Settembre è il mese dei festival letterari: Festivaletteratura di Modena, Pordenonelegge che fa incontrare lettori e autori, il recente Flip di Pomigliano D’Arco dedicato all’editoria indipendente. Si tratta di rassegne che coinvolgono un pubblico variegato e in cerca di approfondimento culturale, che propongono dibattiti, eventi e incontri con scrittori e addetti ai lavori. In Italia nel 2009 si contavano circa 1.200[1] festival culturali dedicati a musica, arte, teatro, letteratura, filosofia, danza e molto altro nell’offerta delle numerose rassegne presenti sul nostro territorio. La pandemia ha senza dubbio sparigliato le carte nella composizione dei festival in Italia, con le limitazioni legate agli accessi e la necessità di regolarne i flussi. I festival non generano sempre profitti, e sono significative le differenze tra un festival grande e piccolo, soprattutto nei bilanci annuali. Se i grandi festival possono contare su entrate generose, i piccoli festival contano anche sulla presenza di volontari – spesso presi dal mondo dell’associazionismo locale – che diventano essenziali alla riuscita delle manifestazioni. Bisogna inoltre ricordare che alcuni festival sono a pagamento, mentre altri permetto un libero accesso agli eventi. Anche il patrocinio da parte degli enti locali può pesare sul bilancio finale di un festival, soprattutto nella cessione gratuita di spazi comunali che, altrimenti, rappresenterebbero un costo proibitivo, soprattutto per le piccole realtà.
In Italia nel 2009 si contavano circa 1.200 festival culturali
È chiaro che ogni festival ha creato la propria formula per veicolare una proposta culturale coerente con l’argomento trattato e le finalità da raggiungere, per coinvolgere i visitatori e distinguersi dagli altri. Ma in questa realtà omogenea, è indubbia per tutti l’incidenza sul territorio in termini materiali e immateriali. I festival sono innanzitutto occasioni di scambio, condivisione e aggregazione, alimentano il dibattito e la vivacità culturale di un territorio, grande o piccolo che sia, e spesso avvicinano le persone a contenuti che altrimenti sarebbero loro preclusi. Le ricadute di natura economica sono altrettanto evidenti, in primis per il mondo della ristorazione e dell’accoglienza, coinvolgendo a catena vari settori dell’economia locale. Secondo il report datato 2017 di Confcommercio “Le ricadute degli eventi culturali e di spettacolo”, i visitatoti che partecipano agli eventi in questione spendono il 23% del loro budget totale nei ristoranti, il 5% al bar, per bevande e take away, e il 9% in prodotti locali di oggettistica ed enogastronomia. La voce di spesa più alta è quella relativa all’alloggio (39%), con ricadute positive sul settore alberghiero.
I visitatoti spendono il 23% del loro budget nei ristoranti, il 5% per bevande e take away e il 9% in prodotti locali
Dall’analisi condotta nel 2012 dalla Fondazione Florens dal titolo “Effettofestival” estrapoliamo invece importanti informazioni descrittive dei festival culturali in Italia. Effettofestival si concentrava all’epoca sulla composizione quantitativa e qualitativa di un fenomeno ancora poco studiato. La ricerca documentava una realtà variegata, nata sugli esempi di festival dedicati a poesia e letteratura negli anni ’90 e poi esplosa negli anni 2000, quando si è cercato di ricreare altrove esperimenti già collaudati. Nelle rilevazioni del 2012 settembre è il mese in cui si concentra la maggioranza delle proposte, che nel 59% dei casi durano 3-4 giorni, nel 19% dei casi 5, nel 22% dei casi più di 10 giorni. Il 78% dei festival si svolge in un unico luogo, mentre il 27% è policentrico, ovvero si svolge in aree e comuni limitrofi all’interno della stessa provincia. Il 43% dei festival si svolge tra massimo dieci locations, allo scopo di favorire anche gli spostamenti dei visitatori. Le sedi prescelte per ospitare gli eventi spesso sono anche un’opportunità di riappropriazione di spazi pubblici altrimenti dismessi, che oltre a trovare un uso vengono anche impiegati per la collettività. Sebbene oggi siano cambiate molte cose, complice la crisi pandemica, nelle rilevazioni del 2012 relative al 2011 la maggioranza degli eventi (59%) era gratuito. Enti pubblici e soggetti privati sono alla base della sopravvivenza dei festival, in quanto ne sono finanziatori principali insieme a sponsor tecnici e media partner. Tra gli enti, i Comuni sono i principali finanziatori (81%) insieme alle Regioni (70%).
