Un ennesimo colpo di Stato, apparentemente fallito, o, forse, ancora in corso, come ha affermato Erdogan, nel messaggio alla nazione.
Addirittura, sempre forse, un complotto che vede paesi stranieri coinvolti. Che sta succedendo in un paese che faceva dell’affermazione “mai un problema nelle relazioni internazionali” una certezza della sua politica estera? Di sicuro c’è solo che lo stato di emergenza è stato prorogato di tre mesi, che gli arresti e le epurazioni continuano. L’immagine di quei giovani soldati prigionieri e denudati non è proprio un inno alla democrazia. Ma non solo. Si chiede la estradizione di Gülen dagli Usa, non certo un modo per rassicurare le relazioni con l’America, vedi la reazione di Kerry. Erdogan è sicuramente inquieto per il fatto che a lui la solidaritè degli europei e degli Usa è arrivata dopo un silenzio di troppe ore.
Merita Erdogan la solidarietà delle democrazie occidentali? Per molti anni l’appartenenza alla Nato ha fatto scivolare in secondo piano tutti i limiti della via turca alla democrazia. Oggi tutto è cambiato e non in meglio: troppi i nodi irrisolti in troppi fronti. Perchè? Per indecisioni gravi e interessi troppi forti per essere messi in discussione.
Nel 2004 la Turchia, per agevolare la sua entrata in Europa, abolì la pena di morte mediante impiccagione.
I discorsi dello stesso Erdogan su una sua reintroduzione non credo che contribuiscano ad aumentare simpatie nei suoi confronti. L’episodio delle tre giovani donne turche apostrofate in modo minaccioso da energumeni con queste parole: “ridete, ridete che la pacchia per voi sta finendo. Tra un po’ tutte col velo”. Direi, per lo meno, episodio inquietante. Ma non solo. La durezza di Erdogan verso militari, giudici, professori universitari e poliziotti, potrebbe sfociare in uno scontro feroce tra kemalisti ed i suoi uomini.