Il mercato degli affitti brevi, esploso negli ultimissimi anni, sta stravolgendo il volto e la vita delle città, in particolar modo quelle turistiche.
Prima negli Stati Uniti, poi anche in Europa, il fenomeno sta conoscendo un boom inarrestabile, come ben rappresentato dalla diffusione della piattaforma Airbnb (dove si trova il 75% dell’offerta) e, secondariamente, Booking e HomeAway. La Rete è, infatti, lo strumento principe attraverso cui si sviluppa questo particolare mercato.
A San Francisco, Barcellona, New York, Parigi, Amsterdam, Berlino, Londra esiste già un forte allarme per l’esplosione del mercato sommerso degli affitti di breve durata, tanto che sono già state messe in atto alcune strategie di contrasto: limiti di tempo per gli affitti brevi, creazione di uffici specifici di controllo, obbligo di registrazione, obbligo di licenza, aumento dei controlli e delle sanzioni.
Anche le città italiane più turistiche sono state travolte dalla nuova tendenza. Roma è il secondo mercato europeo per gli affitti brevi.
L’Ente Bilaterale Turismo del Lazio ha appena presentato un’indagine sul mercato degli affitti brevi nella capitale, “Il sommerso ricettivo a Roma”. Lo studio rivela come la crescita del fenomeno sia enorme: +46% da settembre 2016 a settembre 2019. Per contro, il numero degli alberghi è in calo. Si stimano quasi 29mila unità abitative offerte nel comune di Roma; 21.745 effettive (escludendo chi non ha affittato neppure per un giorno durante l’anno). Con una media di 4,7 posti letto per unità abitativa si può stimare l’offerta complessiva sui 100.932 posti letto (86.801 dei quali utilizzati). Nel 64% dei casi si affitta l’intera casa, nel 35,2% una camera privata, nello 0,8% una camera condivisa.
A Roma si stimano 5,8 milioni di arrivi e 13,5 milioni di presenze l’anno non ufficiali, una quota pari al 31,1% del totale delle presenze ufficiali nella città. I valori relativi al non ufficiale superano ormai quelli relativi all’extra alberghiero. Ciò si traduce in circa 50 milioni di tassazione evasa. Il giro d’affari stimato per gli affitti brevi nella capitale raggiunge complessivamente i 481 milioni di euro annui.
Gli alloggi risultano molto concentrati – l’80% nel Primo Municipio, a seguire il secondo ed il settimo, cioè il centro della città – e la loro distribuzione è sovrapponibile a quella delle strutture alberghiere regolari. Non si realizza dunque una spesso auspicata delocalizzazione del turismo sul territorio cittadino, poiché il centro rimane congestionato. Le dinamiche sono uguali a quelle alberghiere, non complementari, anche per la durata media della permanenza (quasi nessuno rimane più di 4 notti).
Il mercato sommerso degli affitti brevi ha ripercussioni rilevanti sulle città a diversi livelli. Costituisce, in primo luogo, una forma di concorrenza sleale nei confronti di chi opera in regola; in secondo luogo sottrae risorse praticando l’evasione fiscale.
Ha riflessi importanti sia sulla cittadinanza sia sulla Amministrazione pubblica. Per organizzare opportunamente la città in termini di politiche urbane, di servizi, traffico, rifiuti, è necessario conoscere le dimensioni della popolazione; se quella dichiarata non coincide affatto con quella reale i disservizi sono inevitabili.
Questa fetta di sommerso opera ovviamente a discapito dell’occupazione regolare. Molti vorrebbero essere occupati nel settore turistico ma incontrano grandi difficoltà e condizioni precarie. Si stima che senza il mercato irregolare potrebbero esserci almeno 5.000 lavoratori in più, solo nel diretto. L’impatto del sommerso sull’occupazione è, invece, minimo, poiché gran parte del lavoro è automatizzato e si svolge sulla piattaforma digitale, che richiede un impiego nettamente inferiore di risorse umane; non sono poi previsti i servizi alberghieri. Rimane il lavoro delle aziende deputate a pulizie e manutenzione dei locali, con un impatto occupazionale che appare però molto contenuto.
