Clima, Occidente addio. Economie e stili di vita: occorre una rivoluzione copernicana

Il clima e il dilemma dell’Occidente. Rispettare l’Accordo di Parigi del 2015 per contenere i cambiamenti climatici assume oggi una portata superiore a quella che immaginiamo: forse maggiore di quella contemplata dall’Accordo stesso. Portare a zero le emissioni nette di gas serra entro il 2050 per rimanere sotto il limite di 1,5°C d’aumento della temperatura globale (e poi mantenere da allora un loro saldo costantemente negativo) significa, infatti, arrivare a una completa sostituzione, su scala globale, dei combustibili fossili (petrolio, carbon fossile e metano) con fonti di energia rinnovabile (come l’idroelettrico, l’eolico, il solare, ecc.). E di tale sostituzione, non solo, oggi sappiamo che entro il 2050 è tecnologicamente possibile (come pure economica, flessibile e sicura), ma che per la nostra civiltà è una questione di sopravvivenza. Infatti, l’aspetto più inquietante dell’intera questione riguardante le conseguenze dell’uso del fossile per la nostra specie, di cui solo molto raramente si sente parlare e che a troppi sfugge (specialmente ai più disincantati e spregiudicati affaristi), è forse quello legato alla natura in sé non rinnovabile dei combustibili fossili. E, pertanto, al fatto che essi andranno soggetti inesorabilmente a esaurimento. In altre parole, a essere in ballo vi è lo stesso sistema occidentale nella sua interezza e da cui, specialmente alcune lobby, traggono i loro benefici. Troppo facilmente dimentichiamo, infatti, che la nostra civiltà contemporanea è tale, così com’è, grazie proprio all’uso dei combustibili fossili. I livelli di sviluppo economico e tecnologico, la complessità e il progresso delle attuali società industrializzate (senza precedenti in tutta la storia dell’umanità) sono quasi esclusivamente fondati sull’impiego dei combustibili fossili. L’industrializzazione nasce e si afferma grazie al carbon fossile che in seguito cederà il suo scettro al petrolio. Tutto ciò di cui l’Occidente in particolare gode oggi è dipeso e dipende dalla sua industrializzazione e da ogni implicazione che da quest’ultima discende, sia in termini di benessere diffuso, di emancipazione sia in termini di conquiste civili e sociali; inclusa la riduzione della violenza e dell’aggressività. I livelli di violenza infatti presenti oggi in Europa, per esempio, sono irrisori se paragonati a quelli che caratterizzavano il Vecchio Continente ancora non molti secoli fa, quando il grado di criminalità, il numero di omicidi, la crudeltà e la disumanità con cui venivano commessi erano del tutto imparagonabili a quelli attuali (come ampiamente documentato nel libro del 2017: Italós). Basti pensare «alle feroci mutilazioni che con non troppa difficoltà venivano eseguite in Europa […] durante il Medioevo o qualche secolo più tardi; alle raccapriccianti torture, agli squartamenti e alle altre maniere orrende in cui spesso veniva data la morte, incluso ovviamene in quelli che oggi rappresentano i paesi più vivibili e “civili” del mondo», come i paesi scandinavi. Senza contare poi le guerre che in maniera ravvicinata e continuativa hanno insanguinato per secoli l’Europa. Del resto, come dimostrano gli studi del premio Nobel, Konrad Lorenz, a parità di popolazione, l’aggressività è un fattore che aumenta al ridursi proprio della disponibilità delle risorse e delle ricchezze. La miseria, la fame, il degrado, com’è noto, sono il terreno di coltura della violenza, dell’intolleranza, degli estremismi, della sopraffazione, delle guerre. E non è un caso che tali fenomeni oggi si manifestino, con gradi d’intensità diversa, in tante regioni del mondo, variegatamente soggette a depauperamento.

Il motore dell’opulenza occidentale è alimentato per l’80% ancora dai combustibili fossili (quello totale mondiale per l’85%). Essi sono una fonte non rinnovabile: cioè, sono destinati a estinguersi. È solo questione di tempo (lo stesso si può dire per il nucleare). Ai presenti tassi di sfruttamento, il primo a esaurirsi sarà il petrolio: la fonte dalla quale traiamo maggiore energia e dalla quale dipende a cascata un’innumerevole quantità di produzioni e beni che affollano la nostra quotidianità (dagli asfalti per le strade ai fertilizzanti per l’agricoltura; dai detersivi ai lubrificanti, alle vernici, alle colle, alle plastiche; dai tessuti sintetici agli elettrodomestici; dalle automobili ai cellulari; da parte degli arredamenti a un gamma immane di beni di consumo). Il raggiungimento nei primi anni Settanta del picco massimo di produzione petrolifera degli Usa, fecero forse di King Hubbert – che nel 1956 lo aveva previsto – il geofisico più famoso al mondo (gli Usa poi cominciarono a usare soprattutto il petrolio straniero preservandosi il loro). Secondo la teoria scientifica di Hubbert – ripresa poi da altri studiosi per estrapolarne meglio i risultati alla luce di dati più recenti – il picco massimo di produzione petrolifera mondiale dovrebbe essere raggiunto quest’anno; o comunque non molto oltre il 2020 (pur considerando i rallentamenti nelle produzioni dovute all’emergenza Covid). A esso seguirà un lento e graduale declino nella disponibilità di petrolio che dovrebbe comportare un progressivo aumento del suo prezzo. E più il prezzo salirà, maggiori saranno i contraccolpi sofferti dall’economia mondiale. Al di là dell’imprevedibilità delle circostanze e dei modi in cui questo potrebbe accadere, senz’ombra di dubbio si può ritenere che, in conseguenza di ciò, sia un aumento del malcontento, dell’instabilità, dei conflitti sociali, dei disordini, delle violenze, del decadimento delle società, del deterioramento delle loro Istituzioni, sia il rischio di un progressivo inasprimento dei conflitti e dell’innescarsi di nuove e ancor più pericolose guerre per l’accaparramento di questa risorsa saranno eventualità tutt’altro che implausibili. Specialmente in quell’area ove la disponibilità di petrolio è la maggiore al mondo; e dove i ruoli per il suo controllo sono frammentati, incerti, articolati, sfumati e in via di continua definizione da parte, non a caso, delle maggiori potenze mondiali. Soprattutto, dunque, nel “caldo” Medio Oriente. Questione, questa, che non coinvolge poi in modo esclusivo il solo petrolio, ma anche le altre due categorie di combustibili fossili.

