Intelligenza artificiale, tra pro e contro. Porre dei limiti al potere crescente degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale che minacciano la democrazia, ma anche la vita privata. La “due giorni” organizzata dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali dedicata ai “Profili economici e giuridici dell’IA” ha acceso una spia di attenzione su uno dei grandi temi del nostro tempo, ed ha sollecitato l’Unione europea a dotarsi di un codice di regolamentazione, per mettere ordine su una materia di certo complessa che ha fatto ingresso nella quotidianità di ciascuno.
Macchine intelligenti, big data e smartphone costituiscono una grande area che ci circonda, rendendo più facili e immediati i nostri calcoli, il nostro accesso alle informazioni, alle terapie mediche. Questo nuovo orizzonte, fino a pochi anni fa inimmaginabile, oltre a rappresentare una grande opportunità di crescita professionale e di progresso, nasconde dei rischi. Ma l’intelligenza artificiale non si risolve solo nei “pro”: anche i “contro” possono essere molteplici.
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I pro e i contro dell’intelligenza artificiale
«Si pensi – commenta il Presidente dell’Autorità Garante, Pasquale Stanzione – alle microidentità attribuite a ciascuno con il pedinamento digitale, agli effetti sociali dimostrati dal caso Cambridge Analitica o alla recente infodemia, fenomeno di mistificazione della realtà, che ha provocato una distorsione delle notizie legate all’emergenza sanitaria. Le implicazioni di uno sviluppo così repentino toccano i più svariati ambiti: dai processi di formazione dell’opinione pubblica alla costruzione dell’identità, al terreno emergente dei neurodiritti. La tentazione di cadere nel peccato di Prometeo, figura del mito che “ruba il fuoco” agli dei, accecato dalla volontà di potenza, che lo spinge a fare della tecnica il fine ultimo della conquista del pianeta, ha così assunto le sembianze di una minaccia concreta.» Quando si parla di robot e di macchine intelligenti tendiamo a pensare di avere a che fare con dei “mostri” che ne sapranno più di noi e che ci domineranno.
«Bisogna capirsi bene – spiega Paolo Benanti, esperto di bioetica, studioso dei rapporti tra teologia morale, bioingegneria e neuroscienze, docente alla Pontificia Università Gregoriana –; quando settantamila anni fa ci siamo spostati dall’Africa e abbiamo abitato diverse latitudini della terra, il nostro comportamento è stato molto diverso da quello di molti animali. Se un mammut si fosse spostato dalle steppe siberiane per andare in Africa e in Asia, prima di affrontare questa nuova avventura della sua storia evolutiva, avrebbe dovuto aspettare i tempi evolutivi di una discendenza che avrebbe portato alla nascita di esemplari privi della folta pelliccia. L’uomo non ha osservato nessuna attesa, perché fin dall’inizio si è attrezzato di strumenti adeguati a preparare il suo lungo viaggio verso il progresso. Detto in altri termini: quello che per altri esseri viventi è rigidamente confinato nel Dna, per noi è qualche cosa di aperto che ha a che fare con l’uso sapiente di artefatti tecnologici. L’artefatto tecnologico è la nostra “traccia” che serve ad abitare il mondo o, se si preferisce, è una modalità importante per manifestare la nostra umanità». È evidente che siamo oltre la dimensione giuridica, proiettati dentro la prospettiva del “Simbionte”, neologismo coniato da Giuseppe O. Longo in uno scritto (Il Simbionte ed. Meltemi) dal sapore profetico.
I lineamenti della futura umanità
Nella futura umanità, descritta dallo studioso, si sarebbe compita la fusione dell’homo sapiens e dell’homo technologicus, in un’interazione tra uomo e macchina, fino ad aprire la strada a una convivenza difficile e, nello stesso tempo, ricca di suggestioni. La tecnica di ultima generazione non si “accontenterà”, infatti, di essere una “protesi” finalizzata al potenziamento di alcune azioni materiali, diventerà “mimetica”, ingaggiando una lotta con l’individuo per la supremazia nei territori della conoscenza.
Potere, libertà, democrazia, rispetto dell’identità si mescoleranno in un progresso vorticoso che si nutrirà di una equilibrata alleanza tra scienza e umanesimo. Dalla dimensione narrativa alla realtà, il passo è stato molto breve. Siamo entrati nell’“infosfera”, dentro un ecosistema digitale in cui uomini e robot sono sempre a contatto.
«On line e off line – è il pensiero di Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford, autore di numerosi saggi sulla rivoluzione digitale – sono di fatto un unicum, viviamo tutti on life. Chi riuscirà a sfruttare più interazioni vive una dimensione dell’esistenza più ricca, più ampia e diversificata, si troverà insomma in una condizione migliore rispetto a chi si trova in realtà chiuse, isolate, che risultano fatalmente più povere oltre che meno stimolanti. In questa prospettiva, i processi di interazione diventano il punto di riferimento attorno ai quali si può avviare la conoscenza della realtà e si potranno far crescere competenze ed esperienze».
Il nostro cervello rimane un mistero insondabile
Le considerazioni di Floridi, mentre sappiamo poco degli equilibri che si verranno a determinare in un contesto in cui il corpo elettronico fatto di dati e informazioni si mescola con la presenza fisica, possono incoraggiare, anche se fanno riflettere. L’aspetto più difficile riguarda la possibilità di prevedere fino a che punto la libera decisione dell’individuo potrà essere insidiata da strumenti capaci di fare delle scelte al posto nostro.
«Per governare al meglio – ricorda Giorgio Metta, Direttore dell’Istituto Italiano di tecnologia, tra i massimi esperti internazionali di robotica – quest’“intelligenza globale” che ha già determinato un cambiamento radicale e senza precedenti nella storia dell’umanità, non bisogna cercare con ostinato timore le analogie tra l’uomo e la macchina. Sarebbe vano e fuorviante. Piuttosto, continuiamo a indagare i meccanismi di funzionamento del nostro cervello, che rimane il mistero più insondabile. Questo potrà aiutarci a superare la paura del post umano e a conoscere meglio l’intelligenza biologica, perché, ce lo ha insegnato il Nobel Richiard Feynman, ciò che non sappiamo costruire, diventa impossibile da capire».