La trasformazione del fenomeno mafioso va di pari passo con la trasformazione della nostra società che vede persistere, con aspetti mutati, il dualismo tra Nord e Sud. La rete delle clientele tessute dai politici nel Mezzogiorno indebolisce il tradizionale ruolo di intermediazione delle mafie, ma, al tempo stesso, stimola nuovi appetiti mafiosi orientati verso appalti ed estorsioni. L’organizzazione tradizionale mafiosa non è più quella che stazionava presso i fondi agrari; non è neppure quella delle prime famiglie mafiose che si affacciavano nelle metropoli meridionali conservando gran parte della cultura dell’onore. La politica della spesa pubblica e i grandi mercati urbani favoriscono l’incontro con la cultura del denaro, che ben presto tramuta i mafiosi in criminali professionisti sempre più simili a gangster: sempre più “killer” spietati piuttosto che “uomini d’onore” ai quali l’omertà è dovuta. Oggi le altre organizzazioni mafiose occupano notevoli fette della vita pubblica e del mercato meridionale e nazionale. Se le mafie hanno una dimensione politica è perché hanno saputo adattarsi alla società dei servizi, inquinando i diversi comparti della amministrazione e della gestione del territorio. L’accresciuto interesse delle organizzazioni mafiose verso le nuove opportunità aperte dalle politiche di investimenti infrastrutturali e dei servizi pubblici aumenta proprio con quel processo, tanto auspicato negli anni passati, di decentramento dello Stato a favore degli enti regionali e locali. La moltiplicazione dei centri di spesa ha aperto nuovi e ampi panorami alla affermazione delle attività mafiose (1992) (estratto dal volume La Repubblica delle Api).
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