Nel 2022, il tasso d’inflazione in Zimbabwe ha raggiunto e superato il 200% segnando uno dei momenti di maggiore gravità della recente crisi economica e sociale che caratterizza il Paese dell’Africa australe. Pur essendo distanti dai livelli raggiunti negli anni dell’iperinflazione (2007-2008), la perdurante precarietà finanziaria rappresenta un elemento in grado di alimentare l’instabilità politica e sociale (locale e regionale) nell’anno delle elezioni Presidenziali.
Instabilità economica in Zimbabwe
Considerando esclusivamente i dati relativi all’ultimo triennio (2020-2022), emerge che le crisi dovute alla pandemia da Covid-19 ed al conflitto in Ucraina hanno avuto un impatto elevato sul già precario quadro economico-finanziario della capitale Harare. Quadro aggravato dai cambiamenti climatici sempre più lunghi e intensi periodi di siccità, con conseguenze negative sul comparto agricolo; dall’instabilità delle forniture di energia elettrica (frequenti blackout, con danni al comparto industriale); un progressivo incremento dei tassi d’inflazione che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede possano tornare a parametri inferiori al 10% non prima del 2027 (al netto di ulteriori shock economici).
Complessivamente, ad oggi, 7,9 milioni di abitanti dello Zimbabwe, circa metà della popolazione, vive in stato di povertà estrema.
Osservando i dati riportati dal FMI, ad esempio riguardo il Prodotto interno lordo, l’economia dello Zimbabwe negli ultimi vent’anni è stata caratterizzata da un andamento sinusoidale, ovvero, a drastiche contrazioni, come nel 2008 (-16,3%) e 2019 (-6,1%), sono corrisposti notevoli picchi di crescita (+19,7% nel 2010 e +7,2% nel 2021).
L’andamento dell’inflazione
Un ulteriore parametro che risulta fondamentale per comprendere le radici dell’attuale crisi economica è quello dell’inflazione. Se nel decennio 2009-2019, l’inflazione ha avuto tassi tutto sommato contenuti, nel 2020 questa ha raggiunto il picco del 557,2%, attestandosi al 98,5% nel 2021 ed al 284,9% nel 2022. Parallelamente, ai ciclici fenomeni di iperinflazione, il Paese deve fronteggiare ripetute svalutazioni monetarie. Nel mese di dicembre 2022, il tasso di cambio tra dollaro statunitense e dollaro dello Zimbabwe era in rapporto di 1 a 930. Un dato quest’ultimo, che, secondo numerosi analisti economici, potrebbe aggravarsi ulteriormente nel 2023.
Dal 2009 al 2019, la Banca centrale dello Zimbabwe ha implementato un sistema monetario fondato su più valute. Nel 2019, però, per far fronte all’aggravarsi della crisi, le autorità hanno deciso la transizione ad un sistema con un’unica valuta, il dollaro dello Zimbabwe, che ha subito un rapido deprezzamento ed ha contribuito al picco d’inflazione registrato nel 2020 ed allo sviluppo di un mercato parallelo in cui è impiegato il dollaro statunitense, con un tasso di cambio differente rispetto a quello ufficiale.
Gli economisti concordano che la progressiva svalutazione della moneta locale è riconducibile anche alla necessità della Banca Centrale dello Zimbabwe di stampare crescenti quantità di valuta per far fronte alle spese sostenute dallo Stato: obbligazioni contrattuali, finanziamenti per l’agricoltura (compresi i fondi a sostegno delle imprese impattate dalle siccità), per le industrie e il comparto estrattivo. Tuttavia, l’assenza di politiche di lungo periodo in grado di garantire una stabilità macroeconomica, alimenta un eccessivo bisogno di valuta da parte dello Stato, che mina alla base la stabilità economica del Paese.
Instabilità sociale in Zimbabwe
Le negative performance di Harare dal punto di vista economico sono, come già evidenziato, in parte dettate da criticità strutturali (inflazione e svalutazione), ma alimentate anche da fattori esterni, come la crisi energetica regionale e la guerra in Ucraina.
