A poco più di un mese dalla crisi di ferragosto, la politica italiana rimane un “corpo molto fluido”, alla ricerca affannosa di equilibri possibili. La nascita di Italia Viva, il partito di Renzi, è solo l’ultimo degli scossoni che rischia di far saltare il “banco” del nuovo Esecutivo, costretto a navigare per le acque perigliose di una legge di bilancio che dovrà fare i conti con mille difficoltà e compromessi. Intanto, “personalismi” e “tanta voglia di proporzionale”, si affacciano all’ombra del palazzo, distanti anni luce dagli interessi della gente comune. Un recente tweet del gesuita ex direttore di Civiltà Cattolica, padre Bartolomeo Sorge – uno che certo non è abituato a sprecare il fiato – che ha definito la scissione renziana segno di immaturità politica e di irresponsabilità nei confronti del Paese, è molto indicativo del clima che si respira anche al di là del Tevere. Esperienze già fatte, si dirà, ma che oggi si ripresentano aggravate da dati macroeconomici molto negativi –come dimostrano le ultime proiezioni dell’Istat – i quali rappresentano un Paese ripiombato nella sindrome dello “zero virgola”. In questo divenire frenetico e spesso confuso, l’unico punto fermo sembra essere il Premier Conte. Presente alla festa di Leu, ha fatto visita ai nuovi “nemici” della destra intervenendo ad Atreju, il meeting di FdI, per poi dichiararsi unito nella lotta con Landini sui temi del lavoro e del fisco. Una popolarità che lambisce anche il mondo cattolico. Dicono i bene informati che l’attuale Presidente del Consiglio godrebbe infatti anche della simpatia delle alte gerarchie della Chiesa, che individuano la sua azione politica come la nuova “linea del Piave” utile ad arginare la deriva sovranista della destra estrema. Insomma, “la metamorfosi” del leader sembra compiuta, per usare una bella definizione di Massimo Franco, editorialista e cronista politico del Corsera tra i più esperti del nostro panorama giornalistico. Chiediamo allora direttamente a lui “lumi” per capire meglio cosa intenda, cosa sta succedendo e cosa dobbiamo aspettarci.
«La metamorfosi è compiuta», riprendo la sua definizione che mi sembra molto efficace. Conte da capo Popolo è divenuto, infatti, molto in fretta, un capo partito. Quali sono i punti di forza di questa seconda esperienza di governo e i versanti di maggiore fragilità?
Non so se prima Conte fosse un autentico capopopolo e ora capo partito. Mi pare che si stia dimostrando tecnico del governo e grande navigatore, in grado di essere al crocevia delle alleanze grazie all’approccio equilibrato con i M5S. La sua forza è nell’aver agganciato l’Europa, diventando un interlocutore della nuova maggioranza della Commissione. La sua fragilità credo che sia all’interno della sua stessa maggioranza.
Che tipo di leadership esprime il nostro attuale Premier? Pochi credevano a questa capacità di succedere a se stesso. Oggi si definisce garante delle Istituzioni come ha affermato nel discorso sulla fiducia. Basterà per reggere a lungo?
Dipenderà dalla capacità e dalla possibilità di governare, nel senso di saper gestire in modo efficace il problema dell’immigrazione in raccordo con l’Europa, e di realizzare una manovra economica efficace e non troppo impopolare.
Quali sono gli aspetti di maggiore discontinuità rispetto alla precedente esperienza di governo? È l’Europa l’unico vero discrimine?
Certamente questo è un aspetto decisivo. Avere convinto i Cinque Stelle a votare Ursula Von Der Leyen ha dato, a lui personalmente e all’Italia, un bonus di cui la nomina a commissario agli affari economici di Paolo Gentiloni è la conseguenza. L’altra discontinuità è data dall’alleanza con una forza europeista come il Pd, che non è stata affidata a un altro improbabile contratto ma ad un patto politico, di cui alcune intese locali sono la conferma. Si tratta di un’operazione difficile perché impopolare, per questo coraggiosa.
Possiamo individuare i maggiori scogli che l’Esecutivo dovrà affrontare?
Dimostrare di sapere governare meglio del Governo precedente e di non pensare solo ai posti di potere. Non sarà facile, perché l’opposizione è forte e agguerrita.
Chi rischia di più in questa alleanza da molti commentatori definita “innaturale”? Il PD che per “bramosia di potere rischia di perdere dignità e di tradire la sua storia”, come ha affermato l’ex sindaco Marino in un duro intervento pubblicato da “l’Espresso”, o i 5S che come ha scritto Lei si trovano di fronte a un mutamento di DNA che rischia di far saltare gli equilibri interni?
Rischiano un po’ tutti in questa fase convulsa e dinamica, anche se credo che le maggiori incognite riguardino il futuro del Cinque Stelle.
Proviamo a dare uno sguardo all’opposizione. Salvini sta già presidiando le piazze, mentre Berlusconi appare freddo rispetto a questa modalità e vorrebbe smarcarsi. Il quadro politico è, dunque, molto fluido anche sul fronte del centro-destra. Cosa dobbiamo aspettarci?
Salvini sta, di fatto, cercando di far dimenticare le sue responsabilità sulla nascita di questo Governo. Ha aperto una crisi ad agosto senza valutarne le conseguenze. Adesso, la Lega si ritrova fuori da tutto, anche se questo per il momento sembra non influire sul livello altissimo dei suoi consensi. Evidentemente, il capo della Lega, sa interpretare gli umori più profondi e le paure di una parte del Paese. Il problema credo sia un altro…
A cosa intende riferirsi?
Salvini non sa quanto possa reggere un’opposizione solo di piazza, nel caso in cui – eventualità che non possiamo scartare – il Governo dovesse reggere oltre la primavera prossima. Su questo credo stia riflettendo da un po’ di tempo, anche se al momento non sembra intenzionato a cambiare strategia.
Un’ultima sollecitazione. Il filosofo ed ex sindaco Massimo Cacciari, provocato in calce al festival della politica di Mestre, alla domanda: «si potrebbe profilare il partito di un nuovo centro costruito sull’asse Renzi-Conte?» ha risposto seccamente: «Non mi stupirei se accadesse». Le pare fantapolitica?
Credo proprio di sì, anche se il “mitico” centro, sempre agognato da tutti, ci riserverà molte sorprese in questa stagione di spregiudicatezza, trasformismo e narcisismo che caratterizza gran parte della classe politica.