«L’assegno unico universale per i figli è il primo passo di una grande riforma fiscale. Come il quoziente familiare alla francese, potrà avere un effetto positivo sui bilanci familiari. Ci sono alcuni elementi che caratterizzano questa misura come una vera riforma all’interno di un pacchetto integrato di riforme che è quello del Family Act. Il primo elemento è il carattere di universalità, il secondo elemento caratterizzante risiede nel fatto che si tratta di una misura strutturale, Il terzo elemento è la semplificazione». Si esprime così il Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, nella videointervista rilasciata alla rivista online dell’Istituto Eurispes e realizzata da Emilio Albertario.
Oltre ai temi della fiscalità, tra gli argomenti affrontati anche il disagio giovanile e il ruolo della scuola e delle Istituzioni, la presenza delle donne nell’esercizio della leadership politica e sociale e la violenza sui minori, fenomeno acuito dalla Rete.
Il testo dell’intervista è disponibile anche in inglese
Universal child allowance: the first step of tax reform. Interview with the Minister for Equal Opportunities and the Family, Elena Bonetti
Ministro Bonetti, l’assegno unico per i figli fino a 21 anni è uno dei successi di questa complessa Legislatura che ha avuto già tre Governi. Lei lo ha definito un “debito buono”, quel debito che piace a Draghi. In sostanza, cosa cambia rispetto ai vecchi assegni familiari e alla “marea” dei bonus?
Ci sono alcuni elementi che caratterizzano questa misura come una vera riforma all’interno di un pacchetto integrato di riforme che è quello del Family Act. Il primo elemento è il carattere di universalità: è una misura di sostegno alla genitorialità, ma che si rivolge ai figli – quindi a ciascun bambino dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni – ed è il riconoscimento di un valore universale che questi cittadini rappresentano per tutti noi; manifesta, dunque, la necessità di un sostegno per la loro crescita. Perché dico che questo è un tratto davvero innovativo? Perché oggi in pochi possono contare veramente su sostegni economici, anche per quella frammentarietà di misure presenti. Per esempio, i lavoratori autonomi non accedono agli assegni per nucleo familiare; per esempio, gli incapienti – cioè quelli che non pagano le tasse – non accedono alle detrazioni fiscali per i figli a carico. Il secondo elemento caratterizzante risiede nel fatto che si tratta di una misura strutturale: significa che si colloca in una dinamica di progettualità economica delle famiglie. Mese dopo mese le famiglie sanno di quanto potranno disporre per i costi economici che comporta avere un figlio. Il terzo elemento è la semplificazione, perché al posto delle tante misure che in qualche modo sono incomprensibili proprio perché si alternano, si stratificano, oggi c’è chiarezza, una erogazione comprensibile, certa e questo, al di là della semplificazione – ovviamente, sempre auspicabile anche in una dinamica economico-sociale – che ha un vantaggio chiaro, affiancato alla strutturalità, cioè alla possibilità di essere una misura che si proietta in un divenire temporale, per tutto questo si caratterizza come un investimento. Di fronte ad un’incertezza (lavorativa, sociale, di prospettiva) la risposta deve essere la strutturalità di misure di sostegno e di investimento. Non è un sussidio, non è una semplice misura di contrasto alla povertà individuale, è una misura di investimento e di sostegno, che deve essere commisurata, e così sarà, sulla base del contesto familiare reddituale. Quindi è un’universalità, ma graduata sui redditi delle famiglie.
L’assegno unico, secondo alcuni commentatori, avrebbe uno straordinario effetto moltiplicatore se introdotto accanto al quoziente familiare.
Il tema della fiscalità, all’interno della quale si colloca l’assegno unico universale, è argomento molto importante. Il quoziente familiare è uno strumento che legge il carico familiare nell’ambito della fiscalità. In realtà, l’assegno unico universale è già in sé uno strumento di fiscalità. Lo abbiamo costruito non come un sostegno di carattere di welfare assistenziale, ma proprio legato al tema della fiscalità che attiene alla dimensione della necessità (per esempio, attivare lavoro e, in particolare, lavoro femminile). Nell’ambito della riforma fiscale è chiaro che si potranno inserire misure ad integrazione – faccio però presente che l’assegno unico universale fa parte della riforma del Family Act, nella quale, oltre al sostegno dell’assegno unico universale, si riconoscono la defiscalizzazione delle spese sostenute per l’educazione dei figli, la defiscalizzazione della contribuzione per il lavoro domestico, per tutti i sostegni familiari. È in questa visione multidimensionale che tale misura ha un effetto moltiplicativo. Un effetto moltiplicativo di investimento, per esempio, nella riattivazione non solo di una co-responsabilità sociale, ma anche di una maggiore presenza femminile nel mondo del lavoro.
