunto caso legato alla vasta circolazione delle opere e alla lunga onda del successo mai scontato e non sempre immediato che le ha seguite. Di Puccini si può ritenere che, malgrado l’autorevole giudizio di Massimo Mila, meriti più di «un posto speciale nel periodo dell’opera verista»[5] e che nel decretare questo non debba incidere oltre misura quello che tanti studiosi e biografi chiamano “caso Puccini”. Un affaire che ha spesso appassionato molti sedicenti estimatori dell’opera pucciniana che ancora s’interrogano sulle ragioni più o meno profonde del successo del compositore lucchese, perché, come sostiene Luca Bistolfi in un articolo che punta l’indice contro tanta bibliografia pucciniana, l’autore di Turandot e Mme Butterfly «è uno dei rari compositori che soddisfi tanto alle esigenze degli ascoltatori “sollazzevoli”, quanto ai più pretenziosi e raffinati»[6]. Che a lamentarsi di questa occasionale e “improvvida” convergenza di gusto e idee siano soprattutto i secondi è cosa di cui, tutto sommato, non c’è molto di che meravigliarsi. Non è, d’altronde, un “caso” il fatto che per tanto tempo abbia dato scandalo l’immagine di un musicista la cui arte sapeva farsi anche coinvolgentemente popolare[7].

[1] Cfr. Beatrice Venezi, Puccini contro tutti. Arie, fughe e capricci di un genio anticonformista, UTET, Torino 2024.
[2] Leonardo Pinzanti, Puccini: una vita, Mind, Milano 2024.
[3] Alessandro Polito, Laura Pederzoli, Io sono Giacomo Puccini. Biografia a fumetti, Curci, Milano 2024.
[4] Giacinto Cattini, In una saletta d’albergo: con Giacomo Puccini, “Gazzetta di Torino”, 11 novembre 1911, anno LII, n. 311 (https://www.rodoni.ch/PUCCINI/intervista-puccini.html).
[5] Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1977, p. 291.
[6] Luca Bistolfi, Giacomo Puccini: sia lode al gigante della musica seria – ma la bibliografia è avvilente, “Pangea”, 12 febbraio 2024, consultabile in https://www.pangea.news/giacomo-puccini-centenario-morte/.
[7] Cfr. Fabrizio Scipioni, Puccini: La Bohème, Carocci, Roma 2023.

*Giuseppe Pulina, filosofo, giornalista, docente, componente del Comitato Scientifico dell’Eurispes.

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