HomeRecensioni“Lavoretti”, un viaggio semiserio nel precariato esistenziale

“Lavoretti”, un viaggio semiserio nel precariato esistenziale

di
Angela Fiore

Al Laurentino 38, quartiere periferico situato a sud di Roma, una ragazza dall’aspetto sgradevole e sgraziato viene definita «busta». Boosta Pazzesca è il nome del personaggio inventato da Manuela Pinetti e Gianluigi Ceccarelli per Bruna, protagonista dell’esilarante racconto sul precariato pubblicato da Momo Edizioni, casa editrice e progetto culturale indipendente. Giovane donna, neolaureata in Comunicazione, rassegnata ad accettare qualunque incarico lavorativo pur di racimolare qualche risorsa che le permetta di sopravvivere. È un viaggio, Lavoretti, nel girone del lavoro precario, narrato in modo comico, burlesco, genuino. L’ironia leggera e disincantata tipica di chi non può permettersi e, forse non si è mai concessa, di sognare, di ambire a qualcosa di meglio. «Lavoretti demmé che m’hanno campato fino a l’altro ieri – incalza Boosta – lavoretti che messi uno in fila all’altro me hanno sempre garantito de scavallà la soglia della povertà. Ma pure de non avè più tempo per altro. Tipo vive, per esempio».

Giovane donna, neolaureata, rassegnata ad accettare qualunque incarico lavorativo pur di sopravvivere

Le nuove generazioni non sanno che cosa si intenda con l’espressione posto fisso. Essere precario è diventata una condizione di lavoro e di vita cronicizzata, la condizione di coloro che fanno esperienza della discontinuità dei rapporti di lavoro e di un reddito inadeguato a soddisfare le proprie esigenze presenti e future. Al calderone del precariato è strettamente connesso il fenomeno involutivo dei contratti occasionali: contratti a termine, part-time, collaborazioni coordinate e continuative, lavori parasubordinati. Stage o tirocini. Tra i requisiti richiesti: la sempre più abusata flessibilità, dietro la quale si cela un universo votato allo sfruttamento. «Sono una qualcosista fri lenz – dichiara Boosta nel prologo del racconto – Er qualcosismo è l’arma de chi rimane dove de lavoro ce n’è poco o niente, dei disperati che se dicono “non mollo manco morto”, de chi il lavoro se non c’è ce lo inventamo. È uno stile di vita ferreo, prevede disciplina e non ci si improvvisa alla cazzo di cane». Come la protagonista, i ragazzi tra i 20 e i 30 anni sono nativi precari. Sono quelli che non hanno conosciuto altro mondo lavorativo che quello incerto e variabile del periodo post- crisi. Sembra quasi che si siano arresi all’idea di entrare nel mondo del lavoro attraverso lo stage e il precariato. Lo stage, se usato correttamente, potrebbe rivelarsi vantaggioso sia per l’azienda sia per il tirocinante. Tuttavia, in Italia, troppo spesso il tirocinio viene utilizzato per sfruttare e sottopagare chi lo compie. E così facendo, apre le porte a pratiche improprie, che saranno poi normalizzate.

Il precariato è diventata una condizione di lavoro e di vita cronicizzata per i nativi precari

I primi lavoretti, i primi stage, i primi licenziamenti, arrivano al termine della scuola dell’obbligo, o durante il percorso accademico. Giovani laureati con lode. Giovani che parlano almeno un paio di lingue straniere. Giovani che trascorrono gli anni post laurea a lavoricchiare o frequentare master. Usano correttamente il pc, sono all’avanguardia con la tecnologia, i social media. Sono cresciuti con l’illusione che la meritocrazia esista davvero, che basta impegnarsi per raggiungere i risultati sperati. E invece si trovano ai margini del mercato del lavoro. Sottopagati, non rappresentati. Abbandonano l’idea di tornare a casa ad un orario stabilito, di fruire delle ferie. Temono di reclamare la formalizzazione di un contratto di lavoro. Lavorano più ore, oppure in nero, disposti quasi a tutto pur di mantenere l’occupazione. Tra la sequenza di contratti fittizi, lavori malpagati o addirittura sprovvisti di retribuzione, Boosta/Bruna, si imbatte un giorno nell’annuncio di lavoro per il ruolo di segretaria. Scoprirà poco dopo di essersi imbattuta nell’intrattenimento telefonico pseudo-erotico. In prima battuta, sono quasi divertenti e buffi gli episodi in cui ci racconta di essere pagata, e bene per la prima volta, per insultare delle persone al telefono. Tuttavia, gli scenari descritti sono profondamente sconfortanti e tristi. Lei stessa confessa di sentirsi a disagio e in colpa, restituendo addirittura le somme ricevute ai rispettivi mittenti. Una delle sere trascorsa ad aspettare la chiamata per una consegna, nel periodo in cui lavorava come raider in una pizzeria, Boosta si lascia andare ad una delle sue lucide e sconsolate riflessioni: «Osservo le retribuzioni al ribasso, le condizioni de lavoro disumane, gli scioperi ignorati, anzi presi pure a pernacchie. I contratti occasionali senza manco un incentivo minimo».

Il precariato può incidere sulla personalità di chi lo svolge in termini di stabilità emotiva, estroversione, fiducia

Spesso, il viaggio di un precario risulta interminabile e frustrante. Può anche arrivare a incidere sulla personalità di chi lo svolge, in termini di stabilità emotiva, estroversione, fiducia. «Chi siamo davvero? – Si domanda amareggiata Boosta – Cosa ci definisce? Quanti ruoli dovemo stratificarci addosso per tirare a campare?». E ancora, con tono afflitto: «il tempo cura na cifra de cose, anche il dolore. O forse non cura proprio niente, ma siccome sei troppo occupata a tirà a campare finisce che al dolore ci pensi di meno». L’enorme paradosso sta tutto qui: si grida all’ingiustizia per questa schiavitù legalizzata, ma poi si scende a patti con la sua logica. Le alternative, se esistono, risiedono altrove. Forse sarebbe auspicabile partire, allontanarsi dal proprio Paese. Cercare fortuna e condizioni di vita migliori all’estero. Anche Boosta prenderà in considerazione questa opzione portando il lettore con sé, a scoprire se e come riuscirà a realizzarla.

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