Reale e virtuale sono categorie dell’essere che non è più possibile separare, il mondo in cui viviamo è, infatti, il risultato della densa contaminazione tra questi due ambiti. Questo fitto intreccio ha un nome “infosfera” e sarà l’habitat dell’homo technologicus, non ancora Homo Deus per usare la definizione di Yuval Noah Harari coniata nel saggio, edito in Italia da Bompiani e divenuto ben presto best seller mondiale, ma discendente diretto della specie sapiens sapiens.
Abbiamo evidentemente conquistato un grado più avanzato nella scala evolutiva, ma abbiamo ancora da risolvere tanti “grattacapi”. L’ecosistema digitale in cui siamo immersi richiede un investimento continuo in conoscenza, metodo di ricerca, capacità di previsione, nessuna posizione di rendita è ammessa, senza solide armi culturali per nessuno ci saranno chances di successo.
Questa la tesi di fondo che Luciano Floridi, direttore di ricerca e docente di filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford, argomentata nel saggio: La quarta rivoluzione (ed. Raffaello Cortina). La contemporaneità è segnata dal prepotente sviluppo della tecnoscienza, rispetto a cui è inutile esercitare un atteggiamento scettico. “Non ha senso chiedersi – spiega lo studioso – se l’acqua sia dolce o salata, quando siamo nel mare di Internet, bisogna imparare a nuotare. Non possiamo permetterci di rimanere ai margini di una rivoluzione così profonda e radicale, piuttosto i nostri sforzi devono essere volti ad acquisire una mentalità digitale, altrimenti, e lo dico da italiano, saremmo destinati ad occupare posizioni di retroguardia”. Il nostro Paese è chiamato in causa dallo studioso, che ricorda come, a dispetto della propaganda, continuiamo ad essere fanalino di coda a livello europeo nella diffusione di alcune importanti best practices come i pagamenti on line, gli acquisti in rete, l’utilizzazione dei big data e dei servizi bancari disponibili sul web.