NPL, investimenti e fisco, criticità da risolvere

investimenti

Quando si parla di investimenti (o meglio di sblocco degli investimenti) sarebbe utile anche approfondire alcune criticità fiscali che, a volte, possono bloccarne la spinta. Facciamo l’esempio delle Reoco (Reale estate owned company) laddove, in assenza di una normativa chiara, l’Agenzia delle Entrate, anche con recenti risoluzioni, ha negato a tale strumento – fondamentale per NPL (Non performing loans) immobiliari e investimenti – le agevolazioni fiscali già concesse alle Spv (Special purpose vehicle) in tema di imposte dirette e indirette. Oppure pensiamo alle criticità fiscali che bloccano spesso il project financing e partenariato pubblico privato e l’utilizzo ottimale di strumenti come Pir, Eltif, indispensabili per attrarre ad investimenti i capitali, soprattutto, delle PMI. Insomma, se la politica non cerca di governare la leva fiscale sugli investimenti, tali criticità, o mancate agevolazioni, potrebbero fare fallire complesse operazioni e investimenti da cui, invece, potrebbe derivare un notevole ritorno economico.​ Così come non c’è dubbio che vi possono essere varie questioni prettamente fiscali, senza la soluzione delle quali importanti investimenti, sia pubblici che privati, non possono neppure partire. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alle seguenti: misure di fiscalità ambientale per compensare costi da esternalità negative (pensiamo anche agli incentivi su mobilità sostenibile); valorizzazione dell’attività dell’Agenzia del demanio, anche in funzione della dismissione degli immobili della Difesa; blockchain e investimenti.

Secondo la CNA, nei cassetti dei contribuenti ci sono 5 miliardi di crediti bloccati che stanno mettendo in forte difficoltà quasi 50mila imprese

Tornando comunque al tema degli NPL immobiliari e Reoco, va rilevato come l’elevata durata degli incanti, unita ad una scarsa partecipazione alle procedure di vendita, costituiscano spesso l’ostacolo principale ad una efficiente gestione e riscossione dei crediti deteriorati garantiti da ipoteca, impedendone una celere realizzazione e causando, inoltre, la perdita di valore degli assets posti a loro garanzia. In tale contesto, l’intervento diretto delle Real Estate Owned Companies (Reoco) nell’ambito delle aste pubbliche di vendita di immobili mira appunto a curare tali mali. Generalmente, infatti, l’immobile viene acquisito dalla Reoco a prezzo di saldo, per poi essere valorizzato e rivenduto ad un prezzo in grado di generare i flussi di cassa attesi dall’investimento. Ma l’intervento di una Reoco, essendo preceduto da un’attenta due diligence, produce anche esternalità positive, stimolando la partecipazione di ulteriori soggetti che aumentano la concorrenza in sede d’asta. Il riconoscimento dell’importanza assunta dalle Reoco nel mercato degli NPLs andrebbe dunque valorizzato. Riconoscimento che si era peraltro già riscontrato nell’intervento del legislatore, che, con le modifiche alla Legge 130 del 1999, ne ha regolamentato l’utilizzo all’interno delle operazioni di cartolarizzazione. 

Le criticità fiscali a volte possono bloccare la spinta agli investimenti

La Reoco, quindi, acquista, gestisce e valorizza, nell’interesse della cartolarizzazione, i beni immobili e i mobili registrati a garanzia dei crediti acquistati dalla Spv, come suo braccio operativo nel mercato immobiliare. La Spv fornisce tutte le somme necessarie alla Reoco, che, a sua volta, le trasferirà poi tutti i proventi derivanti dalla gestione e vendita degli immobili acquistati. A differenza della Spv, la Reoco, secondo quanto affermato dalla risposta dell’Agenzia Entrate n. 18 del 30 gennaio 2019, deve però assoggettare ordinariamente a tassazione IRES e IRAP i propri risultati e, ai fini Iva, non si qualifica come mandatario senza rappresentanza. Sotto il profilo Iva, l’attività da essa svolta si configura poi come una prestazione di servizi complessa e unitaria, ai sensi dell’art. 3 del Dpr 633/72. Secondo l’Agenzia delle Entrate, non si è in questi casi in presenza di un mandato senza rappresentanza, non svolgendo la Reoco uno o più atti giuridici, ma dovendo trasferire “tutte le somme” derivanti dalla sua attività. E ciò comporta quindi che la commissione di gestione è assoggettata ad Iva al 22%. Per ciò che concerne, infine, l’applicazione dell’imposta di registro e delle ipocatastali in misura fissa, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, nel caso delle Reoco, tale misura fissa riguarda i soli casi in cui alla stessa siano stati ceduti contratti, rapporti e beni oggetto di locazione finanziaria, non potendosi invece applicare alle altre cessioni di immobili operate dalla stessa. Insomma, anche in questo caso ci sarebbero margini di intervento normativo per agevolare fiscalmente lo strumento.

