Il mondo sottosopra, l’assalto di un microrganismo ha gettato nel panico il Nord Italia, che “chiude per virus” come molti giornali hanno titolato. Anche il calcio si è fermato (circostanza sempre eclatante alle nostre latitudini), mentre per avere misura di quanto la “sberla del contagio” abbia in questo momento assunto le sembianze del mostro, basta dire che il Patriarcato di Venezia ha ricordato ai fedeli che in fondo «nemmeno il segno della pace è poi così obbligatorio». Il rito laico della partita domenicale e il rito religioso della messa hanno dunque subìto un arresto, nemmeno ai tempi di guerra era avvenuto, quando la chiesa e la parrocchia diventavano un possibile rifugio dall’avanzare della violenza cieca e distruttiva.
È venuto il momento di fare un reset, non informatico come il linguaggio dell’ICT oggi molto alla moda suggerirebbe, ma un reset mentale e psicologico che ci riguarda tutti. «L’avanzare dell’epidemia – ha scritto con grande efficacia Antonio Scurati sul Corsera – polarizza agli estremi, nell’era di Internet sembra che non sappiamo vivere senza un’apocalisse all’orizzonte. Passiamo dall’inezia al panico, dalla facezia comica al melodramma, quando occorrerebbe recuperare un “codice culturale” capace di elaborare un equilibrato e sano rapporto con la morte e con la vita, in grado di bilanciare azioni e comportamenti».
“Adeguatezza e proporzionalità”: si è appigliato a questi concetti il Premier a conclusione della seduta fiume del CdM di sabato scorso, che ha varato misure eccezionali per il contenimento del corona virus. Non c’è altra strada, verrebbe da dire, anche se il decalogo che le autorità hanno prontamente stilato e diffuso attraverso i media non basta a darci equilibrio e razionalità. Il “mostro” che ci minaccia nessuno lo conosce ancora a sufficienza, soprattutto poco sappiamo sulle sue capacità di resistenza e di sviluppo. La storia dell’umanità è segnata dalla continua lotta contro il male, che ha assunto in particolari momenti i contorni dell’apocalisse. “Armi, acciaio e malattie”, non può non venire alla mente il celebre scritto del biologo e antropologo statunitense Jared Diamond che ha provato a riassumere il percorso evolutivo dell’umanità negli ultimi “tredicimila anni” racchiudendolo in un trinomio, attorno al quale l’Occidente ha organizzato il suo progetto egemonico, un progetto che ora è però entrato in crisi, di pari passo al declino della modernità con la sua pretesa di previsione e controllo, alimentata dalle “magnifiche” sorti e progressive.
Volgendo lo sguardo a ritroso, ritroviamo il terrore che percorse l’umanità al giro di boa dell’anno Mille; dietro l’angolo allora non ci sarebbe stata la fine, ma il grande fiorire della civiltà comunale. Andò bene insomma a ben riflettere. La successiva svolta coincidente con il secondo millennio ha avuto un nome millennium bug, ed è maturata nel contesto globale della “ragione informatica” che per la prima volta avrebbe preso contezza che il mondo di Internet era potente e fragile, ma soprattutto che qualsiasi strumento, se non adeguatamente governato, non può essere portatore di felicità e di progresso.
Oggi, siamo ripiombati in quell’angoscia che credevamo sopita. I virus non sono solo informatici, forse lo avevamo rimosso, i più temibili rimangono, a dispetto delle apparenze, quelli biologici, che sfidano l’uomo, generando morte e malattie, fanno alzare lo spread, in una metamorfosi continua, perché questo è il loro mestiere. «Il nostro Paese ci appare come un paziente malato, avrebbe bisogno di una cura ri-costituente e di una terapia speciale, organizzata e sistematica, fatta di cultura, rispetto, senso della storia, attenzione alla verità, obbligo di memoria»; Gian Maria Fara lo ha detto con chiarezza nel corso della presentazione del Rapporto Italia, denunciando il malessere che investe il tessuto profondo di una contemporaneità, che continua a mostrare crepe e stridenti contraddizioni. Una cosa è certa: questo carnevale senza festa, che ha fatto vedere più mascherine anti batteri che sgargianti e gioiosi camuffamenti, che ha fatto precipitare comuni tranquilli come Vo, collocato nel paradiso dei Colli Euganei, in un cono d’ombra fatto di ansia e di profonda preoccupazione, deve farci riflettere, se non altro deve servire a riportare tutti con i piedi per terra secondo un principio di realtà, che avevamo troppo in fretta smarrito, presi dal vento dell’efficientismo e di una mobilità esercitata spesso senza una mèta, per il puro gusto di stare in bilico, in sella a una giostra impazzita.
