Il passaggio di testimone alla Casa Bianca da Donald Trump a Joe Biden sta determinando, come era preventivabile, effetti diretti non solo sulla politica interna americana ma anche a livello globale. Il passaggio dal sovranismo trumpiano ad un liberismo di stampo prettamente sociale, che sembra caratterizzare la politica del neopresidente statunitense, diventa inevitabilmente oggetto di riflessione politica, più o meno pubblica, in tutti i paesi europei e nel mondo. Le differenze tra Biden e Trump iniziano a farsi sentire.
Gli Usa di Joe Biden
Gli Stati Uniti, ad esempio, quasi nel silenzio della stampa internazionale e in particolare di quella italiana, hanno promulgato una serie di provvedimenti che sono in chiara contrapposizione con quelli della precedente Amministrazione. In tal senso, non bisogna dimenticare che, nel corso degli ultimi venti anni, la politica economica statunitense, con parziale eccezione della sola presidenza Obama di cui Biden era, come è noto, Vicepresidente, ha agevolato i redditi da capitale, incentivando forme poco ragionate, almeno dal punto di vista sociale, della new e della gig economy. La classi popolari americane, operaie e parte della middle class in costante affanno economico nel corso degli ultimi anni, hanno pagato a caro prezzo le politiche economiche liberiste e sovraniste con il peggioramento delle loro condizioni sociali.
Le differenze tra Joe Biden e Donald Trump: un cambio di rotta
Il cambio di corso di Joe Biden si caratterizza per almeno due aspetti. In primis, è evidente una rottura politica con il timore, a volte la fobia, propria del neoliberismo americano, nei riguardi della ripresa dell’inflazione. Il rigore contabile e il contenimento dell’inflazione hanno, infatti, inciso in modo determinate sulle classi meno abbienti, le quali hanno spesso pagato in termini di diminuzione del salario, compressione dei servizi sociali e schiacciamento dei loro percorsi di emancipazione. Il secondo aspetto riguarda invece il timore di una crescita eccessiva del già elevatissimo debito pubblico americano. Insomma, retribuire meno le classi sociali più in sofferenza e incentivare le supposte innovazioni tecnologiche ed economiche di un’economia minoritaria almeno dal punto di vista quantitativo, sembra essere stato il leit motive delle politiche economiche americane più recenti.
Biden ha invece avanzato un piano di interventi ‒ probabilmente sostenuto anche dall’emergenza Coronavirus, interpretata come occasione per rivedere le politiche pubbliche in favore delle classi meno tutelate – da 1.900 miliardi di dollari. Si tratta di una somma di denaro che, a ben vedere, corrisponde a quasi il 10% della produzione annuale di ricchezza degli Usa. Un cambio di direzione evidente rispetto agli incentivi diretti in favore di uno modello di sviluppo che ha dimostrato di non tutelare i più fragili e di acuire le differenze economiche e sociali.
Il denaro pubblico stanziato sarà impiegato, peraltro, in favore di investimenti pubblici ad alta redditività sociale a partire da infrastrutture strategiche, sulla conversione ecologica dell’economia climalterante e ancora in istruzione e formazione di base ed anche avanzata. Insomma, investimenti sociali e culturali per una sorta di new deal socialmente ed ecologicamente compatibile. Nello specifico, tutti gli statunitensi che guadagnano meno di 75.000 dollari l’anno, con Biden conquistano il diritto ad un nuovo assegno pubblico di 4.000 dollari. Questa politica non ha riguardato solo coloro che vivono una marginalità in qualche modo strutturale ed endemica ma anche coloro, e sono crescenti, che stanno scivolando verso questa condizione. Appunto, una middle class in costante impoverimento o scivolamento verso una sofferenza che da economica diventa facilmente politica e sociale o agìta, mediante le retoriche di un sovranismo irresponsabile, nei confronti degli istituti propri della democrazia.
Le differenza con l’era Obama
Le differenze tra Biden e Trump non sono le uniche da considerare. Secondo molti analisti si tratta di un cambio di direzione politica anche rispetto all’azione condotta dall’ex presidente Obama che, invece, non era riuscito a determinare un cambio radicale in occasione della crisi finanziaria del 2007-2008. È forse mancato, in quella fase, il coraggio di un cambiamento profondo attraverso riforme in grado di superare le contraddizioni del turbocapitalismo, per citare Luciano Gallino, che avevano condotto gli Usa e il mondo sull’orlo della bancarotta.
Proprio in ragione della linea politica secondo la quale per il rigore di bilancio si devono tagliare in particolare gli investimenti pubblici e sociali, la stessa Europa, Italia compresa, ha pensato di ridurre gli investimenti in ricerca, il welfare, compreso quello sanitario, a partire, per logica ragionieristica, da molti ospedali, per continuare con la diminuzione dei posti letto anche nelle terapie intensive. Mai scelta fu più scellerata. La sclerotizzazione del sociale in Europa per mancata organizzazione e scarsi investimenti ha prodotto i risultati nefasti che stiamo oggi pagando in termini di morti e sofferenze per via della pandemia da Covid-19.
Sostenere chi è in difficoltà – peraltro non per propria responsabilità – mediante programmi sociali avanzati costituisce una politica necessaria di sviluppo economico e di progresso civile. Significa aumentare il numero degli studenti e delle studentesse nelle scuole e nelle Università del Paese, accrescere l’innovazione, riorganizzare le periferie e rivedere l’urbanizzazione italiana mediante rammendi sociali ed economici che possano consentire una crescita generale e non solo di alcuni.
Tutto questo ha a che fare e si fonda sul principio dell’universalità dei diritti. D’altra parte, il 60% dei cittadini che, a causa della pandemia, hanno ricevuto una qualche forma di sostegno economico, non avevano in precedenza mai ottenuto alcun “aiuto di Stato” e forse grazie a questa politica sono riusciti a “navigare” nel mare agitato della crisi pandemica e sociale in corso.
In conclusione, nonostante sia ancora presto per stabilire l’efficacia dei provvedimenti sociali della presidenza Biden, la premessa pare indicare una strada finalmente migliore rispetto all’orizzonte ristretto e senza luce di un sovranismo nazionalista, che tanto dava a pochi e a molti quasi nulla se non un cappello con corna di bufalo e qualche cartello inneggiante alla rivoluzione contro un fantomatico sistema sempre corrotto e irriformabile.
*Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore Eurispes.