Addio a Padre Sorge. Uno sguardo profetico sul cammino della storia

La grandezza di padre Bartolomeo Sorge la si potrà misurare in maniera più compiuta negli anni a venire. Succede con le grandi figure della storia, e Sorge lo era per forza spirituale e calibro intellettuale. Difficile trovare i termini appropriati per tratteggiarne un profilo così variegato e complesso. L’onda emotiva della scomparsa è, infatti, molto forte per chi ha avuto la fortuna di poter lavorare al suo fianco. Dalla parte dei deboli con il Vangelo in mano, la forza delle idee, illuminate da un’intelligenza fervida, aperta al mondo, attento al divenire dei fatti e degli eventi, padre Sorge era questo, ma non solo. Sono stato suo allievo al centro Pedro Arrupe di Palermo e ho fatto parte di una “spedizione in Cina” per conto della Fondazione Sasakawa insieme a padre Angelo Carrara – scomparso alcuni anni fa, era il responsabile della biblioteca di politologia e sociologia dell’Istituto palermitano, considerata un’eccellenza a livello mondiale. Focus del dibattito: la pace nel mondo, come imperativo categorico per lo sviluppo di una civiltà veramente planetaria. Un momento decisivo di formazione per me, giovane laureato, che porterò sempre dentro.

Lo studioso ha seguito fin dalla fondazione le attività dell’Eurispes: amico del Presidente Gian Maria Fara, aveva un’intesa ideale con Gian Carlo Caselli, con cui si confrontava su tematiche inerenti la cultura del diritto, i valori costituzionali e l’etica. Restano nella memoria appassionati dibattiti sulla crisi dei partiti e della politica, sui diritti dell’uomo, il Cardinale Martini, il filosofo Massimo Cacciari e il Presidente Luciano Violante.

Dalla parte dei più deboli

Il suo cammino di fede è stato costantemente caratterizzato dalla passione per la verità e dal senso della sfida. Tra i massimi esperti di dottrina sociale della chiesa e teologo, aveva approfondito gli studi di scienza della politica. Nell’ultima intervista che realizzammo, discutemmo di un suo importante lavoro – la bibliografia che lo riguarda, inutile sottolinearlo, è davvero sterminata – La traversata: la Chiesa dal Concilio Vaticano II a oggi. «Non volevo scrivere questo libro – mi confidò a Milano dove era stato trasferito dopo l’esperienza di Palermo – mi sembrava troppo personale la lettura di fatti ed eventi che hanno inciso sulla vita della chiesa. Mi hanno convinto i confratelli. Ho capito che era importante condividere quello che avevo sperimentato, soprattutto perché gli incontri che ho fatto in mezzo secolo di sacerdozio non erano solo un patrimonio personale. Dovevo mettere a disposizione una testimonianza, condividere un’esperienza per andare oltre, per vedere oltre il visibile, cercando di incidere nella storia, di camminare con la consapevolezza, di poter trasformare il cattivo presente». In queste parole traspare tutta la forza morale dell’uomo e del sacerdote, che aveva vissuto il Concilio dalla sede di Civiltà Cattolica (da lui, per altro, anche diretta), un luogo unico di osservazione per la vicinanza con il cuore stesso della chiesa. Un momento di svolta mai pienamente attuato, rispetto alla quale il gesuita lotterà in tutto l’arco della sua esistenza. «La chiesa con il Vaticano II si fa mondo mettendo al centro la persona. Per questo vi sono zone di frontiera che vanno presidiate. Si è aperta la stagione di un laicato maturo che rappresenta il nodo di connessione tra il Paese che cresce e la chiesa che cresce». Sorge auspicava l’emersione di una laicità positiva non di tipo illuministico ed escludente. Nel passato la chiesa aveva esitato a superare la dimensione clericale. Nella società interculturale, interrazziale, interreligiosa, quella dimensione andava superata. «Saranno i laici – sosteneva con convinzione – i protagonisti di una chiesa incarnata storicamente». Impegnarsi per cambiare la storia, era la missione che sentiva con particolare urgenza. «Come si può accettare la passività rispetto agli eventi, come si può rinunciare ad agire sulla coscienza, la rivoluzione parte da lì, dalla mente e dal cuore». La serena consapevolezza di lottare per un bene più alto, dotava questo indomito sacerdote di uno straordinario coraggio.