Forte è poi l’impatto sul mercato degli affitti delle famiglie. I residenti faticano sempre più a trovare alloggi in affitto. Gli affitti brevi hanno rendimenti più elevati rispetto alle disponibilità economiche delle famiglie residenti, soprattutto nelle zone centrali, ma anche nelle aree più periferiche. Di fronte ad affitti triplicati, molti cittadini sono costretti a spostarsi in periferia – accade anche a Napoli, Bologna, Firenze.
Le spese condominiali lievitano (ad esempio per la maggiore produzione di rifiuti); i locali formalmente risultano residenziali per il fisco, i costi maggiori pesano dunque sui residenti, non su chi ottiene un guadagno.
Roma, inoltre, è una città universitaria, che raccoglie un ampio bacino di studenti dell’Italia centro-meridionale; con l’esplosione del mercato sommerso gli studenti fuori sede incontrano sempre maggiori difficoltà a trovare affitti a prezzi ragionevoli ed accessibili. Il rincaro degli affitti è la diretta conseguenza della legge della domanda e dell’offerta.
Le ripercussioni sono forti anche sul commercio. Dove è più diffusa la ricettività sommersa si riduce il numero dei residenti a favore di chi alloggia per un breve periodo, quindi gli esercizi di vicinato (drogherie, abbigliamento, mercerie, ecc.) tendono a scomparire, sostituiti da negozi per turisti (souvenir, chincaglierie, bar e locali turistici, ecc.). Molti quartieri si spopolano dei residenti e diventano quasi esclusivamente turistici. Si tratta di un danno per il tessuto sociale ed economico della città.
Con questo meccanismo si genera anche una vera e propria discriminazione tra turisti “tutelati” e non, cioè tra coloro che alloggiano in locali che rispettano le norme di sicurezza e coloro che sono esposti al rischio di incidenti, in termini edilizi, logistici, igienici – a causa della generale elusione delle norme di sicurezza.
Con questa indagine dell’EBTL per la prima volta sono stati intervistati direttamente oltre mille visitatori della capitale.
A conferma di quanto detto, il primo motivo alla base della scelta dell’alloggio, come per le strutture ricettive regolari, è la localizzazione. Il secondo motivo è il prezzo.
Le risposte degli ospiti confermano come il sommerso abbia ripercussioni negative in termini di sicurezza. Al 12% dei visitatori non sono stati chiesti documenti – ed è possibile immaginare che la percentuale sia anche più alta di quella dichiarata. L’85% afferma di aver pagato la tassa di soggiorno, tuttavia è presumibile che la somma non sia mai arrivata nella casse del Comune.
Va chiarito che non si tratta in alcun modo di sharing economy. Solo l’1% degli intervistati ha scelto una determinata abitazione per condividere la casa col residente. Dovrebbe essere impresa, ma in questa forma non lo è. Si deve, invece, parlare di shadow economy, nascosta in un cono d’ombra. Che, nell’ombra appunto, stravolge sempre più il tessuto urbano non soltanto di Roma, ma di molte città italiane, come nel resto del mondo occidentale.
I dati Eurispes
L’Eurispes si era già occupato negli ultimi anni del sommerso nel turismo. Nel Rapporto Italia 2018 si sottolineava come i dati World Travel and Tourism Council (Wttc) del 2017 gli 86,2 miliardi di dollari spesi dai turisti stranieri e italiani nel nostro Paese (che rappresentano un contributo diretto al Pil del 4,2%) e i 207,6 miliardi di dollari di contributo totale al Pil (pari a circa l’11%) ? non spiegano completamente il peso economico del settore e la sua capacità di creare valore perché non considerano il sommerso. Lo stesso vale per i 1.246 milioni di addetti diretti al settore e per i 2,867 milioni di occupati nella filiera turistica.
In àmbito turistico l’ospitalità rappresenta la principale area di produzione di economia sommersa e si sviluppa primariamente nel comparto extralberghiero. Più precisamente, attraverso l’affitto di alloggi e stanze in maniera non professionale, sia diretta, ma soprattutto negli ultimi anni mediante piattaforme di sharing economy peer to peer. Se da un lato, infatti, la sharing economy ha reso più accessibile l’ospitalità, dall’altro, la sua nascita e la diffusione di piattaforme per l’offerta di alloggio sono state così rapide da aver generato un vuoto regolamentativo, che in Italia in parte è stato colmato soltanto nel 2017. Si è venuta così a creare l’ambivalenza sharing & shadow economy, ovvero lo sviluppo della sharing economy come una forma di economia turistica sommersa e informale, con un’alta capacità di posti letto e in continuo aumento.