«Nella contemporaneità – mi racconta Margherita Petranzan, direttore della prestigiosa rivista Anfione e Zeto che vive e lavora a Monselice, cittadina a circa 25 km dal focolaio di Vo, conoscitrice di ogni angolo di questa terra dalle atmosfere petrarchesche – è in atto un processo di profonda trasformazione, che rischia di tradire il senso della continuità storica, creando quella frattura fisica e psicologica che ci sta attanagliando in queste ore e che ha molto a che fare con la “nuova barbarie. Dobbiamo combattere questa deriva per ritrovare quel senso di comunità che può farci uscire fortificati da questa brutta pagina. La sfida è ardua, ne sono consapevole, perché non abbiamo ancora imparato a maneggiare un concetto filosofico come la necessità (l’ananke dei greci n.d.r) che il contagio, la malattia e la sofferenza di questi giorni, ci fanno avvertire nella sua maggiore crudezza. Solo mettendo al centro i veri bisogni degli individui, potrà farsi strada quella ragionevolezza che sembra smarrita. C’è un filo di speranza, lo dico in particolare da progettista, c’è ancora la possibilità di non trasformare i mezzi in fini e di costruire una città per l’uomo. La ri-costituzione, sostenuta da Fara, assume nella mia ottica il significato della “ri-fondazione” dei luoghi dell’abitare attorno a cui si organizza la convivenza».
«Immunizzazione e adattamento: dovremo oscillare tra questi due versanti se vogliamo averla vinta»; è la tesi di Gian Paolo Caprettini, filosofo del linguaggio, docente di semiotica dei media dell’Università di Torino. «La sicurezza ha infatti nel suo stesso tessuto etimologico e culturale una radice sfaccettata, una pluridimensionalità congenita, che la caratterizza come valore, ma anche come obiettivo, come stato d’animo, come condizione esistenziale». I ricercatori individueranno un vaccino che ci garantirà l’immunità, la scienza fortunatamente va avanti, sono i nostri modelli di comportamento che devono finalmente mutare.
«La nostra tranquillità è minata da paure di ordine diverso – avverte il gesuita Stefano Del Bove, autore del bel saggio Valori/Comportamenti che apre le schede fenomeniche del Rapporto Italia 2020 – non tutte legate a origini facilmente individuali o anche laddove lo fossero facilmente controllabili. Alcuni valori possono fare da argine alle paure, per fondare una controtendenza, sono la compagnia che permette alla solitudine adulta di liberarsi dalla paura dell’abbandono; la solidarietà che permette di sperimentare gli effetti della benevolenza e della carità; l’ospitalità che approfondisce e supera le dinamiche di tolleranza e inclusione». Fenomenologia dell’ascolto ed etica del riconoscimento dell’altro: l’invito di Del Bove può essere il “vaccino” più prezioso, l’argine per contenere il profondo senso di disorientamento che è facile prevedere segnerà le prossime settimane.
Arriverà la primavera, forse mai così agognata, a restituirci il senso di quell’alternarsi delle stagioni che la bolla virtuale aveva sottratto, quasi anestetizzato. Usciremo finalmente dal tempo “sospeso” della quarantena e, come narra il mito greco, Demetra (figlia di Crono e Rea) potrà riabbracciare la sua Kore (Persefone, figlia avuta dal fratello di Zeus). Era stata inghiottita dagli inferi per punizione divina, per questo destinata a compiere ogni anno un lungo viaggio nell’Ade, lasciando in lutto la terra prigioniera del freddo e dei ghiacci invernali. Ma riuscirà a vincere la morte, riapparendo per riabbracciare la madre e correre libera per i «prati sempre fioriti di Enna», che hanno il profumo dei fiori e i colori della primavera incipiente.