Il tempo delle domande incredibili

Il 31 gennaio 2019 l’Eurispes ha presentato, nell’Aula Magna della Sapienza di Roma, il trentunesimo Rapporto Italia – dei cui contenuti si avrà modo e tempo di occuparsi in dettaglio su queste pagine nelle prossime settimane. L’occasione è stata propizia per proporre una riflessione generale, figlia di quell’ampio dibattito sulle classi dirigenti – o élite – del Paese che da molti mesi occupa parte degli spazi di informazione.
La riflessione parte da una constatazione: siamo in un tempo in cui girano sui media e scendono fra la “gente” delle domande incredibili. Sono incredibili nel senso che quando le sentiamo non ci pare vero che qualcuno le abbia potute veramente formulare – tanto suonano assurde, fuori luogo, stonate.
Sono domande stese lì, nel sottopancia che scorre alla base di certe immagini televisive. Talvolta, non sono pronunciate esplicitamente ma emergono, clamorosamente, da dichiarazioni pubbliche. Talvolta, le tira fuori qualche giornalista che, perseguendo la semplificazione giornalistica, finisce per scivolare nel semplicismo. Altre volte, invece, si trova qualcuno che, per amore di chiarezza, tutto fiero di sé, le pronuncia proprio chiaramente –e lo fa apposta. Gli esempi, purtroppo, abbondano. Ci limitiamo, per carità cristiana, a richiamarne un paio.

Il primo è un anziano imprenditore italiano, una pantera grigia macchietta da rotocalchi rosa, che oggi fa soldi sugli istinti primordiali e che si vanta di non avere mai studiato. Egli, da cotanto pulpito, impartisce suggerimenti ai giovani, invitandoli ad aprire pizzerie più che cimentarsi (Egli non ha usato proprio questi verbi un po’ forbiti, da fastidiosi intellettuali) nell’avventura della start up. «A che servirà mai –disse – quel pezzo di carta? Io i soldi li ho fatti senza bisogno di studiare».
Il secondo campione è un vecchio comico della commedia “tette & culi” all’italiana, rivitalizzato nel ruolo di quel nonnetto tutto saggezza di vita vissuta (condita da buoni sentimenti, luoghi comuni e buonismo a go-go) che tanto piace e rassicura – anche perché non si fa mai vedere con uno straccio di libro in mano. L’attore, buttato probabilmente a sua insaputa nella mischia Unesco, si è lasciato andare a dichiarazioni che sviliscono il senso dello studio, dell’applicazione, del cimento culturale, stabilendo la supremazia di una sana risata sulla cultura – come se, poi, fossero alternative: mah!

Il tempo delle domande incredibili.
Chi avrebbe mai pensato di dover rispondere a questioni come: “a cosa serve studiare?”. Eppure siamo a questo.
Anche se tutte le fonti statistiche in materia, da AlmaLaurea a Istat, certificano che – se uno decide di studiare per lavorare ed essere meglio pagato – ebbene sì, studiare serve. Anche se è evidente che le professioni pregiate (quelle per fare le quali alzarsi al mattino non è un incubo) sono tendenzialmente basate su un qualche percorso di studi (calciatori a parte). Anche se, anche se… Eppure, in questo sgangherato Paese sembra esserci ancora da fare per convincere le persone che, sì, studiare sia utile.

