Nonostante lo streaming registri complessivamente una crescita del 22,9% rappresentando, nel 2019, più della metà dei ricavi musicali a livello mondiale (56,1%), fra i supporti fisici è il vinile a segnare vendite senza precedenti. I ricavi totali della musica registrata sono cresciuti nel 2019 dell’8,2% (arrivando a 20,2 miliardi di dollari), come hanno dimostrato i dati dell’annuale Global Music Report[1] dell’IFPI, l’organizzazione che rappresenta l’industria discografica nel mondo. Corsi e ricorsi storici, direbbe qualcuno; qualcun altro, invece, penserebbe semplicemente che prima o poi doveva accadere. Eppure, è singolare che in un’epoca come la nostra, nella quale tutto è immediatamente accessibile e a portata di click, si cerchi di recuperare, quasi di ripercorrere, le tracce di una memoria storica a noi cara.
Escludendo lo streaming, i ricavi della musica digitale hanno subìto un calo del 15,3% dovuto in modo particolare al crollo dei download, un formato che rappresenta oggi il 5,9% del mercato totale. Dall’altro lato, la crescita è stata trainata soprattutto dall’aumento (24,1%) degli abbonamenti a pagamento, con quasi tutti i mercati che hanno registrato un trend positivo in tale settore. Alla fine del 2019 gli utenti di servizi streaming a pagamento erano 341 milioni (+33,5%), rappresentando il 42% delle entrate totali della musica registrata.
La musica smaterializzata continua a garantirsi la fetta di mercato più consistente negli Stati Uniti: secondo i dati RIAA[2] (Recording Industry Association of America) l’85% dei 5,7 miliardi di dollari guadagnati dal mercato americano arriva dallo streaming, dagli abbonamenti digitali, dalle radio e dai video online (prima metà del 2020). Gli abbonamenti ai servizi in streaming sono cresciuti del 14%, mentre il prodotto fisico registra solo il 7% dei ricavi.
Questo, infatti, interessa sempre meno, con ricavi diminuiti a livello globale del 5,3% (2019). Attualmente il supporto fisico rappresenta circa un quinto del mercato complessivo, vale a dire il 21,6%, segnando un aumento in Spagna (+7,2%) e negli Stati Uniti (+3,2%). E proprio negli Stati Uniti il vinile sembra spopolare, facendo registrare, per la prima volta dagli anni Ottanta, vendite che hanno superato quelle del CD. Uno sguardo al passato, dunque, che fa tornare in auge quell’ingombrante e polveroso supporto musicale che la cultura dei primi anni Novanta aveva cercato di eliminare dal mercato proprio perché vetusto, facilmente danneggiabile, scomodo.
I dati RIAA relativi alla prima metà del 2020 sono molto chiari: nell’industria della musica registrata americana i ricavi degli album in vinile rappresentano il 62% dei ricavi totali dei supporti fisici, vale a dire 232 milioni di dollari contro i 129,9 dei CD[3], un risultato ottimo per il vecchio LP, che solo poco tempo prima registrava il 4% delle entrate totali. I fruitori di musica sono sempre più orientati verso esperienze digitali, con una distinzione abbastanza netta fra strumento di fruizione smaterializzato e oggetto fisico. In tal senso, con quel fascino antiquato e senza tempo, simbolo di una fervente cultura musicale, il vinile è riuscito a tornare di moda. Il sorpasso rispetto al CD non si è ancora verificato nel mercato italiano, dove comunque le vendite hanno registrato un incremento di oltre il 50% dal 2016 al 2017, con oltre 13 milioni di euro di ricavato per il 2017, come segnalava il Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes[4]. Il mercato italiano non si differenzia poi di molto rispetto a quello statunitense, con il digitale cresciuto in maniera estremamente decisa arrivando ad occupare l’85% del totale e con una impennata considerevole soprattutto degli abbonamenti ai servizi musicali di streaming, i quali hanno fatto segnare un aumento del 33%, un vero e proprio boom specialmente durante il lockdown.
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Anche l’Italia ha però registrato perdite relativamente al prodotto fisico, e ad essere maggiormente interessati sono stati proprio i CD, con circa il 48% in meno a livello di vendite nei primi sei mesi del 2020. Il ritorno in voga del vinile è stato criticato in modo particolare da coloro che vi hanno visto la volontà di una nuova e giovane generazione di imporsi, affermarsi ed indentificarsi in una élite di intenditori e cultori musicali, facendo dell’oggetto un vero e proprio segno identificativo, da contrapporre allo smartphone dei giovanissimi e alla loro musica immateriale. Forse, però, sarebbe più corretto vedere nella rinascita del vinile la manifestazione di una nuova sensibilità, la volontà di recuperare un pezzo di storia e tornare a prendersene cura. La sua fattura delicata richiede pulizia ed attenzione; l’incisione su entrambi i lati una scelta consapevole di cosa (e quando) ascoltare. Nonostante i dati dimostrino che c’è un’ampia e crescente porzione di consumatori disposta a pagare per abbonamenti digitali con i quali è possibile accedere ad un repertorio musicale illimitato, ascoltando immediatamente tutto quello che si desidera – come la canzone ascoltata pochi istanti prima in metro o alla radio –, dall’altro lato i dati documentano anche l’affermarsi sempre più forte di un fenomeno di recupero nostalgico, che sembra tradursi in affermazione identitaria di un’intera generazione di appassionati. Come se, nell’era del digitale, nell’era dell’impalpabile e dell’assenza di spazio, si stia cercando di recuperare la testimonianza di un passato che non può essere impoverito dall’online. Come se nel frenetico divenire quotidiano ascoltare un LP potesse aiutare ad esorcizzare non solo la mancanza di tempo – di fatto, cercare il disco, metterlo sul piatto, scegliere il lato da ascoltare ci obbliga a dedicare tempo a questo rituale –, ma anche l’assenza di spazio che caratterizza ormai la nostra vita – per l’ascolto sono necessari giradischi e casse. Come se, alla fine, tutto questo digitale immateriale un po’ faccia paura.
[1] https://www.ifpi.org/wp-content/uploads/2020/07/Global_Music_Report-the_Industry_in_2019-en.pdf
[2] https://www.riaa.com/u-s-sales-database/
[3] https://edition.cnn.com/2020/09/13/tech/vinyl-records-cd-sales-riaa/index.html
[4] Eurispes, Rapporto Italia 2019, “Il collezionismo come tratto identitario: il ritorno del vinile”, scheda 40 p.689.