Un intervento normativo agevolativo per affrontare il problema degli NPL immobiliari residenziali 

E chi ritiene che le disposizioni introdotte dal Decreto Crescita del 2019 (art. 23 del D.L. n. 34/2019), in riferimento alla individuazione del regime fiscale, ai fini IRES ed IRAP, delle Reoco, nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione di crediti assistiti da garanzie su beni immobili, abbiano comportato una esenzione ai fini delle imposte dirette, si potrebbe in realtà sbagliare. Il suddetto decreto, nel modificare la legge n.130/1999 in relazione alla disciplina delle società di capitali immobiliari “d’appoggio” alle operazioni di cartolarizzazioni di crediti assisti da garanzie immobiliari, non prevede infatti alcuna espressa disposizione sul regime fiscale delle stesse ai fini dell’IRES e dell’IRAP, ma si limita ad introdurre una specifica disposizione relativa alle imposte sui trasferimenti immobiliari (imposte indirette). L’unica disposizione introdotta al riguardo è però di natura civilistica ed è quella che garantisce la segregazione patrimoniale degli asset immobiliari e dei proventi (ricavi, plusvalenze, canoni di locazione, etc.) posseduti dalla Reoco, affinché questi ultimi non possano essere aggrediti da terzi creditori “personali”. Parte della dottrina ha ritenuto che tale modifica normativa, nel prevedere espressamente l’effetto di segregazione patrimoniale per i beni immobili ed i proventi immobiliari della Reoco, avrebbe anche inteso stabilire – sebbene non espressamente – che il patrimonio immobiliare ed i proventi immobiliari della Reoco dovrebbero essere esenti ai fini IRES ed IRAP, estendendo all’attività immobiliare svolta dalle Reoco il regime di esenzione già riconosciuto alla SPV di cartolarizzazione. Questa tesi però non convince. Infatti:

  1. manca una espressa, quanto necessaria, norma di esenzione ai fini IRES ed IRAP, non potendo un regime di esenzione tributaria essere stabilito in via di interpretazione estensiva;
  2. il fatto che il legislatore abbia dichiarato i beni immobili ed i proventi immobiliari della Reoco, derivanti da operazioni di gestione del patrimonio immobiliare, un “patrimonio separato” è elemento non sufficiente, da solo, a giustificare la conclusione di esenzione ai fini IRES ed IRAP per questa attività commerciale immobiliare;
  3. la Risposta n. 56 del 15.02.2019 della Agenzia delle Entrate sul regime fiscale delle Reoco, conserva ancora validità, anche perché, come nella stessa Risposta già precisato, «diversamente dalle SPV deputate esclusivamente alla realizzazione di una o più operazioni di natura finanziaria di cartolarizzazione dei crediti – svolgono un’attività commerciale consistente nell’acquisizione, nella gestione e nella valorizzazione di beni immobili e mobili registrati nonché di altri beni e diritti concessi o costituiti, in qualunque forma, a garanzia dei crediti oggetto di cartolarizzazione, seppure nell’esclusivo interesse dell’operazione di cartolarizzazione.»;
  4. per la non spettanza di un regime di esenzione ad un patrimonio separato, ove non espressamente previsto dalla legge, si è già espressa, in più occasioni (da ultimo con la sentenza n. 13162/2019), anche la Corte di Cassazione, la quale (occupandosi della possibilità di una SPV di usufruire – in via di interpretazione analogica estensiva – di un regime di esenzioni di imposta sulle ritenute sugli interessi percepiti, non espressamente previsto dalla legge) ha stabilito che la segregazione del patrimonio della SPV non è di per sé elemento sufficiente, in assenza di una espressa previsione normativa, per invocare l’esenzione fiscale, anche considerato che quando il legislatore vuole accordare un tale regime lo deve fare espressamente, come fatto, ad esempio, con i fondi immobiliari (evitando peraltro abusi dello strumento, che qui invece rimarrebbero aperti).
    Questo non toglie che un intervento normativo agevolativo per affrontare il problema degli NPL immobiliari residenziali potrebbe rivelarsi utile, magari anche tramite la costituzione di una vera e propria Reoco di Stato.

