Albanesi, nigeriani e cinesi, nuovi mafiosi d’Italia

Mafie straniere sempre più radicate, tanto da riuscire a conquistare un ruolo di collaborazione stretta e solidale con le mafie autoctone, quelle che da sempre caratterizzano il panorama criminale del nostro Paese.
Mafia, camorra, ‘ndrangheta – oggi la prima “mafia nazionale” con una supremazia indiscussa conquistata sul campo – si sono ormai abituate a gestire le loro attività,  sfruttando le potenzialità e le specifiche caratteristiche delle mafie straniere. Sul podio delle organizzazioni che sono riuscite ad “accalappiare” e, addirittura, a spartirsi, pezzi della nostra Italia, la mafia albanese, quella nigeriana e quella cinese.

Alla presenza delle associazioni mafiose straniere in Italia è stato dedicato un convegno presso la Corte di Cassazione dal titolo “La criminalità organizzata straniera in Italia. Quali scenari futuri?”.  Il momento di incontro e confronto è stato organizzato dal sociologo e criminologo Fabio Iadeluca: “Non c’è Paese al mondo che in tema di mafia può prescindere dal far riferimento agli strumenti messi in campo dall’Italia e alla sua legislazione, tra le più avanzate al mondo su questa tematica. Ma oggi ci sono nuove esigenze, ed è impossibile non tenere conto che la globalizzazione, anche finanziaria, e il fenomeno dell’immigrazione di massa, hanno reso ancor più complesso il panorama criminale. Ciò che accomuna le mafie tradizionali con quelle straniere è la loro capacità di negare il diritto di dignità e di libertà ”, ha spiegato.

In questa direzione è andato anche il sostituto procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Cesare Sirignano che ha incentrato il suo intervento sul crimine della tratta di esseri umani. Un reato che il nostro sistema processuale affronta in “rarissimi casi”. “Il numero di condanne è risibile rispetto alla diffusione del reato”, ha spiegato il dottor Sirignano. “Le indagini difficilmente decollano perché sono estremamente complicate e il nostro sistema, seppure all’avanguardia, non è in realtà abbastanza efficace. Si pensi solo a quanto è difficile, se non impossibile, risalire all’identificazione dei soggetti coinvolti quando abbiamo a che fare, per esempio, con la mafia nigeriana; alle difficoltà enormi per poter sviluppare le intercettazioni, sia per la complessità della lingua e dei dialetti che per l’insufficienza di interpreti”.

Un problema, quello dell’interpretariato, sottolineato anche dal Consigliere Luigi Giordano, magistrato dell’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, che ha poi illustrato “pregi e difetti” di uno strumento importante di repressione, come il “captatore informatico”; un meccanismo che utilizza microspie all’interno dei cellulari per svolgere intercettazioni ambientali, e manovrabile da remoto. Uno strumento utile ma di non semplice utilizzo e soprattutto molto costoso.

Il Consigliere Paolo Geronimo, magistrato dell’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, ha invece illustrato luci e ombre del nuovo decreto legislativo intervenuto a modificare il tema delle intercettazioni telefoniche, e non ancora entrato in vigore. Una riforma nata con l’intento di rispettare le diverse esigenze ma che è stata osteggiata da più parti; ed in effetti, numerosi sono gli aspetti che potrebbero esporla a dubbi di legittimità costituzionale.

Al presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, il compito di spiegare come si stanno trasformando ed evolvendo le mafie autoctone e in che direzione si stanno muovendo. “Non vi sono  zone “franche”: la malavita organizzata continua ad agire sulle terre d’origine, perché è attraverso il controllo del territorio che si producono ricchezza, alleanze, consenso: specialmente nel Mezzogiorno. Ma poi i capitali accumulati hanno bisogno di sbocchi, devono essere messi a frutto e perciò raggiungono le città   – in Italia e all’estero – dove è più facile renderne anonima la presenza e dove possono confondersi infettando pezzi interi di buona economia”, ha detto il professor Fara.

La storia dei percorsi legislativi che rendono il nostro sistema un punto di riferimento, è stata illustrata da Antonio Scaglione, vicepresidente del Consiglio della Magistratura Militare. “Una legislazione delle emergenze che si è poi trasformata in un sistema stabile e che vede i suoi capisaldi nell’articolo del 416 bis del codice penale, negli uffici e nelle attività delle procure nazionali antimafia e nei sempre più specializzati corpi di polizia”.

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