Intendiamoci, non è che sia colpa di questo governo, quel partito, o quel personaggio; pare proprio essere una questione da esprit du temps: è l’aria che tira che sembra voler mettere in discussione quasi ogni cosa che abbia anche un vago sapore di “istituzione”.
È come se, ad essere messo in stato di accusa, sia l’intero schema di pensiero alla base dell’organizzazione civile della società. Sembra che in molti pensino che la crisi e la globalizzazione abbiano finalmente tolto il tappo; che si sia squarciato quel velo di falsità che ricopriva l’intero corpo sociale; che si sia smascherata una sorta di “grande bugia” che costringeva gli individui a seguire regole imposte dall’alto, a fare cose penose per sé e utili solo ai manovratori lassù –intenti solo a perseguire i loro loschi traffici.
Questi anni difficili sembrano aver separato il gruppo in due tronconi che appaiono divenuti, improvvisamente, incapaci di parlarsi. Di qui la “gente”, le persone “normali”, non particolarmente istruite, che fanno lavori semplici e faticosi (e quindi, pulite, con l’anima emendata dal potere medievalmente purificante della pena e del sacrificio quotidiano); quella gente il cui unico credo residuo, spesso, è la fede calcistica (anche se lì, i più sgamati, iniziano a sentire una pesante puzza di soldi grossi e loschi traffici, altro che fede nella maglia). Di fronte ai puri, alla “brava gente”, le élite (parola colta, tirata fuori da quei fastidiosi potenti, o aspiranti tali, per descrivere loro stessi): la classe dirigente, l’intellighenzia, quelli che sono meglio pagati, insomma i “loro”, i “quelli là”, i “lassù”. E la cultura –formazione, apprendimento, ricerca che sia – nel mezzo: l’aratro che ha scavato quel solco che “quelli là” pensavano potesse servire a metterli al di sopra, al riparo, dalla vita vera: quella pura, quella faticosa, quella che mette paura.
Bene (cioè, male). Così stando le cose, la via è una e solo una: queste domande incredibili vanno tirate fuori dal cassetto, affrontate di petto, una per una, e sgonfiate; senza tatticismi retorici, senza tributo al politically correct (insopportabile, pensate, anche per molti che hanno studiato), senza remore. E, una volta sgonfiate, vanno rimesse laddove devono stare: nel “serbatoio del nonsenso”, quello in cui, in tempi più ordinari, starebbero in silenzio e al buio.
E così, cogliendo l’occasione della presentazione del Rapporto Italia, vorremmo iniziare con lo sgonfiarne una, di queste domande incredibili. Eccola qui: “la ricerca serve?”
Sì. Certo che serve, e per tre fondamentali ragioni. La prima è che solo quel pensiero che si pone nella prospettiva della ricerca, sarà in grado di scorgere le domande che è importante porsi in una data epoca e luogo. Ricercare, infatti, non significa tanto trovare risposte; significa, dapprima, capire che cosa abbia senso chiedersi. Trovare le risposte, poi, è un mero fatto tecnico. In questo, tutto si apprende: si apprendono le tecniche di indagine; si apprendono i pensieri di chi, prima di noi, abbia affrontato problemi simili ai nostri. E questa si chiama cultura –pura e semplice, senza aggettivi qualificativi, senza naso all’insù, senza tono di voce grave e suono roco.
La seconda è che è un lavoro che non finisce mai. Semplicemente perché l’umanità è sempre in movimento, il pianeta è vivo, il cambiamento è il mood perenne dell’esistenza. Una bella notizia per l’economia, quindi: ci sarà sempre del lavoro da fare nella ricerca.
La terza è che la complicazione del mondo e la complessità di molti fenomeni impediscono a una persona, da sola, di affrontarlo da sola. In tempi di individualismo, la ricerca insegna il valore del confronto, dell’apertura all’altro, del “fare assieme”; abitua all’umiltà; allena al fallimento e alla ripartenza.
E allora, in sostanza, a che cosa serve la ricerca? A una cosa sola, semplice e banale: migliorare l’esistenza. La migliora perché mette a disposizione cose nuove adatte ai tempi (strumenti, come lo smartphone; cose, come i farmaci; eccetera); idee nuove che cambiano la nostra relazione con gli altri e la nostra idea di noi stessi (il laicismo, le ideologie politiche, eccetera); perché fa bene allo spirito di chi la fa, perché è cultura.
È vero che l’essere umano è, più profondamente di quanto ne sia consapevole, un animale. È la cultura, però, ad allontanarlo ogni giorno di più, dallo stato di bestia.