Dopo Falcone anche “la chiesa è un’altra”

Proiettato a Palermo dai superiori – chiusa, ormai, la pagina bella e sofferta della direzione della Civiltà Cattolica – aveva capito subito di trovarsi in una terra difficile, cui resterà per sempre legato. «Qui a Palermo – disse il giorno del suo arrivo – bisogna venire e restare. Non serve fare del superficiale “turismo”. Per estirpare la malapianta della mafia nel suo brodo di coltura, l’ignoranza, la povertà, la miseria, la presenza, è essenziale esercitare una cittadinanza attiva nel territorio. In breve tempo il Centro Arrupe divenne il luogo della rinascita. «Quella vissuta nel capoluogo siciliano è stata la pagina più dura della mia lunga vita, un decennio bello e intenso. Ho capito quanto il Sud abbia le qualità per fare da apripista del rinnovamento».

È a tutti noto l’esperimento della primavera di Palermo che risale al 1989, con la creazione di una giunta “esacolore” che metteva insieme tutte le forze progressiste al di là dei vecchi schieramenti ideologici. La nascita del movimento della Rete di Orlando, che rese possibile quell’esperienza, la vivace dialettica e anche la contrapposizione tra padre Sorge e padre Ennio Pintacuda, fanno tornare alla mente il fermento di una città che finalmente tornava a sentirsi viva, dopo anni di marginalità. «Eravamo riusciti, almeno per un momento, a coalizzare tutte le coscienze della società civile, senza barriere ideologiche e culturali per uno sforzo comune. La lezione più bella che mi è rimasta di quegli anni: uniti si può vincere anche contro la criminalità».

Aspetto cruciale di quel momento storico era rappresentato dalla crisi dei partiti, la fine della Prima Repubblica, il vento travolgente di “tangentopoli”, che si intrecciava nel capoluogo siciliano con i tragici attentati costati la vita a Falcone e Borsellino. «Falcone ha cambiato anche la chiesa, insieme alla stessa città di Palermo. Quando sono arrivato in Sicilia – mi raccontò riannodando il senso del suo lungo soggiorno nell’Isola – poco dopo l’uccisone del Generale Dalla Chiesa, lo Stato era latitante, ho trovato un abbattimento psicologico e morale terribile. In assenza dello Stato, la chiesa ha ridato fiducia, ha detto alla collettività e alle Istituzioni: ce la possiamo fare in nome di un ideale superiore. Oggi lo Stato è presente grazie al sacrificio di questi uomini di valore». Si commuoveva ancora al pensiero della catena umana che dopo la strage del 1992 aveva inondato la città dicendo “basta con la mafia”. Emblematica quella ribellione per un popolo che, fino al giorno prima, non osava pronunciare quella parola. Era il segno che l’impegno poteva dare i suoi frutti, anche a costo della vita.

Abbiamo bisogno di sacerdoti santi che ci riportino al messaggio evangelico senza paura di sporcarsi le mani. «Il Cardinale Pappalardo e don Puglisi – scrive nella Traversata – sono due esempi di una chiesa a servizio della promozione umana in una zona di frontiera. Ho avuto modo di conoscere Pappalardo che con una grande visione pastorale ha consentito alla chiesa di dimenticare le collusioni e le incertezze del passato e di schierarsi, decisamente, in nome del Vangelo per la giustizia e la fraternità, promuovendo il rinnovamento. Don Puglisi lo definirei il frutto drammaticamente maturo di questo nuovo volto della chiesa. Non era un politicante, si occupava del seminario, delle vocazioni, lavorava tra giovani portandoli lontano dalla corruzione e dalla criminalità. La sua morte è un fatto emblematico dell’evangelizzazione di una chiesa che nel Sud ha saputo operare mantenendo una sua autonomia dalla sfera della politica».

