Coronavirus all’italiana

Metto, innanzitutto, in evidenza alcuni temi sottolineati da Gian Maria Fara, a proposito del Covid-19: «Certe decisioni politiche e amministrative, stanno edificando una narrazione dell’emergenza, forse imprevista, e certamente pericolosissima per la tenuta socioeconomica del Paese. E così, oggi, paradossalmente, ci troviamo a subire le conseguenze internazionali di questa narrazione dei fatti».
Questo timore si basa sulla precedente esperienza di ricerca dell’Eurispes, in merito ad un argomento molto diverso, ma in un certo senso parallelo: «Osservando da anni, unici in Italia, il fenomeno [della corruzione], abbiamo infatti maturato il convincimento che più si combatte la corruzione più la si rende percepibile (…). Un paese che combatte la corruzione la rende più evidente – scoprendone i casi – di uno che preferisce far finta che non esista (…). Proprio a dicembre del 2019, le Nazioni Unite hanno accolto questa nostra linea ricostruttiva».
Come la lotta italiana contro l’illegalità è stata giudicata in maniera controversa, allo stesso modo la lotta italiana contro il Covid-19 potrebbe essere molto fraintesa e assai male raccontata.
Non traggano in inganno alcune attestazioni di lode per l’Italia, sopravvalutate da chi predilige le “campane” a nostro favore. Se il futuro non sarà benigno, quelle attestazioni saranno capovolte o diventeranno minoritarie. Anche per quanto riguarda l’illegalità ci sono molti che riconoscono i sacrifici dell’Italia, la qualità della nostra legislazione antimafia, eccetera. Ma si tratta di minoranze. L’immagine complessiva del Paese ha miracolosamente resistito in questi decenni perché forte di un capitale enorme di duemila anni di arte e cultura, fino a quello stile di vita che ora potrebbe essere colpito al cuore. All’estero siamo stati spesso descritti come il Paese della corruzione e della mafia, non come il Paese di Leonardo e di Galileo.
Non è rilevante soltanto il confronto con la corruzione; anche l’impegno italiano contro la mafia, contro le frodi alimentari e contro molti altri problemi criminali, deve essere visto in questa luce. C’è stato un grande impegno istituzionale italiano che, paradossalmente, ha reso più visibili le difficoltà, non i meriti di chi le ha coraggiosamente affrontate. I demeriti sono stati molto più percepiti, discussi, perfino elogiati. Un esempio: Mafia Republic, dice il titolo del volume di saggistica più venduto all’estero sull’Italia. L’autore è stato omaggiato del titolo di “Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana”. Qualcuno scriverà in futuro un volume dal titolo Coronavirus Republic e sarà fatto Commendatore?
Dice Gian Maria Fara: «Nonostante “l’infinita distanza” tra epidemie di Coronavirus e di illegalità, in questi due fenomeni esiste almeno un punto in comune: l’Italia può essere raccontata come un Paese che è all’avanguardia per qualità e quantità di controlli e di interventi, oppure come il Paese che non riesce a contenere questi fenomeni, pur con le energie enormi sprecate in qualità e quantità di controlli e di interventi. In breve, per quanto riguarda il Coronavirus rischiamo di essere percepiti in maniera molto differente, inclusa questa: un Paese caotico e anarcoide, poco organizzato e male amministrato, pericoloso per i propri cittadini e per il sistema internazionale».
Un indizio della possibilità di incorrere in questo sgradevole fraintendimento è quel recente articolo del New York Times che critica pesantemente l’operato del Governo italiano. Mentre nel mondo è evidente l’esistenza di strategie discordanti rispetto a quella che è specifica dell’Italia. Con successo, a Singapore, a Taiwan, in Corea del Sud sono state fatte scelte specifiche per contrastare il Covid-19. La strategia degli Stati Uniti è peculiare ma non è isolata: trova forti analogie in altri paesi, dal Brasile al Messico. Anche in Europa esistono strategie contro il Covid-19 che sono diverse da quelle italiane, dall’Olanda alla Svizzera, dal Regno Unito alla Svezia, in maniera molto evidente. In Germania, sin dall’inizio sono state fatte scelte diverse da quelle italiane, in maniera meno evidente ma nella sostanza discordante su alcuni punti chiave.
Un segno rilevante della possibilità di una narrativa capovolta del caso italiano, anche per quanto riguarda il Covid-19, è dimostrato dalle notizie relative agli aiuti sostanziosi che sono arrivati dalla Cina, dalla Russia e da Cuba: tre paesi notoriamente caratterizzati dall’appartenenza ad un campo di alleanze diverso da quello tradizionale dell’Italia. Molte preoccupazioni sono nate in Italia, ma soprattutto fuori dall’Italia e hanno cominciato a prendere corpo nell’opinione pubblica internazionale. Uno dei più stimati quotidiani europei, La Vanguardia ha sottolineato, in un articolo del 25 marzo: «l’Italia ha fatto tre mosse che non possono passare inosservate. Ha intensificato le sue relazioni con la Repubblica popolare cinese, consentendo di mettere in campo una formidabile campagna di pubbliche relazioni. Il paese europeo più legato culturalmente agli Stati Uniti durante la guerra fredda ha anche chiesto aiuto alla Russia di Putin. E ha chiesto a Cuba di inviare una delle sue brigate di medici internazionalisti». Non è l’osservazione isolata di un giornalista: l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia è pubblicamente intervenuto nello stesso giorno, nel tentativo di chiarire alcuni punti connessi.
In conclusione, sul Covid-19 è in gioco per intero il sistema Italia: maggioranza e opposizione si sono ritrovate coinvolte, tra centro e periferia, da Gori a Sala, nelle più rilevanti decisioni di contrasto. La classe dirigente (inclusi gli scienziati) ha gestito la crisi senza grandi contrapposizioni.
Sottoscrivo le osservazioni di Gian Maria Fara perché ho percorso un itinerario parallelo e altrettanto solitario negli studi universitari. Per decenni ho lavorato molto all’estero, dove ho dovuto discolparmi davanti a colleghi, osservatori, esperti, in quanto siciliano e italiano. Dicevo: guardate che io sono orgoglioso di quello che la stragrande maggioranza dei siciliani e degli italiani hanno fatto, con sacrifici enormi. Sono stato per anni un “bicchieropienista” sull’Italia: non siamo il paese della mafia, ma il Paese dell’Antimafia; non siamo il paese di tangentopoli, ma il Paese di Mani pulite. Non siamo il paese della corruzione, ma il Paese dove la corruzione è più combattuta, dunque più visibile. Non siamo il paese dove ci sono più crimini, ma il Paese dove i crimini sono più studiati, discussi, investigati; dunque sembra che ce ne siano di più.
Un’altra narrazione dell’Italia è possibile. Ma è necessaria una diversa consapevolezza, evitando il fuoco amico e gli eccessi delle difese auto-immunitarie. Anche sul Covid-19, l’Italia è stato il Paese più trasparente e più preoccupato dei suoi cittadini, in straordinaria osservanza degli ideali democratici, pagando molto proprio per la consequenziale osservanza di questi ideali. A differenza di altri, che hanno messo in primo piano le esigenze del realismo politico ed economico.
Sul Covid-19, un’altra narrativa è possibile; ma non è probabile. Perché si tratterebbe di rivedere profondamente anche la storia precedente del Paese e smentire quella interpretazione che per decenni è stata dominante.

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