La stragrande maggioranza degli immobili assoggettati a pignoramento immobiliare hanno un valore medio intorno ai 100 mila euro

La stragrande maggioranza degli immobili assoggettati a pignoramento immobiliare, peraltro, è composta da immobili residenziali di piccolo taglio, con valore medio intorno ai 100 mila euro. E nella maggior parte dei casi si tratta di prime case e quindi di famiglie in difficoltà che hanno tutto l’interesse a restare nell’immobile, pagando un canone calmierato più basso rispetto alla rata di mutuo andato in default, magari prevedendo un riscatto nel lungo periodo. Potrebbe quindi essere opportuno prevedere una Reoco a partecipazione pubblica, capitalizzata dal governo, con il compito di acquistare in asta gli immobili a garanzia degli NPL. Ciò consentirebbe da un lato alle banche di rientrare in tutto o in parte dei crediti, e dall’altra al governo di utilizzare soldi pubblici investendo in asset in grado di produrre reddito.

Investimenti e mercato dei crediti legati al Superbonus al 110%

Sempre in tema di crediti “incagliati”, infine, una riflessione a sé meriterebbe poi anche il tema del mercato dei crediti legati al Superbonus al 110%. Le imprese che girano intorno al sistema Superbonus  sono infatti in forte crisi, laddove, come noto, il problema è il difficile smaltimento del portafoglio crediti, ora che le banche stanno “recedendo” dal mercato. In sostanza, dopo aver accordato lo sconto in fattura al contribuente, le imprese che in cambio hanno ricevuto la detrazione sotto forma di credito d’imposta non sanno più come fare cassa. Le banche infatti non stanno più accettando nuove pratiche di cessione e di conseguenza le imprese non hanno più la liquidità a sufficienza per portare avanti i cantieri già avviati, o per avviarne di nuovi. Le novità introdotte di recente dal Dl 176/2022, decreto Aiuti-quater, servono del resto solo a consentire alle imprese di utilizzare il credito per pagare imposte e contributi previdenziali su un arco temporale più lungo rispetto a quello ammesso fino a poco tempo fa e quindi non appare risolutivo sotto il profilo in esame. Infatti, i cessionari ossia le imprese, le banche, i contribuenti, che hanno rilevato un credito da Superbonus 110%, possono scegliere di suddividere il credito acquisito fino ad un massimo di 10 quote annuali. In tal modo, l’impresa ha a disposizione 10 anni anziché 5 (o 4) per utilizzare il credito ai fini del pagamento di imposte e contributi previdenziali. La quota di bonus non utilizzata nell’anno non potrà essere usufruita negli anni successivi, né richiesta a rimborso. Tale novità, senz’altro utile, non aiuta però le imprese a liberarsi dei crediti nell’immediato, essendo anche necessario rendere liquidi i crediti giacenti nel portafoglio delle imprese. A complicare ancora più le cose, è il previsto ridimensionamento del Superbonus, che dal 2023 dovrebbe infatti passare al 90% sia per i lavori condominiali che per quelli effettuati su villette ed edifici unifamiliari. Le banche, del resto, nel momento in cui hanno acquistato crediti e riempito i propri cassetti fiscali, non hanno più acquistato crediti, non hanno più erogato liquidità e quindi hanno lasciato in difficoltà gli imprenditori edili. Secondo la CNA, nei cassetti dei contribuenti ci sono 5 miliardi di crediti bloccati, che stanno mettendo in forte difficoltà quasi 50mila imprese. Insomma una nuova criticità nel già critico contesto nel mercato dei Non performing loans.

*Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali.

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