L’investimento in prevenzione sanitaria durante la pandemia è stato pari al 17% del budget
La stessa indagine ha inquadrato vari aspetti del fenomeno nel corso degli anni, ma ci soffermeremo su quelle degli anni recenti. Nel 2020, “Effettofestival” ha inquadrato le trasformazioni del settore dettate dalla economia pandemica, che ha colpito tutte le attività legate all’aggregazione sociale. Partendo da un campione complessivo di 89 festival di tutta Italia, il 32% dei festival nell’anno della pandemia ha mantenuto le date di svolgimento originarie, ill 14% ha posticipato le date e il 17% ha annullato l’evento. Il 7% dei festival hanno tenuto una doppia edizione: una prima esclusivamente online nel periodo originario di svolgimento e una seconda ibrida/in presenza in un momento successivo. Per quanto riguarda le voci di budget legate all’emergenza sanitaria, l’investimento in prevenzione sanitaria è stato pari in media al 17% del budget. Per quanto riguarda i format proposti, il 48% dei festival si è svolto online e in presenza, mentre il 17% si è trasferito completamente online, aprendo le porte a formule alternative di partecipazione.
Festival culturali, è bassa la partecipazione dei giovani tra i 19 e i 29 anni
Effettofestival 2022 ha monitorato 9 festival italiani di approfondimento culturale, concentrandosi invece sul pubblico e sull’impatto culturale dei festival. Ne emerge che il 69% del pubblico è rappresentato da donne, il 57% da over 50, mentre è bassa la partecipazione dei giovani tra i 19 e i 24 anni (4%), e dei 25-29enni (5%). Il 40% del pubblico partecipa ai festival per la possibilità di approfondire la conoscenza di argomenti e autori, il 26% per la possibilità di incontrare di persona gli autori e il 25% per entrare in contatto con temi nuovi. Inoltre, emerge dalla ricerca che i giovanissimi (Gen Z e Gen Alpha) ignorano la carta, la televisione e i quotidiani: si informano da voci coetanee, su altre piattaforme, evidenziando la necessità di una evoluzione nella modalità di comunicazione e promozione nei festival.
Il 70% del turismo culturale si concentra nell’1% del territorio italiano
I festival culturali rientrano in un discorso più esteso sul turismo culturale in Italia, e possono rappresentarne una spinta e una declinazione per valorizzare altri luoghi meno battuti dal turismo di massa. Dai dati di Banca d’Italia sul turismo culturale sappiamo che nel 2021 sono arrivati in Italia 23,9 milioni di visitatori, ma il 70% del turismo culturale si concentra nell’1% del territorio italiano. Roma attira il 20,9% delle presenze, Venezia il 16,9%, Firenze il 9,8%, Milano il 7,3%. Seguono Napoli (4,1%), Bari (3%), Verona (2,3%), Bologna (2,1%), Torino (1,6%) e Pisa (1,3%). Con dati del genere, non sorprendono i fenomeni di overtourism e le problematiche che il turismo di massa genera in città come Roma, Milano, Napoli, Venezia e Firenze. In questo senso i festival culturali potrebbero rappresentare uno stimolo per aprire al turismo zone meno battute del nostro patrimonio, generare ricchezza in questi luoghi e decongestionare le città d’arte prese d’assalto dal turismo di massa. I festival culturali, infine, potrebbero aprire al turismo rurale la provincia italiana, altrettanto ricca di arte, storia e cultura e non ancora pienamente valorizzata.
[1] Guido Guerzoni, Effetto festival, 2009.
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