Prospettive di pacificazione in Etiopia

tigray

Il 3 febbraio 2023, si è tenuto un incontro tra il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed e i leader del Tigray People Liberation Front (TPLF), il partito rappresentante la popolazione tigrina della regione settentrionale etiope del Tigray. L’incontro, a cui hanno partecipato anche alcuni esponenti militari del TPLF, segna un ulteriore passo in avanti nel percorso di pacificazione del Tigray, teatro, dal 2020 al 2022, di un violento conflitto armato tra le milizie ribelli del TPLF e il governo centrale.

Un conflitto identitario

Il conflitto del Tigray ha le sue radici storiche e politiche nei primi anni Novanta, quando, a seguito di una rivoluzione armata, nacque la Repubblica federale etiope, con stati regionali individuati su base etnica: il Tigray abitato da popolazione principalmente di etnia tigrina, l’Oromia abitata da popolazione di etnia oromo, l’Amahara da popolazione amahara e così via. Contestualmente alla rivoluzione, nacque il partito di governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF) suddiviso, come l’apparato amministrativo, su base etnico-regionale. L’EPRDF, difatti, ha racchiuso al suo interno una pluralità di partiti politici a rappresentanza delle differenti etnie del paese: il TPLF, l’Oromo Democratic Party (ODP), l’Amahara Democratic Party (ADP), il Southern Ethiopian People’s Democratic Movement (SEPDM) ed altri. I rapporti di forza all’interno di questa coalizione di governo, al potere dal 1991 al 2018, sono stati fortemente sbilanciati in favore del TPLF, la cui base elettorale, tuttavia, rappresenta il 6,1% della popolazione nazionale, a fronte della popolazione oromo (34,4%) e amahara (27%). Anche a causa di questi squilibri tra rappresentanza politica e peso demografico, dal 2016 al 2018 il paese è stato scosso da un intenso movimento di protesta guidato da alcune fazioni oromo. Le proteste hanno portato, nel 2018, alla nomina di Abiy Ahmed alla guida del partito dell’EPRDF e del paese, il primo oromo a ricoprire tale carica.

Una progressiva polarizzazione della società etiope tra nazionalisti ed etno-nazionalisti

In una prima fase, la nomina di Ahmed ha concretamente ridotto le manifestazioni di protesta in Etiopia, ed in particolare nella regione dell’Oromia, intercettando il malcontento di parte della popolazione. Tuttavia, le agitazioni che hanno preceduto la nomina dell’attuale Primo Ministro hanno evidenziato la persistenza di una progressiva polarizzazione della società etiope, seppur con molteplici gradazioni, tra nazionalisti o pan-etiopi ed etno-nazionalisti. I primi, guidati da Abiy Ahmed, aspirano ad un superamento della caratterizzazione etnica delle istituzioni e dei partiti politici etiopi. In quest’ottica, nel 2019, Ahmed ha nominalmente sciolto l’EPRDF e fondato il Prosperity Party (PP), una coalizione che, nell’idea del suo fondatore, doveva contribuire a raccogliere un consenso politico diffuso e svincolato da particolarismi etnici. Gli etno-nazionalisti, invece, difendono lo status istituzionale e partitico che rispecchia il federalismo etnico etiope. La fondazione del PP ha notevolmente aggravato questa frattura innalzando il livello di scontro tra il governo centrale e le formazioni politiche non allineate al PP come, appunto, il TPLF, fuoriuscito dalla coalizione di governo ed in rotta con Addis Abeba.

Nel novembre 2020, a seguito di contenziosi circa lo svolgimento delle elezioni regionali e nazionali, nella regione del Tigray ed in quelle limitrofe dell’Amahara e dell’Afar ha avuto inizio un sanguinoso conflitto tra le forze militari etiopi e le milizie armate del TPLF. Dopo un’iniziale fase di espansione, le milizie del TPLF hanno subìto ingenti sconfitte militari. Tuttavia, a partire dal giugno 2021, le stesse hanno conquistato la capitale del Tigray, Mekelle, per poi spingersi nel cuore dell’Amahara, giungendo, nel dicembre 2021, a circa 300 km dalla capitale Addis Abeba. Nel corso del 2022, a seguito di una massiccia controffensiva delle forze militari governative, le milizie tigrine hanno ripiegato nel Tigray orientale e meridionale attestandosi su posizioni difensive. Il conflitto nelle sue diverse fasi ha visto la partecipazione, a sostegno dell’uno o dell’altro fronte, di molteplici gruppi armati non statali (OLA, Fano, NaMa) e delle forze armate eritree (a sostegno di Addis Abeba) le cui azioni hanno contribuito ad aggravare il livello di violenza ed i tassi di violazioni dei diritti umani.