L’impegno dei cristiani in politica

Il nodo del rapporto tra cultura e politica, fede e impegno partitico è un aspetto decisivo che ha segnato tutta l’arco della vita di Sorge. Aveva intuito prima di tutti la crisi della DC – partito cattolico per eccellenza – che trascinò l’Itala nelle secche di quella che definiva la “democrazia bloccata”. Molti suoi scritti sono imperniati sulla “ricomposizione dell’area cattolica”. Inutile cercare tra le pagine chances per i nostalgici del partito unico, che aveva ormai perso il suo appuntamento con la storia ed era ormai fuori dal tempo. Inutile pensare ai cattolici in unico partito, andava ripetendo con il dono di una parola profetica (le lezioni e le conferenze di Sorge erano gremite di partecipanti dal Nord a Sud dell’Italia), bisogna tornare allo spirito del manifesto sturziano, “liberi e forti” senza paura di essere in minoranza. Da quella temperie potrà nascere una pagina nuova per l’impegno degli uomini di fede che hanno a cuore il futuro del Paese.  

Pluralismo nelle scelte, dunque, coerenza nel rispetto dei valori cristiani e costanza nell’applicazione di quei valori nel laboratorio sofferto della quotidianità. «Quella dell’Italia è una crisi strutturale – era la tesi di fondo sostenuta in diverse pubblicazioni – che non ammette letture contingenti e superficiali. Le radici del nostro declino sono profonde, risiedono nella corruzione, nello scarso senso della legalità, nella partitocrazia che ha tolto qualità alla democrazia, ha occupato il potere allontanando i cittadini dalle Istituzioni». Servono uomini della sintesi, era il suo auspicio, capaci nella chiesa come nella politica di coniugare la forza delle idee, con un corredo di competenze necessarie ad affrontare la complessità del mondo di oggi. Il vulnus maggiore era visibile nel deficit di cultura; la politica, in particolare, continua a scontare questo gap, a dimostrazione di quanto sia attuale l’insegnamento del gesuita. Sorge scorgeva nella politica con la “P” maiuscola, come amava chiamarla, l’uomo in universale, a patto che nell’esercizio dell’Amministrazione pubblica la classe dirigente ci si ricordi che la stella polare deve essere quel bene comune che abbiamo, troppo in fretta, rimosso e derubricato a optional. «Se l’uomo da valore numero uno diventa valore numero due, l’uomo si distrugge», la radice dell’etica nella politica si basa su questa verità di base, tanto profonda, quanto semplice.

Al crocevia tra politica, teologia, filosofia e dottrina sociale il confronto con padre Francesco Cultrera – gesuita anch’egli tra i massimi esperti di teologia morale – ha arricchito generazioni di studenti del Centro Arrupe. La visione ideale, ma nello stesso tempo molto concreta di un cattolicesimo democratico autentico, lontano dai rituali delle gerarchie, finalmente scevro da collateralismi, nasce dalla vivace dialettica tra Sorge, gli storici Agrippino Pietrasanta e Federico Butera (grande meridionalista), i giuristi e politologi Franco Teresi, Guido Corso, Antonio La Spina, che hanno costituito una pleiade di intellettuali impegnati per il rinnovamento della società, che sarà difficile da emulare. Sotto questo profilo Uscire dal tempio, l’autobiografia firmata con Paolo Giuntella assume un significato emblematico. Basta stare nel chiuso delle sacrestie, il messaggio di fondo. La politica deve ritrovare l’anima. È evidente che siamo di fronte alla testimonianza alta di un riformismo illuminato profondamento rispettoso della laicità della politica, in una distinzione di ruoli, che potrà rilevarsi decisiva per il tanto auspicato rinnovamento dei partiti e per il destino stesso della democrazia.

