Immigrazione e “mala accoglienza”: l’inefficacia del sistema nasce fin dal momento della sua gestazione. Solo un bando di gara su sei, di quelli relativi alla gestione della prima accoglienza dei migranti, raggiunge la sufficienza.
L’analisi è stata condotta da In Migrazione ed è contenuta nel dossier “Straordinaria accoglienza”: la cooperativa romana ha svolto un’accurata indagine sui bandi di tutte le prefetture italiane, proponendo una riflessione nel merito dello scheletro fondamentale dell’accoglienza italiana. Un’analisi ortopedica, si potrebbe dire, per tentare di comprendere la realtà derivante dai bandi e dai relativi capitolati delle diverse prefetture su questo tema.
Secondo In Migrazione, solo 16, dei bandi di gara indetti dalle Prefetture per l’apertura e la gestione dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), raggiungerebbero la sufficienza, 64 risulterebbero carenti e 21 molto carenti. Le stesse gare d’appalto, mediamente, sarebbero caratterizzate da forti ritardi burocratici nell’espletamento di tutte le varie procedure; si sono riscontrati più di 5.000 giorni di ritardo tra la data prevista di avvio dei servizi e quella precedente di aggiudicazione della gara stessa, con una media nazionale di ritardo, per Prefettura, di quasi due mesi. Ritardi che pesano sulle casse dello Stato e che rendono spesso necessarie, sempre secondo In Migrazione, proroghe tecniche delle passate aggiudicazioni. Una situazione rilevata sui bandi di gara per l’apertura dei 178.338 posti per ospitare i richiedenti asilo nei CAS di tutta Italia, che rappresentano oltre il 90% della complessiva capacità della “prima accoglienza”.
Non mancano però esempi virtuosi, che dimostrano come la “prima accoglienza” può essere anche efficace e di qualità. Sul podio della ricerca, infatti, ci sono i bandi delle Prefetture di Rieti, Siena e Ravenna, che dovrebbero essere considerati come il punto di partenza per ridisegnare in Italia una “Straordinaria accoglienza”. A Cosenza, Crotone e Firenze, invece, va il primato dei bandi più carenti.
Così spiega Simone Andreotti, presidente di In Migrazione: «La scelta inedita di analizzare il sistema di prima accoglienza partendo dai bandi pubblici, nasce dalla convinzione che nei capitolati e nei disciplinari delle gare ci deve essere l’anima dei CAS. È nei bandi che si trovano le regole del gioco per i gestori privati, che più sono definite e tanto più accrescono l’efficacia dei controlli e, in caso d’inadempienza, la possibilità di applicare penali o rescindere convenzioni».
In tutta Italia sono stati messi a bando dalle Prefetture, quasi 180mila posti nei Centri di Accoglienza Straordinaria. Se, in termini assoluti, ad ospitare più richiedenti asilo nei CAS sono la Lombardia (27.131 posti messi a bando), la Campania (17.500) e il Lazio (16.449), in rapporto ai residenti queste regioni ospitano appena 3 richiedenti ogni 1.000 residenti. «Non assistiamo ad alcuna invasione – spiega Andreotti – il problema non è il numero di persone che sbarcano scappando da guerre e violenze, ma l’incapacità del nostro Paese di rispondere a questo fenomeno mettendo in campo un sistema di accoglienza efficace e di qualità». La “pressione” dell’accoglienza sui cittadini che risiedono in un territorio non è, infatti, determinata dal numero complessivo di individui accolti, quanto dalla loro concentrazione, ovvero dalla dimensione dei centri dove essi vengono indirizzati, i quali troppo spesso si trovano ad ospitare un numero eccessivo di persone, con conseguenze negative sulla qualità dell’accoglienza e sul rapporto stesso con la comunità ospitante.
Una delle principali criticità evidenziate dalla ricerca riguarda proprio le dimensioni delle strutture. Solo in poco più di una gara d’appalto su 4 viene stabilito un limite inferiore ai 60 ospiti per centro di accoglienza. Nel 68% dei casi, invece, viene data la possibilità di aprire centri che possono ospitare tra gli 80 e i 300 utenti (in alcuni casi con cifre persino superiori). Anche sulla quantità e la qualità dei servizi forniti alla persona e quelli per l’integrazione, nei bandi di gara pubblicati dalle Prefetture, si evidenzia un’altra forte carenza: oltre il 60% di essi non raggiunge la sufficienza su molti aspetti fondamentali. Ciò è stato rilevato in particolare per i seguenti servizi: l’orientamento e il supporto legale per la domanda di protezione internazionale (negativa valutazione in 89 bandi su 101), l’insegnamento dell’italiano L2 (83/101) e la mediazione linguistica e culturale (76/101). Carente, anche se sensibilmente migliore, anche la situazione per i servizi connessi al lavoro, al volontariato e alla gestione del tempo (solo il 49% positivo) e i servizi di assistenza psicologica e sociale (57% negativo). Nettamente migliore, invece, è la situazione per quanto concerne l’assistenza sanitaria, considerata positivamente in 85 bandi sui 101 analizzati.
Con il decreto del Ministro dell’Interno con cui è stato approvato lo schema di Capitolato per la gestione dei centri di accoglienza, nonché i criteri per l’aggiudicazione dell’appalto del 2017, si sarebbe, secondo In Migrazione, preso spunto dai capitolati tecnici dei grandi Centri Governativi (CARA in primis). Un passo indietro che mortifica le esperienze positive valorizzando, invece, quelle più negative. Non poteva mancare, infine, una riflessione sui famosi 35 euro, che una diffusa retorica vorrebbe attributi direttamente ai richiedenti asilo. Dei 35 € “pro die, pro capite medio” destinati all’accoglienza straordinaria dei richiedenti asilo, soltanto 2,50 € vanno direttamente alle persone accolte (che comunque vengono spesi sul territorio per soddisfare le proprie necessità). Il restante, ovvero oltre il 92% del finanziamento, viene usato dal privato che gestisce i Centri di Accoglienza Straordinaria.
Un dato evidente se si pensa che l’accoglienza straordinaria porta (o dovrebbe portare, quando ben gestita) a quasi un miliardo di euro in tutta Italia per creare direttamente nuovi posti di lavoro, senza contare un indotto stimabile in un altro miliardo di euro l’anno. Solo le spese per il personale connesso all’accoglienza straordinaria possono creare, escludendo l’indotto, oltre 36.000 posti di lavoro qualificati.
L’Italia ha un estremo bisogno di un sistema di prima accoglienza che sia efficace, razionale e di qualità. È urgente, dunque, avviare un percorso concreto per uniformare, all’insegna del miglioramento della qualità, i Centri di Accoglienza Straordinaria, prendendo atto che di straordinario, ormai, non hanno più nulla. Un sistema di prima accoglienza, che quantitativamente rappresenta il 90% della prima accoglienza nazionale e che esiste da oltre 4 anni, si è trasformato, di fatto, in ordinario.