L’attuale sistema ISEE è una sorta di carta di identità della situazione economica delle famiglie. È uno strumento ancora attuale ed efficace?
Immagino che l’ISEE, nell’ambito della riforma fiscale, dovrà eventualmente essere modificato e reso coerente al nuovo contesto della fiscalità del nostro Paese. Ad oggi esso è, tra gli strumenti presenti, quello che maggiormente dà una fotografia dello stato economico della famiglia. Tuttavia, nell’ambito della Legge delega è stato individuato l’ISEE, o alcune sue componenti, quindi è già stato prescritto che deve essere usato l’ISEE come una quantificazione dell’assegno. Si sta lavorando, nell’ambito dei decreti attuativi per far sì, per esempio, che all’interno di questo strumento non venga penalizzato il secondo percettore di reddito, per evitare un effetto negativo – che si potrebbe avere – che è quello di una ulteriore inibizione del lavoro femminile, oltre, certamente, ad un maggior riconoscimento del carico del numero dei figli. Faccio però presente, da questo punto di vista, che l’assegno in sé contiene, come il quoziente familiare alla francese, un effetto premiante, a partire dal terzo figlio. L’assegno unico universale, invece, ha una sorta di effetto premiante. È in qualche modo una specie di tassazione al negativo che restituisce quel contributo che le famiglie hanno messo in campo per la cura dei figli.
La famiglia ci porta, inevitabilmente, a parlare di figli, con l’annesso problema delle scuole bloccate, e lo svilupparsi di un’insofferenza giovanile che spesso sfocia in violenza. È un fenomeno da arginare subito?
È un fenomeno da arginare subito; però, è un fenomeno che mette in evidenza un disagio profondo della popolazione giovanile, soprattutto nel momento drammatico che stiamo vivendo, e che pesa sulle spalle di questa generazione. Ci sono due importanti elementi che gravano sui nostri figli: il primo è il debito che noi stiamo facendo per poter ripartire, perché stiamo usando i soldi del loro futuro; il secondo è la situazione attuale. Oggi ci troviamo in una situazione nella quale le scuole sono chiuse, i luoghi di socialità chiusi. Ho insistito, fin da subito, sulla necessità di riaprire gli spazi educativi e relazionali per i ragazzi, e anche quest’anno confermiamo la necessità di una presa in carico di questa richiesta: intanto, con la riapertura delle scuole ma poi, in prospettiva, con l’organizzazione di esperienze di carattere educativo rivolte ad adolescenti e pre-adolescenti, che possano riacquisire spazi di relazione anche educativa per assorbire questi disagi – che, se vissuti in solitudine, possono sfociare in forme di violenza e di autolesionismo. Si stanno verificando episodi drammatici da questo punto di vista ed è per questo che anche nell’ambito del mio dipartimento, nell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, abbiamo costituito un gruppo che sta studiando gli effetti psicologici ed emotivi dell’esperienza Covid sulla popolazione giovanile, per poi dare delle risposte concrete anche integrandole con quelle che arrivano dal mondo della scuola.
Minori che non sono soltanto soggetti attivi della violenza, ma sono sempre più spesso vittime di reati odiosi come la pedofilia. Ci sono nuove idee in campo per contrastare la pedofilia?