Nell’ambito operativo settoriale, molti albergatori e associazioni di categoria per contrastare gli effetti negativi, si sono mossi su più direzioni. In primo luogo, con l’obiettivo di eliminare lo squilibrio derivante dalla mancanza di tassazione dei ricavi realizzati attraverso l’affitto temporaneo. Parallelamente, si sono attivate pressioni e attività di lobbying volte a raggiungere la regolamentazione della concorrenza e a limitare l’impatto, che piattaforme come Airbnb sono in grado di generare, sulla struttura dell’interazione tra domanda e offerta. Si pensi, ad esempio, alla maggiore elasticità di prezzi o di servizi che può offrire un host rispetto a chi svolge questa attività in maniera professionale e nel rispetto delle norme o, ancora, alla possibilità di rappresentare e aggregare più strutture affittandole per periodi anche superiori ai 30 giorni previsti dall’affitto breve ovvero, in altre parole, esercitare in maniera continuativa e professionale l’attività di affittacamere, senza sostenerne gli oneri.
Quello che andrebbe perseguito, allora, è varare e consolidare politiche che tendano a trasportare culture, comportamenti e modalità in una sfera a larga maggioranza “emersa” con percentuali a livello generale, e quindi tanto più a livello settoriale, prossime a quelle perlomeno dei maggiori paese europei. Ciò comporterebbe dimezzare il 20% di sommerso del Pil al 9-10% (dati medi di Germania e Gran Bretagna p.e.) in un tempo medio di 5-7 anni. Nel settore turistico, applicando la stessa riduzione avremmo un’emersione del 15%, portando l’incidenza diretta del Pil dal 4,2% al 4,8% e quella complessiva dal 10,3% all’11,8% (stante un peso del 30% medio nei 25 anni dal 1991 al 2015).
Si è visto, tuttavia, nel tempo come queste azioni non siano state del tutto efficaci se non nel momento in cui sono state perseguite in maniera sistematica e continuativa. L’economia sommersa in un settore come quello turistico è altamente reattiva alle crisi economiche e difficile da essere sradicata. Per questo, l’attenzione si è spostata dalle politiche generali alle azioni specifiche che agiscono direttamente sulla generazione di sommerso, in particolare: eliminazione delle transazioni in contanti; implementazione del digitale e delle Ict per ridurre il sommerso nelle attività delle imprese introducendo, ad esempio, la fatturazione e i pagamenti elettronici o incentivando l’e-commerce.
In conclusione, appare chiaro che il sommerso turistico ha un impatto negativo sullo sviluppo e che non possono essere rimandate oltre sia la definizione di politiche generali efficaci (ad esempio, per l’innovazione delle Pmi, a livello locale o per la qualificazione di risorse umane compenti) sia l’attivazione di azioni specifiche.
Il risultato atteso dal punto di vista macroeconomico si manifesterebbe principalmente sugli effetti fiscali e di welfare con una maggiorazione del Pil che – facendo riferimento ai dati 2016 – lo vedrebbe, per la sola incidenza diretta, aumentare da 70.242 a 80.779 milioni di euro, ovvero oltre 10.500 milioni di euro di Pil, che emergerebbe e comporterebbe maggiori entrate fiscali per circa 4.360-4.540 milioni di euro all’anno (stime realizzate su valori medi del periodo 2011-2016).
L’economia informale può essere anche la risposta a un diverso approccio al turismo da parte della domanda e offrire l’opportunità di creare nuova occupazione. Secondo questo orientamento le imprese informali andrebbero integrate nella pianificazione turistica e nella regolamentazione normativa.
Il mercato degli affitti brevi potrebbe avere una sua collocazione per arricchire l’offerta di ospitalità, ma il fenomeno va governato. Appare per questo urgente una presa in carico dell’emergenza da parte delle autorità locali e nazionali. Su questo fronte, nel nostro Paese siamo solo all’inizio.