Ultime notizie
corse
Intervista

L’insularità possibile: il caso Corsica. Intervista a Marie-Antoinette Maupertuis, Presidente dell’Assemblea corsa

La Corsica è uno dei modelli europei in merito all’insularità e alle iniziative intraprese per favorire la coesione territoriale e l’autonomia fiscale necessaria per l’economia corsa, dinamica ma gravata da una “crescita depauperante”. Ne parliamo con l’Onorevole Marie-Antoinette Maupertuis, economista e Presidente dell’Assemblea della Corsica.
di Daniela Pappadà
corse
corse
Osservatori

Insularité possible: le cas de la Corse. Entretien avec Marie-Antoinette Maupertuis, Présidente de l’Assemblée de Corse

Insularité possible: entretien avec l’Honorable Marie-Antoniette Maupertuis, Presidente de l’Assemblee de Corse.
di Daniela Pappadà
corse
intelligenza
Intervista

Intelligenza artificiale e regole: serve un impegno dell’Unione sui diritti sostanziali

Intelligenza artificiale e diritto, ne parliamo con Giusella Finocchiaro, Professoressa ordinaria di diritto privato e diritto di Internet all’Università di Bologna. Per non cadere in un rischioso processo di “burocratizzazione digitale” bisogna partire da elementi culturali prima che giuridici, senza perdere di vista i princìpi.
di Massimiliano Cannata
intelligenza
Sicurezza

Tecnologia, sicurezza e istruzione: intervista a Nunzia Ciardi, Vice Direttore Generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale

La tecnologia è entrata di forza nella scuola grazie alla DAD, che in pandemia ha permesso a milioni di studenti di seguire le lezioni da casa. Bisogna continuare su questa strada e sfruttare le potenzialità offerte dalla tecnologia in àmbito scolastico e formativo secondo la dott.ssa Nunzia Ciardi, Vice Direttore Generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.
di Massimiliano Cannata
scuole italiane
Immigrazione

Scuola e cittadini italiani di domani

La questione della presenza degli stranieri nelle scuole implica un’ambivalenza di obiettivi: migliorare la qualità dell’istruzione a prescindere dalla discendenza, oppure comprimere il diritto costituzionale all’apprendimento. La scuola deve avere una funzione di istruzione e integrazione sociale.
di Angelo Perrone*
scuole italiane
insularità
Intervista

Insularità e perifericità: costi e correttivi nell’intervista al Prof. Francesco Pigliaru

L’insularità si lega spesso all’idea di una compensazione economica, ma bisogna distinguere tra condizioni di prima e seconda natura legate all’insularità, come spiega il Prof. Francesco Pigliaru nell’intervista dedicata al tema delle isole e della continuità territoriale.
di redazione
insularità
insularità
Intervista

Il diritto costituzionale all’insularità: intervista al Prof. Tommaso Edoardo Frosini

Il professor Tommaso Edoardo Frosini, Ordinario di diritto pubblico comparato nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, evidenzia le attinenze tra diritto costituzionale all'insularità e uguaglianza, così come sancito dalla nostra Costituzione, e individua trasporti e digitale come i settori nei quali investire per le isole.
di redazione
insularità
medici
Sanità

Sanità a rischio, pesa la carenza di medici e l’assenza di chirurghi

Sanità a rischio: dalla carenza di medici all’assenza di chirurghi. Questo sarà il prossimo futuro senza una programmazione “a monte”, e l’aumento dei posti in Scuola di Specializzazione non è sufficiente a risolvere la carenza di personale medico.
di ROCCO LEGGIERI*
medici
l'algoritmo d'oro e la torre di babele
Diritto

L’algoritmo d’oro e la torre di Babele

“L’algoritmo d’oro e la torre di Babele” di Caterina e Giovanni Maria Flick è un saggio sugli effetti della tecnologia sulla nostra civiltà, con un invito alla conservazione dell’umano e alla sua conciliazione con il progresso tecnologico.
di Ilaria tirelli
l'algoritmo d'oro e la torre di babele
Istruzione

Scuola, più fondi e voglia di futuro: intervista a Ivana Calabrese

Nell’àmbito del Secondo Rapporto su Scuola e Università dell’Eurispes, dialoghiamo con Ivana Calabrese di Ashoka sul tema dell’Istruzione in Italia, ma innanzitutto sul futuro di una istituzione che passa attraverso docenti capaci e fondi per l’innovazione.
di Massimiliano Cannata