Non solo un termine: l’antimafia è legislazione

Antimafia è una parola che racchiude un complesso sistema di leggi. Non si contrastano le mafie con le opinioni, ma con la cultura della legge. Uno sviluppo continuo, decennale, che affronta continui aggiornamenti, perché le mafie e le problematiche che pongono non sono statiche e cristallizzate nel tempo, ma mutano con grande complessità e velocità. La legislazione antimafia è un volume di oltre 1.200 pagine curato dai professori Enrico Mezzetti e Luca Lupária Donati (Zanichelli Editore), e oltre trenta collaboratori che affronta tutta la legislazione, commentandola e spiegandola. Mezzetti è Professore Ordinario di diritto penale e diritto penale commerciale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tre, docente di diritto e legislazione antimafia presso la Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma. Con il Professore Mezzetti affrontiamo non solo il contrasto alla criminalità organizzata, ma il significato stesso della legislazione antimafia.

Le pongo una domanda diretta e senza fronzoli, all’apparenza semplice, ma che nasconde una molteplicità di possibili risposte: che cosa vuole dire mafia?

Prima di tutto, forse converrebbe parlare di “mafie”, al plurale, visto che l’attuale conformazione e finalità della ’Ndrangheta, ad esempio, col suo sistema delle formazioni “locali” e la sua capacità di propagazione sul territorio, non assomiglia affatto alle altre compagini mafiose, come quella tradizionale e storica siciliana. Peraltro, occorre tenere conto anche delle mafie straniere che operano in Italia, come la mafia cinese, russa e nigeriana, cosa che ha indotto il legislatore a modificare la rubrica dell’art. 416 bis C.p. con la Legge n. 125 del 2008, inserendo nella intestazione dell’art. 416 bis il riferimento espresso alle «Associazioni di tipo mafioso anche straniere».

Per mafia, o fenomeno mafioso, s’intendono consorterie criminali associate, organizzate in modo gerarchico e quasi militare, dedite alla realizzazione di un programma criminoso di reati che costituiscono il risultato dell’attività illecita dell’organizzazione stessa. Da reato eversivo dell’ordine democratico e delle strutture costituzionali dello Stato, si è gradatamente trasformata in fenomeno criminoso di “impresa criminale” che – infiltrandosi nei gangli dello Stato e della società e mimetizzandosi nelle sue pieghe – tende a svolgere operazioni di distorcimento delle attività economiche e finanziarie, anche mediante il controllo degli appalti pubblici e delle opere pubbliche, alterando il regime della concorrenza. Altro aspetto di recente emersione concerne, infine, lo scambio elettorale politico mafioso, finalizzato a condizionare le consultazioni elettorali per acquisire vantaggi illeciti di tipo economico o istituzionale.

Perché l’Italia è l’unico Paese ad avere nel proprio ordinamento la parola mafia? Questo è uno stigma, oppure un vantaggio nel saper contrastare questo determinato fenomeno criminale? Ma, soprattutto, introducendo la parola mafia nel Codice penale, un paese estero che vantaggi avrebbe?

L’Italia è l’unico Paese ad avere nel proprio ordinamento giuridico la parola mafia perché questo termine ha assunto un chiaro significato tecnico-giuridico che ha richiesto l’introduzione di una legislazione ad hoc, che invece manca in altri paesi. Il vocabolo, nel tempo, ha anche acquisito connotazioni spregiative in riferimento ad azioni e protagonisti criminali tra i più pericolosi della società, arrivando a costituire, sia pure in negativo, nell’immaginario collettivo, anche a livello internazionale, una caratteristica tipica del nostro Paese. I vantaggi consistono nella previsione rigorosa di fattispecie di reato che vanno applicate secondo il principio di stretta legalità, comportando la normativa prevista ad hoc per questo speciale fenomeno criminoso misure molto severe di restrizione della libertà personale, anche in sede cautelare. Anche gli altri paesi dovrebbero adeguare la propria normazione – essendo ormai il fenomeno transfrontaliero e, quindi, da contrastare su un territorio più vasto di quello interno – al fine di applicare la giurisdizione penale in modo omogeneo in proiezione internazionale. La mancata previsione espressa del delitto di associazione mafiosa, difettando la previsione bilaterale del fatto, rischia di rendere più complesso il ricorso all’estradizione e l’impiego di strumenti come il Mandato d’Arresto Europeo o il Mandato di Cattura Internazionale.

Le mafie sono veloci, aggirano le leggi, sapendo interpretarle e mimetizzandosi tra le stesse pieghe. La nostra legislazione antimafia è sufficiente e abbastanza veloce per contrastare il fenomeno?

Probabilmente sì, seppure sempre perfettibile. Il difetto, che diventa una voragine, è sul piano della proiezione internazionale, dove manca una legislazione speciale. Ed episodi come la strage di Duisburg in Germania, oppure il dilagare della presenza infiltrativa della ’Ndrangheta nella City di Londra, dimostrano l’obsolescenza delle attuali misure di contrasto nella cooperazione giudiziaria internazionale.

L’opera di commento e spiegazione della legislazione antimafia che ha diretto con il suo collega, Luca Lupària Donati, è monumentale. Quanto è puro interesse accademico nell’affrontare un lavoro così gravoso, e quanto passione civile? Come possiamo rendere dialoganti i due mondi in modo che la passione civile non sia solo opinione, ma studio e viceversa?

Direi l’uno e l’altro. Il tentativo editoriale che abbiamo compiuto col collega Lupària e tutto il vasto gruppo di coautori – professori universitari, avvocati, magistrati, persone delle istituzioni – è stato proprio quello di cercare di aprire un dialogo proficuo tra i vari settori della società, come operatori del diritto, perché si “parlassero” al fine di individuare piani comuni di riflessione e possibili strumenti di contrasto al fenomeno mafioso, dal punto di vista tanto giuridico, quanto politico-istituzionale ed economico-finanziario.

Il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, grazie al professore Daniele Piva, ha siglato un protocollo d’intesa con la Commissione Antimafia. Cosa si propone un protocollo di questa portata e quali sono i possibili obiettivi?

Condurre una ricerca approfondita, volta a studiare scientificamente la genesi del fenomeno criminoso; individuare le cause – sicuramente dipendenti anche da deficit delle strutture sociali –; ricercare le linee di sviluppo; enucleare possibili rimedi in sede socio-politica, piuttosto che giuridica; effettuare ricerche di tipo statistico-criminologico per corroborarne le conclusioni e metterle a disposizione della Commissione bicamerale Antimafia come rappresentante delle Istituzioni e della società civile: questi sono alcuni degli importanti propositi. Peraltro, l’Università di Roma Tre, è una delle poche ad aver attivato da alcuni anni il corso specialistico in Diritto e Legislazione Antimafia, al fine di sensibilizzare anche i giovani su tematiche centrali per la vita del nostro Paese.

Una domanda provocatoria: abbiamo tutte le leggi a disposizione, le migliori menti giuridiche al lavoro, dentro e fuori le aule dei tribunali, eppure le mafie sembrano un nemico imbattibile, o comunque che resiste ai colpi che vengono continuamente inferti; perché non vinciamo definitivamente?

La capacità di mimetizzazione delle mafie, la loro crescita sul piano professionale, la velocità di esecuzione delle proprie operazioni, sfruttando al meglio le opportunità che lo Stato sociale mette a disposizione – come sussidi, aiuti economici o incentivi –, la compiacenza, se non le collusioni o, talvolta, le complicità della società civile, rendono la lotta ardua, ma molti passi in avanti sono stati fatti e ci si è incamminati nella giusta direzione.

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