La forza di essere minoranza

Sorge non temeva di essere avversato, di contrapporsi all’establishment. Gli era già successo sul fronte internazionale, quando aveva sostenuto il gesuita argentino Bergoglio (che sarebbe divenuto Papa nella lotta a fianco di padre Arrupe nell’America Latina) a “servizio della fede e per la promozione della giustizia”, come ha ricordato molto bene padre Francesco Occhetta, gesuita allievo di Sorge. Così, in anni più recenti, dall’osservatorio del Centro San Fedele di Milano dove è stato direttore delle riviste Aggiornamenti sociali e Popoli, aveva denunciato il “berlusconismo” come fenomeno politico, il balbettio di una Seconda Repubblica, abortita prima di nascere, come gli inutili tentativi di far rinascere una nuova DC, insieme alla deriva di tanti leader improvvisati. La politica per Sorge non è personalismo (aveva suscitato clamore il giudizio critico sulle ansie da protagonismo di Renzi), è spirito di servizio, tessitura faticosa di posizioni spesso difficili da conciliare, interpretazione dei bisogni della gente, voce degli ultimi che non hanno altra possibilità di farsi sentire. Aveva stigmatizzato, con la consueta, puntuale lucidità, il sovranismo massimalista della Lega, movimento-partito «incapace di interpretare lo spirito autentico del federalismo». Non lo avevano nemmeno incantato le sirene del populismo. In un dialogo con Chiara Tintori, pubblicato poco più di un anno fa (Perché il populismo fa male al popolo) ha scritto: «il populismo fa male perché è privo del senso dello Stato e uccide il bene comune, perché è nemico della laicità positiva, perché sacrifica l’essere per l’apparire, perché specula sulle paure e sui problemi delle persone, perché fa dell’altro un nemico». Il vaccino per questa malattia esiste, lo si può individuare nel popolarismo di matrice sturziana – ancora valido dopo un secolo dal celebre manifesto – perché animato da una tensione etica e ideale e da un riformismo autentico e coraggioso.

«Non si può fermare il vento con le mani» era una sua tipica espressione. La storia va avanti, il Vangelo rimane attuale, soffermiamoci di più sulla parola autentica. «Giudicatemi indegno – aveva affermato in una recente intervista in cui sosteneva con forza l’opera di bonifica che Papa Francesco sta portando avanti nella chiesa di oggi – questo mi fa amare ancora di più voi, la chiesa stessa e la parola di Dio. Non stupiamoci: anche la chiesa è in quarantena, deve estirpare tutto ciò che è marcio, ma ne uscirà guarita per sempre».

Il suo era ottimismo di uomo di fede, era sempre sostenuto da una lucida capacità di analisi. «La chiesa nella storia – spiegava ai suoi studenti – quando ha pensato di essere forte è stata debole. Quando ha sposato il potere dimenticandosi degli ultimi ha perso tutta la sua capacità di incidere nella storia. Il cristiano deve esser come il lievito, piccola minoranza capace di far lievitare la pasta. Da piccola palla di neve a valanga che tutto porta con sé». In questa ottica la cultura, il sapere come motore di emancipazione è stato il fulcro che ha dato energia ad ogni iniziativa. La scuola di formazione politica Pedro Arrupe rimane un modello, ormai replicato anche in altri contesti. Le docenze prestigiose di laici e cattolici, hanno offerto e offrono ancora il paradigma di una formazione aperta, mai confessionale, disposta a esercitare il dubbio, per stimolare i giovani ad esercitare un occhio critico sulla realtà, a non accontentarsi mai del visto e del conosciuto, soprattutto a rispettare i valori della libertà, della giustizia, della democrazia, che sono costati anni di lotte e di sacrifici.

I sogni e i segni per gli “uomini della sintesi”

Negli ultimi anni ha continuato a riflettere e a scrivere. I sogni e i segni di un cammino è l’opera che considerava il suo testamento spirituale. Nel libro, con la chiarezza cristallina che solo i grandi studiosi sanno avere, parla di tre sogni: la santità, una città a misura d’uomo, una chiesa rinnovata. Nel corso dell’ultima telefonata che abbiamo avuto, circa un mese fa, mi aveva detto con quell’ironia che era un suo tratto distintivo: «a Gallarate (la residenza dei Gesuiti dove abitava che aveva ospitato anche il Cardinale Martini, per cui aveva una profonda ammirazione ndr) sono ormai pronto per il paradiso». Il presentimento della fine imminente non aveva allentato la sua indefessa capacità di lavoro. In questi giorni stava correggendo le bozze dell’ennesimo volume: L’Europa ci salverà, dialoghi ai tempi della pandemia. Aveva trovato l’energia e l’interesse intellettuale per spostare il suo sguardo ancora una volta “oltre”, con quel sorriso ispirato dall’alto, che è stato un grande dono per chi lo ha conosciuto.

Lascia un grande vuoto, ma anche un insegnamento ricco di valori e di ideali di cui oggi abbiamo bisogno come l’aria. Di lavoro da portare avanti, negli “areopaghi” del tempo moderno, ce n’è ancora tanto. Il cammino tracciato da Sorge è solo all’inizio. Per gli “uomini della sintesi” non sono ammissibili pause né, tanto meno, distrazioni.  

 

 

 

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