La cattura del latitante Morabito in Brasile, dopo la sua fuga dalla prigione di Montevideo e più di vent’anni di pregressa latitanza, costituisce una grande vittoria della legalità ed un precipitato tangibile dei progressi fatti nella cooperazione giudiziaria e di polizia negli ultimi anni. Al contempo, l’operazione vincente, che ha coinvolto oltre ai nostri Carabinieri del Ros e del Servizio di cooperazione internazionale di Polizia anche l’Interpol e la Polizia Federale brasiliana con la collaborazione di Dea, Fbi e Dipartimento di giustizia statunitense, manifesta ancora una volta il rilievo delle iniziative di diplomazia giuridica ed assistenza tecnica in materia di giustizia e sicurezza sviluppate dall’Italia.
Tra le varie azioni concretamente compiute nello scenario latino americano vale la pena ricordare il programma EL PAcCTO, finanziato dall’Ue, focalizzato proprio sul sistema penitenziario, contro il crimine transnazionale organizzato ed il rischio di infiltrazione nelle prigioni dei gruppi criminali più pericolosi.
Degno di menzione speciale è il Programma Falcone Borsellino, la punta più avanzata della nostra attività nell’area, lanciato quest’anno dal Ministero degli Esteri ed eseguito dall’Istituto Italo Latino Americano: si tratta di un’iniziativa multidimensionale che ha raccolto unanimi consensi per efficienza e concretezza fin dall’avvio della sua esecuzione. Fin qui le note positive, che ci rammentano quanto la cooperazione internazionale sia essenziale in un mondo globalizzato, anche nel settore della giustizia e della sicurezza.
La latitanza di Morabito è stata favorita in Brasile dalla criminalità organizzata
Nondimeno, proprio le modalità della fuga, della cattura e della pregressa lunghissima latitanza di Morabito richiamano l’attenzione su un dato tutt’altro che rasserenante: esistono e sono ufficialmente certificate da queste vicende, relazioni consistenti ed importanti tra la criminalità organizzata italiana e l’ala più pericolosa della criminalità organizzata brasiliana e latinoamericana.
Sono due le maggiori organizzazioni criminali brasiliane e sono diverse, come genesi e modo di agire, dai classici cartelli messicani e colombiani. Esse si sono sviluppate all’interno del violento e sovraffollato sistema penitenziario del Brasile, che per numero di detenuti è il quarto paese al mondo. Un fenomeno in qualche modo simile a quello, avvenuto in Italia negli anni Ottanta, della “Nuova Camorra Organizzata (NCO)” di Raffaele Cutolo. Il “Comando Vermelho (CV)” a Rio de Janeiro ed il “Primeiro Comando da Capital (PCC)” a San Paolo, sono nati e cresciuti nelle carceri, trasformandosi in vere e proprie bande criminali transnazionali sudamericane.
Bande criminali che ricordano la NCO di Cutolo
Questi gruppi, in una prima fase alleati e successivamente in conflitto fra loro, sono diventati protagonisti di sanguinose ribellioni negli istituti penitenziari. Entrambe le organizzazioni hanno dimostrato una notevole capacità di aggregazione all’interno del paese, che ha consentito loro di aumentare il raggio d’azione criminale e di impadronirsi del traffico di cocaina dai paesi produttori, consentendo al Brasile di assurgere al secondo posto nel mercato mondiale dopo gli Stati Uniti con due milioni e ottocentomila consumatori.
Alla fine del 2016, la rottura della vecchia alleanza tra il CV e il PCC genera un’ondata di violenza nelle carceri brasiliane. Il conflitto tra i due gruppi prosegue negli anni successivi, dal momento che il PCC stabilisce alleanze con altre bande al fine di prendere il controllo del traffico di droga nelle zone di influenza del CV.
L’esistenza del PCC è stata segnalata per la prima volta nel 1997
Il Primeiro Comando da Capital (Primo Ordine della Capitale, in quanto San Paolo è la capitale dell’omonimo Stato) è in fase espansiva e, secondo un rapporto del governo brasiliano, è considerato il maggiore e meglio organizzato gruppo criminale del paese, avendo circa trentamila membri, introiti multimilionari e un forte appoggio tra i detenuti.
Il 31 agosto 1993, un gruppo di otto detenuti che erano stati trasferiti nel penitenziario di Taubaté a quel tempo considerato la prigione più sicura dello Stato di San Paolo, formò il PCC. Da quel momento il gruppo si espande all’interno della prigione affidandosi a tre risorse: segretezza, rivolta contro l’istituzione e violenza. L’esistenza del PCC è stata segnalata pubblicamente per la prima volta dalla giornalista Fatima Souza nel 1997.
L’organizzazione ha una struttura verticale di tipo mafioso, si divide in “sintonias” e ognuna di loro ha una propria funzione. La “sintonia de financiero” gestisce la parte finanziaria; la “sintonia de gravatas”, paga le parcelle degli avvocati; la “sintonia de outros paises” cura i rapporti con le organizzazioni straniere e la “sintonia de cebola” aiuta le famiglie dei detenuti. Tutte queste fanno capo alla “sintonia final general”, che è la cupola di comando. Per rendere difficoltose le intercettazioni telefoniche della polizia i membri del comando utilizzano per comunicare tra loro, come la camorra in Italia, un dialetto locale (il guaranì), difficilmente comprensibile agli stessi brasiliani.
La vicenda Morabito in Brasile fa riflettere sul rischio che il PCC abbia stretto accordi con la ’Ndrangheta
Sin dal principio l’organizzazione si è resa responsabile di svariati atti criminali per conquistare il controllo delle carceri, compiendo rivolte, evasioni e delitti. Con il tempo, per finanziarsi, ha iniziato ad occuparsi del traffico di droga. Leader del PCC viene considerato Marcos Willians Camacho detto “Marcola” narcotrafficante e rapinatore di banche con pretese intellettuali attualmente detenuto nel penitenziario federale di Brasilia. Il Primeiro Comando da Capital è riuscito a formare gruppi similari in altre regioni del paese (ad esempio nel Mato Grosso e nel Paranà) e ad allearsi con la potente “Familia do Norte (FDN)” in Amazzonia, uno snodo fondamentale per il traffico fluviale della cocaina.
Grazie all’enorme afflusso di denaro oggi non deve più ricorrere alla violenza come unico strumento, ma utilizza anche la via della corruzione. Strategia che ha consentito il potenziamento dell’organizzazione nei cinque Stati più importanti della nazione brasiliana, a scapito dei frammentati narcotrafficanti di Rio de Janeiro.
L’obiettivo del PCC è chiaro: aumentando la sua espansione internazionale, esso intende realizzare il progetto ideato da Pablo Escobar Gaviria, ovverosia porsi a capo di un’unica organizzazione per il controllo dell’intero mercato della droga nel Sud del continente (Narcosur). La vicenda Morabito in Brasile fa riflettere sul rischio che il PCC abbia, in particolare, allacciato accordi con la ’Ndrangheta per la fornitura di cocaina in Europa.
*Giovanni Tartaglia Polcini, Magistrato, Consigliere MAECI, membro del Comitato Scientifico dell’Eurispes e Vicepresidente dell’Osservatorio sui Temi Internazionali dello stesso Istituto.