Lo Zimbabwe soddisfa gran parte del proprio fabbisogno energetico tramite l’importazione di energia elettrica dai Paesi confinanti: Sudafrica, Zambia e Mozambico. Tuttavia, la grave crisi energetica che sta interessando i sistemi di produzione e distribuzione di elettricità in Sudafrica e la riduzione dei livelli di produzione delle centrali idroelettriche in Zambia e Mozambico stanno avendo un impatto negativo anche sullo Zimbabwe, con blackout giornalieri che possono perdurare sino a venti ore.
Altra dinamica, che sta avendo gravi conseguenze sul comparto agricolo, è quella legata al conflitto in corso in Ucraina. Prima del conflitto, Harare era uno dei maggiori importatori di fertilizzante ucraino, i cui prezzi oggi sono però sostanzialmente raddoppiati, passando da $28 a $55 ogni cinquanta chilogrammi.
Il combinato di questi elementi, crisi economica, inflazione, svalutazione, crisi energetica e del comparto agricolo, ha tra le sue conseguenze più evidenti l’incremento del costo beni di prima necessità, compresi generi alimentari e carburanti, le frequenti interruzioni nell’erogazione dei servizi amministrativi e burocratici da parte dello Stato per mancanza di fondi e l’accumulo di ritardi nei pagamenti degli stipendi dei dipendenti statali, compresi quelli dei docenti scolastici.
Quali prospettive politiche?
In questo clima di precarietà economica e sociale, in cui si susseguono scioperi e manifestazioni di protesta da parte di associazioni di categoria e sindacati, nell’estate 2023 si terranno le elezioni presidenziali. L’attuale Presidente, Emmerson Mnangagwa, succeduto nel 2017 a Robert Mugabe, e capo del partito di governo Zimbabwe African National Union-Patriotic Front (ZANU-PF), potrebbe essere rieletto alla guida del Paese, ma con un consenso inferiore rispetto a quanto registrato in passato. Il nuovo aggravamento delle condizioni di vita della popolazione e la postura autoritaria nei confronti delle forme di opposizione politica, i cui spazi nel dibattito pubblico risultano ridotti, potrebbero erodere parte dell’ampio consenso popolare di cui gode lo ZANU-PF.
L’appuntamento elettorale dello Zimbabwe, data l’interdipendenza tra i vari Paesi dell’Africa australe, ha una rilevanza regionale. In primo luogo, la tornata elettorale potrebbe catalizzare il malcontento relativo alle pendenti questioni socioeconomiche. L’eventuale deterioramento della stabilità politica potrebbe sfociare in violenti moti di protesta, cui il Paese non è nuovo. Eventuali proteste potrebbero essere supportate, ed anche emulate, dalla popolazione di paesi limitrofi, come il Sudafrica ed il Malawi, il cui malcontento è causato da problematiche similari, crisi energetica, economica ed alimentare. In secondo luogo, ed in virtù del legame storico presente tra Zimbabwe e Sudafrica, il risultato che lo ZANU-PF otterrà alle elezioni dell’estate 2023 potrebbe fornire interessanti indicazioni sulla futura performance del suo corrispettivo sudafricano, il partito di governo African National Congress (ANC). Come lo ZANU-PF, l’ANC si trova oggi a fronteggiare una crisi socio-economica multidimensionale ed una costante contrazione del proprio consenso popolare. Una gestione democratica e pacifica del processo elettorale e dei suoi risultati, in Zimbabwe, impatterebbe quindi positivamente il contesto regionale. Di contro, un aggravamento degli scontri politici ed un irrigidimento dello ZANU-PF prefigurerebbe un aumento delle tensioni sociali al livello regionale.
In conclusione, la crisi economica dello Zimbabwe è oggi una delle più gravi del Continente. Questa crisi è al contempo frutto di scelte politiche passate e motore dei prossimi risultati elettorali, il cui esito potrebbe influenzare il futuro economico e politico della regione.
*Emanuele Oddi, analista, ricercatore dell’Eurispes.
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