«Il male sta nelle parole»: su questa celebre affermazione di Luigi Pirandello, si troverebbe probabilmente d’accordo il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, il cui saggio Il virus che rende folli (ed. La Nave di Teseo) prende le mosse dall’analisi del termine “confinamento”, parola trappola, che ha generato una girandola di equivoci, a cominciare dall’abusato esercizio del “distanziamento sociale”, che forse faremmo tutti bene a definire “distanziamento fisico”, facendo almeno uno sforzo lecito di neutralizzare implicazioni discriminatorie.
La questione non è certo solo linguistica, perché il bel libro di BHL ha il pregio, sempre più raro ormai, di offrire uno sguardo originale sulla contemporaneità. La sua è da sempre una “voce fuori dal coro”, da intellettuale impegnato in prima linea, non gli è mai mancata la capacità di fare notizia. Assumendo posizioni controcorrente, ha spezzato e continua a spezzare la monotonia di un mainstream, ossessivamente ripetitivo, prigioniero di ritualità senza contenuti. Il nostro non corre mai questo rischio, che potremmo definire come un maitre a penser (categoria in estinzione), che mostra di non amare le prediche ex cathedra, preferendo agire sulla delicata frontiera delle crisi umanitarie, dove la sofferenza ha un volto oltre che una ragione molto precisa. È stata, infatti, Lesbo (icona del dramma migranti del nostro tempo in cui in questi giorni si sta consumando un vero e proprio disastro umanitario) la mèta del suo ultimo viaggio, come ha spiegato ad Anais Ginori in una interessante intervista apparsa sul Venerdì di Repubblica, isola martoriata dove è andato ad ascoltare la voce degli ultimi. Stessa cosa aveva fatto in Blangadesh, e in Libia, nel tentativo di denunciare i disegni neo imperialisti di Putin e Erdogan. In piena emergenza Covid il filosofo, non potendo lasciare la sua residenza, è sceso “idealmente” in campo alzando ugualmente i toni della protesta. «Siamo reduci della prima paura mondiale – denuncia nel pamphlet – il punto è che non credo debba esistere solo una sicurezza sanitaria di cui dobbiamo occuparci, perché esistono altre minacce all’orizzonte che non possiamo trascurare».
Tracciare isolare testare
Preparazione mentale, ecco il vaccino che andrebbe testato e posto in essere nella costruzione di un percorso esistenziale che ha bisogno, per ciascuno di noi, di poter contare su garanzie plurime. «Abbiamo creduto per molti anni di espellere il tragico. Prima della pandemia tutto ci sembrava curabile». «La pia illusione è purtroppo svanita, aprendo il baratro della paura. Ora dovremmo imparare a essere più umili, dimostrando almeno di aver capito la lezione. Non esiste, infatti, alcuna ricetta, che possa risolvere i drammi della vita che sono tanti e tutti diversi. Posti di fronte a questa spiacevole evidenza l’unica cosa che possiamo augurarci che questa paura universale, sia l’ultima».
BHL nel corso della trattazione non discute la misura del lockdown che si è resa inevitabile in relazione alla drammaticità della situazione verificatasi in molti paesi del mondo, l’aspetto inaccettabile risiede nell’accettazione acritica delle imposizioni decise da chi gestisce a vari livelli il potere. “Tracciare”, “testare”, “isolare”: il mantra obbligato in questi difficili mesi ha “oscurato” il celebre trinomio che ha ispirato i valori della Rivoluzione francese “Libertè, fraternitè, egalitè”. Il parallelismo utilizzato dall’autore potrebbe sembrare forzato, ma rende molto bene, per contrasto, il senso della posta in palio, in questa delicata fase in cui la pandemia ha sconvolto il nostro “essere nel mondo”, costringendoci a rivedere abitudini e stili di vita, nel contesto di città che hanno cambiato profilo.
Non si può scambiare – questo il passaggio probabilmente più forte del libro – la libertà con la sicurezza sanitaria, contravvenendo ai princìpi di quel patto sociale costato anni di lotte e rivendicazioni: «Salvare la vita è bene, ma salvare la vita libera è ancora meglio»; al di là del gusto per la provocazione, fa riflettere la irriducibile dicotomia tra libertà e sicurezza, diritti individuali e garanzie collettive che continuerà a mettere a dura prova i governi a tutte le latitudini. Il dilemma ha una precisa formulazione: «Esiste un modo per combattere una pandemia senza cadere nella trappola dello stato di sorveglianza sanitaria?». L’interrogativo posto dal filosofo è destinato a rimbalzare a lungo senza risposta, a giudicare dalle tante incertezze che stanno accompagnando il difficile autunno che si sta aprendo.
Viviamo dentro un “ossimoro”
Sullo sfondo della trattazione i dati di contesto che hanno ispirato questo scritto non sono certo confortanti. Il pericolo delle diseguaglianze crescenti a livello planetario – in uno scenario geopolitico che ha perso i punti di riferimento che hanno segnato il secolo breve, non trovandone di nuovi – è forse l’aspetto più inquietante che nasconde dietro l’angolo il pericolo di gravi rivolgimenti sociali. Il progressivo disimpegno degli Usa riguardo alle vicende di un’Europa troppo debole e divisa, le spinte neo imperialiste di nuovi dittatori, la crisi degli organismi internazionali, di cui l’Onu è l’emblema, il dramma della fame con 25mila persone che continuano a morire ogni giorno in molte aree del mondo: sono tutti aspetti che fanno ben comprendere come la “malattia” del pianeta non sia una sola. Il Covid-19 non è l’unica patologia con cui dobbiamo fare i conti, perché il quadro clinico della democrazia nel mondo e lo stato di salute dei diritti dell’uomo stanno attraversando un momento non certo facile. «Siamo entrati nell’epoca dell’imprevedibilità permanente. Viviamo dentro un ossimoro», ha commentato lo scrittore argentino Martin Caparros a Mantova per il festival della letteratura. Dentro questo ossimoro Bernard-Henri Lévi non si trova a proprio agio, per questo invita il lettore a mantenere il grand’angolo, nell’osservazione delle principali fenomenologie del cambiamento. Solo alla con dizione di esercitare il pensiero critico con apertura e libertà di giudizio potremo venire fuori dal buio della notte dentro cui ci siamo cacciati.