Se la nostra civiltà vuol continuare a esistere, allora, è forse il caso di tenere presente che la necessità di svincolarsi dal petrolio e dagli altri combustibili fossili diviene più che mai urgente. L’impellenza di sostituire al più presto tali fonti con altre rinnovabili è più che mai una questione di sopravvivenza. Il declino e la caduta di grandi civiltà del passato, come quella dell’Antica Roma ad esempio, ci sono di monito. Tutt’altro che indolori, furono accompagnati e costellati da furiosi sconvolgimenti politici, economici e sociali, con i loro brutali baratri di violenza, oscurantismo e generale regresso, incluso naturalmente in àmbito culturale e tecnologico (nell’Alto Medioevo in Europa solo per un pelo non si smarrì l’invenzione della scrittura).

Il passaggio e la completa sostituzione dei combustibili fossili con le fonti di energia rinnovabile devono essere, dunque, più risoluti e rapidi che mai. Il rischio, infatti, che questo debba avvenire già in fase di avanzata crisi – quando le economie oramai in sofferenza non riuscirebbero più a garantire slanci tecnologici e d’investimento adeguati a un rimpiazzo che sia pieno e capillarmente diffuso – è tutt’altro che trascurabile. Specialmente se si considera il fatto che, se è possibile giungere a una piena sostituzione del fossile col rinnovabile sul piano dell’approvvigionamento energetico, non si può dire altrettanto per quanto riguarda i materiali sintetici sopra considerati. La disponibilità delle produzioni che invadono i nostri mercati, che nutrono le nostre economie, che ci assicurano l’odierna opulenza, garantendoci tenori di vita tuttora alti, oltre che sull’immane quantità di energia a basso costo che il fossile ancora ci assicura, può contare sulla versatilità, l’efficienza e l’economicità dei materiali che dal petrolio si ricavano. E, sebbene le tecnologie per ricavare, per via vegetale, materiali analoghi progrediscano, il problema principale rimane economico. Infatti, anche realizzarli per via biotecnologica presupporrebbe quantità immani di suolo e acqua da sottrarre all’agricoltura (peraltro, già compromessi da un uso non sostenibile e dai mutamenti climatici stessi). I progressi dell’ingegneria genetica a tale riguardo potrebbero fare tanto, ma quali i rischi? Forse, sarebbe ora – fermo restando il perseguimento improcrastinabile dei suddetti obiettivi – che cominciassimo anche a imprimere dei personali cambiamenti ai nostri stili di vita. E che prendessimo coscienza del fatto, per esempio, che non ha molto senso partecipare a una manifestazione a favore dell’ambiente e cambiare al contempo smartphone ogni cinque mesi. Pare quasi che il petrolio e gli altri combustibili fossili, in modo fuorviante, abbiano lusingato l’uomo occidentale di poter continuare a vivere e godere, sempre, al di sopra dei propri mezzi. Con un agio, dei confort e un benessere cui nessuna società del passato per quanto rigogliosa, fastosa e risplendente era mai stata abituata.

Un’ingannevole seduzione paragonabile, quasi, a quella dello stesso diavolo, del quale i combustibili fossili ne costituiscono forse perfetta metafora. Il fossile fu infatti, un tempo, creatura del Sole che – allegoria del Creatore – a tutto dà vita. Il fossile è per l’appunto quel che resta di animali e piante esistite centinaia di milioni d’anni fa. Divenuto poi però cadavere e rifiutati per sempre i raggi della “Luce”, fossilizzò come scarto di vita (biologica); e come sterco o immondizia rimossa (e fuggita) dal luogo dei viventi (biosfera) sprofondò oscuro (nero) nell’abisso delle viscere della Terra. Ma all’uomo parve cosa assai gradita da lì richiamarlo e, a proprio tornaconto, riesumarlo. Il tentatore allora si oppose e pose in antitesi al Sole stesso (fonte d’energia rinnovabile), sì da sfidarlo. Alla Terra ne vennero guai e sozzure d’ogni sorta (inquinanti, emissioni, plastiche, ecc.; e un calore “infernale”), per sé e per l’uomo da lei tenuto in grembo; non ultime quelle disuguaglianze, ingiustizie, sopraffazioni, egoismi, guerre e incommensurabili contraddizioni, sin dal principio insiti nel sistema che, su di esso fondato, dà a pochi e affama molti. Così l’uomo, di sé inebriato, non s’accorgeva che il suo mirabolante e largo benefattore contemplava la medesima mistificata azione distruttrice serbata da Mefistofele al Faust che, naturalmente, speriamo sia quello di Goethe e non di Marlowe.

 

 

 

 

 

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