La cessazione delle ostilità

Il 2 novembre 2022 a Pretoria, sotto l’egida dell’Unione Africana (UA), il governo federale etiope e quello dei ribelli del Tigray hanno siglato un accordo per la totale cessazione delle ostilità. Un accordo che ha portato ad una sensibile ed immediata, e per molti inaspettata, riduzione della conflittualità nella regione ponendo, per il momento, fine al conflitto. L’accordo di cessazione delle ostilità ha previsto, tra gli altri punti, il ripristino dell’autorità del governo centrale in tutta la regione del Tigray, il progressivo ripristino delle normali forniture energetiche, idriche e della copertura delle reti internet e telefoniche, nonché il riavvio del flusso di aiuti umanitari. Sono stati, inoltre, avviati il completo ritiro delle truppe eritree dal Tigray ed un processo, che verosimilmente richiederà anni, di disarmo, smobilitazione e reintegro (disarmament, demobilization, reintegration-DDR) delle milizie del TPLF.

Secondo l’OMS, con circa 600.000 vittime il conflitto del Tigray è la più grave crisi umanitaria in corso a livello globale

Secondo quanto dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il conflitto del Tigray ha causato, direttamente o indirettamente (carestie, assenza di forniture idriche ed elettriche), circa 600.000 vittime ed è pertanto la più grave crisi umanitaria in corso a livello globale. L’accordo siglato tra Addis Abeba ed i rappresentanti del TPLF rappresenta un momento di svolta nella storia recente etiope. I contorni dell’intesa tra le parti, difatti, se letti alla luce dell’odierno dibattito politico etiope, rimandano ad un’intima volontà delle fazioni in campo, dettata da fattori contingenti, di giungere ad una sintesi tra le posizioni pan-etiopi e quelle etno-nazionaliste. Sintesi, ad oggi, da ritenersi poco probabile in tempi brevi, poiché la precaria pacificazione del Tigray rappresenta la risoluzione solamente di uno dei molteplici conflitti interni all’Etiopia, tra cui si segnala quello in corso in Oromia, per mano della milizia dell’Oromo Liberation Army (OLA), potenzialmente in grado di aprire una crisi più grave di quella del Tigray.

Equilibri geopolitici in movimento

Tuttavia, al netto delle complessità descritte, la notizia del raggiungimento di un accordo per la cessazione delle ostilità tra le parti è stata accolta con entusiasmo dalla comunità internazionale. Quella del Tigray, viste la molteplicità di attori coinvolti e le sue conseguenze registrate in diverse aree del Corno d’Africa, non può essere considerata una crisi locale, ma ha assunto i caratteri di una crisi di rilevanza regionale ed internazionale. In primo luogo, il conflitto ha visto il coinvolgimento diretto delle truppe eritree, apparentemente a sostegno di Addis Abeba, ma più realisticamente schierate da Asmara per affermare la propria postura assertiva nei confronti delle regioni settentrionali etiopi, nonostante l’accordo di pace siglato nel 2018. In secondo luogo, per far fronte all’aggravarsi del conflitto, il Primo Ministro Abiy Ahmed ha richiamato in patria migliaia di militari precedentemente impiegati nelle missioni delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana in Sudan, Sud Sudan e Somalia, comportando la ristrutturazione dei rispettivi dispositivi di peacekeeping. L’impatto negativo del conflitto tigrino sulle missioni di peacekeeping (al momento non è prevista la sostituzione delle truppe etiopi con quelle di altri contributori) rischia di aggravare le crisi locali che le missioni avrebbero dovuto contenere. Infine, il concentramento delle forze militari etiopi nelle regioni settentrionali del Paese ha comportato una riduzione dei presidi di frontiera tra l’Etiopia e la Somalia, favorendo incursioni armate da parte del gruppo armato somalo di matrice islamista, Al-Shabaab.

Il conflitto in Tigray mina il ruolo dell’Etiopia come security provider ed egemone del Corno d’Africa

In sintesi, il conflitto tigrino ha minato il ruolo dell’Etiopia come security provider ed egemone (imperfetto) del Corno d’Africa. Una postura che aveva reso Addis Abeba il partner di riferimento a livello regionale per gli Stati Uniti e l’Unione europea, ed anche per l’Italia, sia per la gestione delle crisi locali e regionali, sia per la gestione dei flussi migratori che hanno origine nella regione. Tuttavia, la narrazione del conflitto tigrino, che ha visto l’Ue schierarsi convintamente a sostegno del TPLF, ha (parzialmente) deteriorato i rapporti tra Bruxelles ed Addis Abeba. Il peggioramento delle relazioni diplomatiche con i partner europei e con gli Stati Uniti ha mostrato, ancora una volta, l’autonomia etiope sul piano internazionale e la volontà del Primo Ministro Ahmed di interfacciarsi tanto con i partner occidentali, tanto con altri rilevanti potenze regionali e globali come i paesi del Golfo, la Turchia, l’Iran, la Cina e la Russia. A ben vedere, però, la sigla dell’accordo di cessazione delle ostilità per il conflitto in Tigray ha apparentemente posto fine allo scontro dialettico tra Ue ed Etiopia, rilanciando la cooperazione in ambito diplomatico, commerciale e securitario tra i partner europei e Addis Abeba.

*Emanuele Oddi, analista, ricercatore dell’Eurispes.

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