Quello della pedofilia e della pedopornografia è un tema sempre più in evidenza, ma del quale non abbiamo, purtroppo, una precisa dimensione. Ad oggi, ci sono forme nascoste di questa violenza, forme che avvengono nel web, nel mondo della Rete. Per questo l’Osservatorio Nazionale di contrasto alla pedofilia e alla pedopornografia è stato oggi ricostituito con un indirizzo ancora più specifico e puntuale di contrasto a tali fenomeni. Un primo passo è proprio quello di mettere in campo quelle sinergie con tutti i soggetti competenti per andare ad intercettare questo reato con estrema chiarezza e puntualità. C’è poi un altro tema, di carattere informativo, nei confronti del mondo adulto, dei genitori, delle famiglie, per aiutare e per poter riconoscere magari un abuso subìto dai figli attraverso la Rete; e poi c’è il tema dell’educazione e della scuola, che può fare formazione, educazione nei confronti dei bambini e dei ragazzi e, nello stesso tempo, saper riconoscere quei segnali e conseguentemente attivare percorsi di sostegno. Spesso, questi fenomeni subìti vengono lasciati nella solitudine ed è proprio questa l’arma più forte della violenza: lasciare sola la vittima è l’arma più forte della violenza. Quindi, è su questo che dobbiamo oggi insistere.
Ministero della Famiglia, ma anche delle Pari Opportunità. Non è il suo caso, ma per le donne è sempre più difficile trovare posti di vertice in politica o anche nelle grandi aziende, fino al caso del “sofa-gate” della von der Leyen. Ogni passo avanti sembra che se ne facciano due indietro.
La presenza delle donne nel mondo della politica e in generale nell’esercizio della leadership sociale è una sfida ancora aperta, sulla quale dobbiamo ulteriormente impegnarci. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che la parità di genere e, conseguentemente, la promozione delle donne nei luoghi di leadership, è un elemento necessario e costitutivo per la nostra democrazia. Credo che questo sarà sempre più evidente grazie ad un processo comunque positivo che le donne nel mondo della politica hanno portato avanti. Ha ragione lei, la parità di genere va scelta, esercitata, e non va vista come una concessione a tutela di un diritto di uguaglianza; è qualcosa di più, deve essere un elemento costitutivo della nostra forma sociale. Il caso della Presidente von der Leyen è stato un caso eclatante, però di questa circostanza vorrei sottolineare un particolare: quell’apparente passo indietro, quello schiaffo alle Istituzioni, proprio nei confronti della Presidente della Commissione Europea, quell’atto ha dimostrato, invece, quanto l’esperienza femminile sappia interpretare una leadership istituzionale di altissimo livello. La sua fermezza nel rimanere e far diventare quell’atto una denuncia di un inaccettabile stereotipo, ancora presente nelle Istituzioni, ha di fatto spinto verso un ulteriore passo avanti. Ecco, le donne devono saper fare anche questo, sapere che ci sono, a volte, dei passi avanti che costano fatica, ma che se vengono fatti, vengono fatti a nome e per tutte le donne che verranno dopo.
Il neo-Segretario del Pd, Enrico Letta, ha messo ai primi posti del suo programma lo ius soli, ovvero l’acquisizione della cittadinanza di un paese per il solo fatto di esservi nati. Un tema che si collega con la scarsa propensione degli italiani a fare figli?
Penso che i temi siano correlati, e meritino, però, due risposte diverse. Penso, per esempio, che lo ius culturae cioè il riconoscimento della scuola come luogo della costituzione della cittadinanza, è una delle proposte che io ho sempre sostenuto. Oggi c’è un altro tema sul quale si dibatte, che è un’iniziativa che deve nascere nella scelta parlamentare, ovviamente; mi riferisco alla definizione di cittadinanza ma, accanto a questo tema, bisogna ragionare sulla tendenza alla denatalità nel nostro Paese che ormai ha raggiunto livelli drammatici. C’è un continuo declino delle nascite nell’intera Penisola. Purtroppo, a causa del Covid, abbiamo anche raggiunto il maggior gap fra i nati e i morti nel 2020. A questo si risponde dando una prospettiva di stabilità: purtroppo, i dati dicono che anche gli immigrati in Italia mostrano una minore propensione ad avere figli. Quindi, in realtà, il problema è oggi restituire a tutte le famiglie nel nostro Paese prospettive di speranza concreta, e questo significa lavoro femminile, servizi educativi, investimento sulla popolazione giovanile, sostegno economico alle spese educative, che è, in poche parole, il Family Act.